Facebook mi invia come “contenuto sponsorizzato” la reclame di un libro di storia per le scuole medie, o – come si chiamano adesso SS1G, “scuola superiore di primo grado”. Il volume in questione si intitola “Storia per Domani” della casa editrice Lattes. Gli autori sono Irene D’Intino, Irene Scarpati. Elisabetta Pasquali e F. Zuccarelli (non siamo riusciti a risalire al nome di battesimo di quest’ultimo autore, non presente nemmeno nella gerenza del libro). Il sito della casa editrice, nel pubblicizzare l’opera sottolineando che essa offre “Attenzione all’inclusione con Saperi [maiuscolo nell’originale NdR] di base e mappe di fine unità”. dà la possibilità di sfogliare il volume, cosa che per curiosità decido di fare.
Cominciamo con una considerazione sui motivi per cui si studia storia: l’intera conoscenza del passato come strumento necessario per conoscere se stessi a partire dalle proprie radici, viene liquidato in un banale “si studia il passato per capire il presente”. Certo, giustissimo, ma incompleto. Sarebbe come dire “studiamo aritmetica per non farci fregare sul resto al mercato rionale”. In altre parole, un utilitarismo basso e plebeo elevato a sistema. La crescita individuale e dell’individuo come parte di una comunità con un suo passato e pertanto un suo futuro non è contemplata nell’orizzonte degli autori.
Tiriamo un sospiro e tiriamo avanti. Non può non saltare all’occhio come lo spazio dato alle basi della nostra civiltà – l’antica Grecia e la Roma repubblicana e del primo Impero – sia il medesimo dato alla preistoria. E qui iniziano i dolori, con gli errori blu: l’Homo sapiens sarebbe comparso nientemeno che 600 milioni di anni fa, ossia nel Precambriano (anzi, per essere precisi e fare sfoggio di competenza, nell’Ediacarano).
Se il racconto della preistoria è molto approssimativo e dato come dato certo, non come ipotesi scientifiche, il mondo antico viene trattato peggio di una pezza da piedi. Le civiltà mesopotamiche nascerebbero a cavallo del IV secolo a.C., dalla civiltà greca scompaiono l’era eroica, i poemi omerici, il Medioevo ellenico, le invasioni degli Hyksos, perfino le Guerre persiane e quella del Peloponneso… La costituzione lacedemone viene ridotta a un’oligarchia di latifondisti, le città-stato vengono fatte risalire ai Dori (Micene, non pervenuta).
L’Italia, quindi, si affaccia alla storia coi suoi allevatori e agricoltori “mentre nell’area greca si sviluppavano le civiltà cretese e minoica” (forse volevano dire “micenea”, ma stai a guardà er capello…), e là nasce la civiltà etrusca “che durò fino al VI secolo”. Roma nasce “intorno al 753 a.C.” e scopriamo che la Repubblica (509 a.C.) viene fondata contro Servio Tullio (morto nel 535 a.C.) e per una questione di lotta di classe fra plebei e patrizi.
La storia repubblicana è buttata un po’ alla rinfusa. Roma conquista questo e quello in ordine rigorosamente sparso (Sardegna e Corsica prima delle Guerre Puniche, mai citate con questo nome… d’altronde furono solo una bazzecola che coinvolse pressoché l’intero mondo mediterraneo per 120 anni). Lo strumento amministrativo delle province viene anticipato a prima dello scontro con Cartagine (mentre la prima provincia fu proprio la Sicilia, dichiarata nel 241 a.C.).
Arriva poi Augusto, che – scopriamo – si fece dare questo titolo dal Senato (mentre invece venne concesso su proposta di Lucio Munazio Planco e di “Principe dei Senatori” carica che effettivamente Ottaviano rivestì, ma che rectius va tradotta come “Principe del Senato” o “Primo del Senato” (Princeps Senatum) e che viene malamente confusa con Princeps senza Senatum appresso…
Con il Tardo Impero – saltata a piè pari l’età dell’oro degli Antonini – il volume inizia a dispensare qualche dettaglio in più ai pargoli. Ma, visto l’andazzo, più roba metti, più errori fai.
Cominciamo con una bellissima carta della “massima espansione dell’Impero Romano”, che come tutti sanno avviene nell’anno 117 d.C., con la conquista della Mesopotamia da parte di Traiano. E invece noi ci ritroviamo una carta dell’Impero ai tempi di Costantino, con Mesopotamia, Dacia e Agri Decumati già abbandonati oltrelimes. Intanto scopriamo che alla “massima espansione” di Roma i Sassoni erano già emigrati in Britannia (vi arriveranno in massa solo nel 440, 30 anni dopo l’abbandono della provincia da parte romana) e che a fronteggiare in Medio Oriente le legioni romane non c’erano più i Parti, ma già i Persiani (nota: Persiani sassanidi, non achemenidi).
Comunque anche se questo libro non indulge in altre enormità viste altrove (tipo “migrazioni barbariche” al posto di “invasioni”), il pressapochismo regna sovrano, con la confusione fra Germani e generici “barbari” (termine che invece comprende tutte le popolazioni che vivevano fuori dal limes, compresi i Pitti e gli Scoti, i Berberi, gli Arabi, gli Sciiti, i Sarmati, gli Unni, gli Alani e gli Avari etc. etc. che Germani non erano affatto).
E arriviamo quindi alla nascita e diffusione del Cristianesimo, la nuova religione fondata, da quello che emerge dal libro, da una specie di fricchettone che parla di pace e fratellanza e – a tempo perso – anche di vita eterna. Che poi il Nazareno sia anche risorto dopo essere stato ucciso in croce, non viene detto, nemmeno come articolo di fede per i credenti. Dettagli.
Dopo un interludio dedicato all’educazione civica, con la propaganda a favore dello ius soli (dove si consiglia agli alunni di fare ricerche su come si acquisisce la cittadinanza in paesi dove lo ius soli è già attivo, guardandosi bene dall’inserire nel novero anche quei paesi più rigorosi nel regalare diritti, tipo l’arretrato e medievale Giappone) abbiamo un bel planisfero con evidenziate civiltà e culture extraeuropee della tarda antichità. Peccato che manchino le date per contestualizzare meglio queste realtà.
E con l’arrivo del Medioevo assistiamo all’arrivo di “ponti e muri” negli esercizi di fine capitolo. Più importante spiegare ai ragazzi questi concetti che dire – per esempio – che i Longobardi erano un popolo germanico (altro insignificante dettaglio omesso nel testo). Ben più dettagliata è la pagina dedicata all’Islam e a Maometto, alla cui biografia viene dato molto più spazio che non a quella di Gesù. Così come a cultura e civiltà araba è dedicato un intero capitolo, mentre tutto il lascito del mondo classico – dalla filosofia greca all’urbanistica romana – è stato completamente ignorato. Curiosa anche un’assenza che si fa notare: quella della parola “Cristianesimo” o “Cristianità” (e sinonimi) nelle due pagine dedicate alla cultura dell’Alto Medioevo, quasi che chierici e vescovi fossero quelli di una generica religione, tipo Dungeons’n Dragons, e non quelli storici.
Più avanti, una nuova cartina, un nuovo errore blu: per far incazzare i sardi – notoriamente e meritoriamente gelosi della loro storia d’indipendenza – la Sardegna viene indicata fra le conquiste degli arabi, che invece vi si ruppero contro i denti. Ma d’altronde abbiamo visto come la cartografia non sia il punto forte di questo volume. Poco più avanti scopriamo che il Giappone del periodo Taika (VII secolo) aveva già conquistato anche l’Hokkaido (che invece verrà sottomessa solo nel XIX secolo). Errore ripetuto anche più avanti. Nel capitolo dedicato a Carlo Martello, saltiamo sulla sedia leggendo che “gli arabi non avevano davvero intenzione di espandersi in Europa”. Erano in gita turistica.
A onor del vero, sul Medioevo il volume si riprende. Certo, la propaganda femminista, europeista, vaccinista o certe insulsaggini tipo il “Debate” al posto di “dibattito” lasciano perplessi, ma si sa che la scuola italiana è da decenni un luogo di indottrinamento e appiattimento piuttosto che di crescita, per cui libri del genere fanno semplicemente la loro parte portando qualche pietra al cantiere. Certo, a voler spulciare bene si trovano qui e là perle come un fantomatico “Ducato di Piombino” (che era una signoria, al massimo un principato, mai fu ducato), così come sorprende la superficialità con cui viene trattata la storia dell’Europa orientale – basti pensare che la Moscovia o gli altri principati russi da Kiev a Novgorod non sono mai citati nelle carte geografiche (ma la storia non doveva servire a capire meglio il presente?).
Complessivamente tuttavia il lessico sciatto (ripetizioni, maiuscole in libertà, anglicismi non necessari), la totale cancellazione della storia classica, la propaganda plateale e la quantità enorme di errori blu lasciano un’impressione pietosa. Davvero mettiamo l’educazione dei nostri ragazzi nelle mani di questa scuola? Amici, se avete figli, procuratevi di far loro ripetizioni di storia a casa. Poi insegnategli a ripetere ai loro professori la favoletta del libro a pappagallo, giusto per sfangare il 6 politico. Ah, poi pare che in edicola ci sia una rivista molto interessante che può aiutare, se vi serve vi dico pure il titolo.
Dieci anni fa tenni una conferenza sulle idiozie contenute nei testi scolastici (non solo di storia).
Vedo che da allora la situazione è peggiorata.