C’è qualcosa oltre quel muro? La parete Nord della camera funeraria di Tutankhamon potrebbe essere vuota e nascondere l’accesso alla tomba mai trovata della bellissima Nefertiti. Per lo meno, è quello che cercheranno di scoprire, una volta per tutte, gli studiosi del Politecnico di Torino. Con i georadar scandaglieranno la parete dove il faraone bambino è dipinto insieme col successore Ay, alla ricerca di un corridoio al di là del muro.
Di Fabrizio Assandri del 7 febbraio 2017
Quella torinese sarà la terza e si spera ultima analisi, dopo che due anni fa l’archeologo inglese Nicholas Reeves ipotizzò che la tomba della sposa di Akhenaton, il faraone che rese l’Egitto temporaneamente monoteista, padre di Tutankhamon, si trovi accanto a quella di quest’ultimo. La morte improvvisa del «faraone bambino» avrebbe impedito di costruire una tomba tutta per lui. Per questo sarebbe stata ricavata in un’anticamera della tomba di Nefertiti.
Un’ipotesi definita «audace» da Franco Porcelli, docente di Fisica al Politecnico, che ha lavorato come addetto scientifico all’ambasciata italiana del Cairo dal 2007 al 2015. Ha partecipato anche alla recente scoperta su uno degli altri misteri di Tutankhamon: un team italo-egiziano ha dimostrato che la lama del pugnale sepolto con la mummia era fatta di materiale proveniente da un meteorite.
Le nuove indagini metteranno fine alla discussione nata dopo l’ipotesi di Reeves. «Le analisi hanno dato risultati contraddittori e incompleti. Noi, in positivo o in negativo, chiuderemo una questione complessa», dice Porcelli. Potrebbe essere la scoperta o la delusione del secolo.
«I problemi della sicurezza e il caso Regeni hanno messo in crisi anche le collaborazioni scientifiche», racconta il professore, «ma il ministero delle Antichità egiziano a dicembre ci ha chiesto di dare un verdetto definitivo sulla tomba di Nefertiti. Useremo radar di ultima generazione: bucare la parete danneggerebbe gli affreschi».
Il progetto del Politecnico, che cofinanzia la missione, parte dal Dipartimento di Scienza applicata e Tecnologia diretto da Paolo Fino e coinvolge Luigi Sambuelli del Dipartimento di Ingegneria dell’ambiente. Ne fanno parte l’Università di Torino e alcune aziende, tra le quali la Geostudi Aster di Livorno, ed è sostenuto anche dalla Fondazione Novara Sviluppo. La ricerca della tomba di Nefertiti rientra in un ben più ampio progetto di archeoscienza: la mappatura geofisica di tutta la Valle dei Re a Luxor.
Strumentazioni elettriche e onde elettromagnetiche permettono analisi non invasive: «Possiamo “vedere” fino a dieci metri sotto terra», spiega Porcelli, «La mappatura attuale risale agli Anni 80, fatta con tecnologie antiquate». Il nuovo atlante fornirà dati sulla composizione geologica e l’eventuale presenza di materiali ferrosi e resti archeologici nella necropoli, oltre a rilievi 3D e dati georeferenziati: tecniche usate anche per i recenti terremoti nel Centro Italia. «Cercheremo l’aiuto dell’Agenzia spaziale italiana per avere anche dati satellitari».
Di Nefertiti, la cui bellezza elegante e imperturbabile («la bella è arrivata» significa il suo nome) è immortalata nel celebre busto custodito a Berlino, non si conosce molto. Gli studiosi ritengono che sia stata reggente del trono tra la morte del marito e l’ascesa di Tutankhamon, intorno al 1330 a.C., durante la XVIII dinastia. Ritrovarne la tomba permetterebbe di far luce sulla sua vita e sul periodo.
Le due analisi scientifiche seguite all’ipotesi di Reeves hanno dato per ora risultati contraddittori. La prima, i cui esiti sono stati comunicati con enfasi dal governo egiziano, risale al 2015: lo specialista giapponese di radar Hirokatsu Watanabe sostenne di aver trovato stanze oltre il muro e il governo egiziano, desideroso di riportare i turisti nella Valle dei Re, disse che «al 90 per cento» era stata scoperta una nuova tomba. L’anno dopo esperti del National Geographic lo smentirono. Una controversia diventata anche un caso politico.
«Abbiamo motivo di ritenere», dice Porcelli, «che i dati siano stati interpretati in modo fantasioso. Serve un progetto di ricerca solido. Useremo georadar che coprono l’intero spettro di frequenze. Avremo i dati in una settimana di lavoro, per studiarli ne serviranno altre due. Stiamo aspettando le autorizzazioni della National Security egiziana, poi partiremo».