di Vittoria Belmonte dal Secolo d’Italia del 10 maggio 2022
Recuperare il “vero” Benito Mussolini oltre le interpretazioni – tante – che il fascismo ha avuto e continua ad avere. E farlo attraverso i testi di colui che il fascismo ha inventato. Fonti troppo trascurate dalla storiografia dell’ultimo cinquantennio. Recuperare il Mussolini “autore” è invece lo scopo del libro curato da Fabio Frosini, “La costruzione dello Stato nuovo” (Marsilio editore) che riporta, contestualizzandoli, gli articoli e i discorsi di Benito Mussolini nel decennio che va dal 1921 al 1932.
Il primo discorso di Mussolini al Parlamento
Una rassegna che si apre col primo discorso di Mussolini in Parlamento, nel quale ironizza sui comunisti: “Conosco i comunisti. Li conosco perché parte di loro sono i miei figli… intendiamoci: spirituali. E riconosco che io per primo ho infettato codesta gente, quando ho introdotto nella circolazione del socialismo italiano un po’ di Bergson mescolato a molto Blanqui“.
Il discorso di Torino del 1932
Il libro si chiude con il discorso di Torino, il 23 ottobre del 1932, nel quale Mussolini dà conto del crescente inasprimento dei rapporti diplomatici in Europa e imbocca la strade del revisionismo dei trattati. “Da questa Città di frontiera, che non ha mai temuto la guerra, io dichiaro, perché tutti intendano, che l’Italia segue una politica di pace, di vera pace, che non può essere dissociata dalla giustizia, di quella pace che deve ridare l’equilibrio all’Europa, di quella pace che deve scendere nel cuore, come una speranza ed una fede! Eppure, oltre le frontiere, ci sono dei farneticanti, i quali non perdonano all’Italia Fascista di essere in piedi. Per questi residui o residuati di tutte le logge, è veramente uno scandalo inaudito che ci sia l’Italia Fascista, perché essa rappresenta un’irrisione documentata ai loro principi, che il tempo ha superato“.
Il mito della nazione e lo Stato nuovo
Nel decennio di mezzo, secondo Fabio Frosini, c’è stato l’ambizioso tentativo di costruire lo Stato nuovo. Nei discorsi scelti, il curatore si propone di cogliere il modo in cui il fascismo cercò di inquadrare il mito della nazione nella forma giuridica dello Stato. Accompagnando questo progetto alla critica al liberalismo, relegato a episodio del XIX secolo. “Siamo i primi ad avere affermato – dirà Mussolini nel 1929 – di fronte all’individualismo demoliberale, che l’individuo non esiste, se non in quanto è nello Stato e subordinato alle necessità dello Stato“. Si trattò di una tappa storica importante di quella “nazionalizzazione delle masse” che caratterizza il Novecento. E che rappresenta anche il punto nodale del progetto mussoliniano: l’immissione delle masse nello Stato per evitare che queste lo prendessero d’assalto.
“Non c’è posto per gli antifascisti”
Oltre ad essere, com’è ovvio, il presupposto ideologico sulla base del quale reprimere il dissenso, come lo stesso Mussolini argomenta nel famoso discorso dell’Ascensione (1927): “In Italia non c’è posto per gli antifascisti; c’è posto solo per i fascisti e per gli afascisti quando siano dei cittadini probi ed esemplari… l’opposizione non è necessaria al funzionamento di un sano regime politico. L’opposizione è stolta, superflua in un regime totalitario come è il Regime fascista… il regime è totalitario ma è il regime che ha il più vasto consenso di popolo che sia nella storia“.
Lo Stato totale cui il fascismo guardò cozzando poi con un contesto internazionale ostile ma anche con le contraddizioni dei totalitarismi moderni era uno Stato che “prevedeva” e “provvedeva”, uno Stato totale che al di là delle ideologie si trasformò presto in una macchina burocratica ampliata a dismisura, incapace di formare gli uomini nuovi che nella propaganda del fascismo avrebbero dovuto mutare volto e destino dell’Italia.