Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo la prefazione di Marcello Veneziani al libro “Gli anni spezzati. Il Commissario. Luigi Calabresi Medaglia d’Oro” (Ares, pagg. 216, euro 14,80; in libreria dal 28 dicembre) firmato dal giornalista e storico Luciano Garibaldi.
di Marcello Veneziani da Il giornale del 22 dicembre 2013
Da questo volume è liberamente tratta la fiction Gli anni spezzati, in onda su Raiuno a gennaio.
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Quando ripenso ai primi anni Settanta ne ho un’immagine in bianco e nero come la tv del tempo; i maglioni dolcevita, le basette lunghe, la «500», le spranghe e le catene, i poliziotti, il Sessantotto inacidito in terrorismo, la lotta politica che degradava nella lotta armata, le stragi.
Quelle immagini, lievi e cruente, si compendiano tutte nel ritratto di Luigi Calabresi, commissario e martire negli anni di piombo. Ove per piombo s’intende non solo quello delle armi, ma anche quello che scorreva sotto le rotative. E che condannò Calabresi con una fatwa che si rivelò di parola.
Il ritratto di Luigi Calabresi è un ritratto in piedi. Un uomo che aveva il senso dello Stato, che credeva al decoro delle istituzioni e alla dignità del suo ruolo, che aveva la responsabilità di uomo d’ordine. Un’espressione antica, terribilmente démodé, le compendiava tutte: «servitore dello Stato». Così si definiva Luigi Calabresi. E chi fa una smorfia d’insofferenza per un’espressione antiquata e retorica, ripensi con rispetto che a quella definizione Calabresi restò fedele fino alla morte. Inclusa. Tutto per 270mila lire mensili, uno stipendio medio per quei tempi, che a Milano con famiglia a carico non consentiva una vita agiata. Un minimo decoro, però senza scialare. Ad aggravare il suo ritratto di uomo d’onore, vi era in Calabresi anche un fervente senso religioso. «Sono nelle mani di Dio», diceva. In un suo scritto, Calabresi criticava il degrado del senso civico e la riduzione delle aspettative di vita al successo, al sesso e al denaro. Era l’affiorare della società dei consumi; oggi dovremmo dire che Calabresi aveva visto sul nascere la barbarie del nostro tempo, opulento e disperato, che inclina verso un degrado benestante, ma privo di valori. La borghesia cinica e miscredente muoveva allora i suoi primi passi. Sarà quella borghesia «illuminata» a partorire anche i radical chic e i salotti nemici di Calabresi.
Luciano Garibaldi fu il primo giornalista che riuscì a far parlare in un’intervista su Gente la vedova di Luigi Calabresi, Gemma Capra. Trentadue anni fa. E collaborò con lei nella stesura del libro dedicato a suo marito. Garibaldi seguì negli anni la vicenda Calabresi con passione civile e rigore di cronista, ne fece una battaglia di principio e di verità storica. Anche grazie a testimonianze come la sua, a Calabresi fu data dal presidente Ciampi, con trentadue anni di ritardo, la medaglia d’oro al valor civile. Un riconoscimento postumo, assai postumo, che si insinuava come una piccola parentesi nel fiume di parole, interventi, pressioni per la grazia a Sofri e Bompressi. Nell’immaginario collettivo del Paese, i martiri erano diventati loro, non Calabresi.
La vicenda Calabresi resta una ferita profonda nella storia civile ma anche culturale del nostro Paese. Non possiamo dimenticare che si mobilitarono contro di lui, in un famigerato manifesto, i quattro quinti della cultura e dell’intellighentia italiana. Ottocento firmatari, l’intero establishment culturale, accademico, editoriale e giornalistico italiano, tuttora in auge, si schierarono contro di lui, lo squalificarono, lo delegittimarono. Non dirò che gettarono le basi per il suo assassinio, ma crearono comunque un clima di ostilità che fu alle origini di quel delitto. Non è il caso di rivangare con rancore quegli anni e quegli errori che mutarono in orrori; per carità di patria e civiltà cristiana conviene la spugna del pietoso oblìo. Non ne ricordo neanche uno, e nemmeno il giornale che li pubblicò. Ma quando si tratta di far la storia di quegli anni, bisogna pur dirla la verità, bisogna pur ricordare la mobilitazione che collegò il partito armato al partito degli intellettuali, tramite l’estremismo politico e la sinistra intellettual militante, in un girotondo nazionale da cui scappò più di un morto. In questo caso lui, Calabresi.
Garibaldi ripercorre in modo appassionato e incalzante, attento ai dettagli e alle sfumature, la vicenda Calabresi, preceduta dal caso Pinelli che Garibaldi tratta col rispetto che merita e dal caso Valpreda, con rimandi alla vicenda Tortora e al sequestro Sossi, per poi tuffarsi in quel tunnel misterioso delle stragi senza volto e senza mandante che restano come un macigno sulla coscienza civile e nella memoria divisa del nostro Paese. Probabilmente non capiremmo neanche la lobby trasversale in favore della scarcerazione di Bompressi e Sofri se non ricordassimo quelle ottocento firme. E se non ricordassimo la carriera folgorante di quel ceto di sessantottini arrabbiati che si raccolsero intorno a Lotta Continua. Belle intelligenze, non c’è che dire, ma all’epoca anche spietati radicali, feroci nel linguaggio e duri nei servizi d’ordine, teorici convinti che «uccidere un fascista (o un poliziotto) non è reato»; che poi si disseminarono nella tv e nel giornalismo, nella sinistra ma anche nel centro-destra, come una specie trasversale di Lobby Continua.
Non fosse altro per quell’errore collettivo di gioventù, quegli intellettuali, quei firmatari, quei lobbisti continui dovrebbero rendere omaggio a quel servitore dello Stato che pagò con la vita il fatto che aveva preso sul serio il suo compito, vorrei dire la sua missione. Non è mai troppo tardi per ammettere: sì, ci eravamo sbagliati, Calabresi era un galantuomo, un vero servitore dello Stato. Il furore di quegli anni ci ha oscurato la mente e inferocito gli animi, ma Calabresi fu uno dei pochi che lasciò a noi ragazzi degli anni Settanta la residua speranza nello Stato, nell’amor patrio, nella fedeltà alla propria missione.
Quando sento parlare oggi di fedeltà alla Costituzione, vorrei ricordare che altri, come Calabresi, scontarono sulla propria pelle la fedeltà non a una carta, ma a uno stile, a una patria, a uno Stato. Che li mandava allo sbaraglio e poi si dimenticava di loro; e ciononostante, i cavalieri come Calabresi partivano alla carica.
Del libro di Luciano Garibaldi ho viva memoria di molte sue pagine, perché sono terse e incalzanti, come si conviene a un cronista di storia e di rango come lui. Ma mi resta soprattutto un’immagine: quella del Commissario Calabresi che passando con suo figlio, ancora bambino, davanti alle scritte minacciose e infamanti contro di lui, «Calabresi assassino», ha un sussulto di tragico e grottesco ottimismo, dicendo: «meno male che lui non sa ancora leggere…». Ma dopo, quando suo figlio ha letto e capito chi era suo padre e chi erano i suoi nemici, quelli che lo volevano ammazzare, quando ha saputo leggere a rovescio quella scritta, non «Calabresi assassino» ma «assassino Calabresi», mutando un sostantivo e un’accusa infami in un verbo e in una promessa tragica, avrà ripensato a quell’uomo che lo portava per mano per le vie di Milano e si sarà detto con commosso orgoglio: sì, quello era mio padre.
Onore a Luigi Calabresi e pietà per tutti gli altri.
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COMUNICATO STAMPA
Edizioni Ares in coedizione con Albatross Entertainmentsono liete di presentare i volumi “GLI ANNI SPEZZATI – IL COMMISSARIO”, “GLI ANNI SPEZZATI – IL GIUDICE”.
Prossimamente in libreria in concomitanza con la trasmissione in TV della omonima serie GLI ANNI SPEZZATI realizzata in co-produzione da Albatross Etertainment e Rai FictionInfo
PRESENTAZIONE
Due delle tre fiction sugli «anni di piombo» realizzate dalla Albatrossfilm per la Rai e intitolate «Gli anni spezzati» sono liberamente tratte da due volumi, ora pubblicati dalle Edizioni Ares di Milano, in coedizione con la Albatross Entertainment.
GLI ANNI SPEZZATI – IL COMMISSARIO
(Emilio Solfrizzi interpreta Luigi Calabresi nella fiction Tv). Il primo volume si intitola «Gli anni spezzati. Il Commissario» (pagine 216, € 14,80,con inserto fotografico a colori). L’Autore, il giornalista e storico Luciano Garibaldi ha ricostruito con una documentazione scrupolosa e completa la campagna di odio e di linciaggio morale che gran parte della stampa scatenò, negli anni dal 1970 al 1972, contro il commissario di polizia Luigi Calabresi, assassinato, nel maggio di quel ’72, dall’organizzazione estremista «Lotta Continua». Rileva Marcello Veneziani nella Prefazione al volume: «Garibaldi ripercorre inmodo appassionato e incalzante, attento ai dettagli e alle sfumature, la vicenda Calabresi,preceduta dal caso Pinelli – che Garibaldi tratta col rispetto che merita – e dal casoValpreda, con rimandi alla vicenda Tortora e al sequestro Sossi, per poi tuffarsi in queltunnel misterioso delle stragi senza volto e senza mandante che restano come unmacigno sulla coscienza civile e nella memoria divisa del nostro Paese…».Sullo sfondo del libro, pagina dopo pagina si staglia, immutata e quasiimperturbabile, la figura del Protagonista: «Il ritratto di Luigi Calabresi», continuaVeneziani, «è un ritratto in piedi. Un uomo che aveva il senso dello Stato, che credeva aldecoro delle istituzioni e alla dignità del suo ruolo, che aveva la responsabilità di uomod’ordine. Un’espressione antica, terribilmente démodé, le compendiava tutte: “servitoredello Stato”. Così si definiva Luigi Calabresi. E chi fa una smorfia d’insofferenza perun’espressione antiquata e retorica, ripensi con rispetto che a quella definizione Calabresirestò fedele fino alla morte. Inclusa. Tutto per 270mila lire mensili…».
GLI ANNI SPEZZATI – IL GIUDICE
(Alessandro Preziosi e Stefania Rocca nelle vesti dei coniugi Mario e Grazia Sossi). Il secondo volume s’intitola «Gli anni spezzati. Il Giudice» (pagine 256, € 14,80, coninserto fotografico a colori) ed è la nuova edizione, riveduta e ampliata, del diario «Nella prigione delle Brigate Rosse», scritto dal giudice Mario Sossi insieme con il giornalista Luciano Garibaldi.Anche questo libro ricostruisce, con le testimonianze alternate del giudice rapito dalle Brigate Rosse e della moglie Grazia, i giorni della drammatica sfida allo Stato lanciata dai terroristi (qui siamo nel maggio 1974), vinta dallo Stato grazie alla fermezza del procuratore generale di Genova Francesco Coco, che verrà assassinato con il carabiniere e il poliziotto della sua scorta per la sua tenace volontà di difendere la legge e lo Stato contro la sovversione.Il libro già impostosi nella precedente edizione come un classico degli «anni dipiombo», è anche una storia d’amore, l’amore di un uomo per la propria moglie, di unadonna per il proprio marito. È la cronaca commovente di un dialogo a distanza tra il giudice e la moglie, sullo sfondo del quale si muovono protagonisti grandi e piccoli di una delle pagine più drammatiche della storia italiana contemporanea. Alla fiction televisiva dedicata al giudice è stato assegnato il riconoscimento «La storia in TV» nell’edizione 2013 del Premio «Acqui Storia». Il premio è stato ritirato dalregista Graziano Diana. Accanto a lui, c’era lo scrittore e storico Luciano Garibaldi.****La terza fiction della serie diretta dal regista Diana s’intitola «Gli anni spezzati.L’Ingegnere» e si riferisce all’organizzatore della «marcia dei quarantamila» chenel 1981, a Torino, pose fine alle violenze dei terroristi contro la Fiat. La trilogia che Rai Uno manda in onda nella nuova stagione 2014 rappresenta dunque una significativa panoramica degli anni di piombo incentrata sulle tre città che maggiormente dovettero subirne il peso: Milano, Genova e Torino.
GLI AUTORI
Luciano Garibaldi
«Luciano Garibaldi fu il primo giornalista che riuscì a far parlare in un’intervista su Gente la vedova di Luigi Calabresi, Gemma Capra. Trentatre anni fa. E collaborò con lei nella stesura del librodedicato a suo marito. Garibaldi seguì negli anni la vicenda Calabresi con passione civile e rigoredi cronista, ne fece una battaglia di principio e di verità storica. Anche grazie a testimonianze comela sua, a Calabresi fu data dal presidente Ciampi, con trentadue anni di ritardo, la medaglia d’oro alvalor civile».(Marcello Veneziani, dalla Prefazione a «Gli anni spezzati. Il Commissario»)
LUCIANO GARIBALDI, giornalista e storico, ha scritto oltre 40 libri di storia prevalentemente sulla Seconda Guerra Mondiale e sugli «anni di piombo», in gran parte pubblicati dalla Ares. Tra i maggiori successi, Un secolo di guerre (White Star), tradotto in otto lingue, tra cui il cinese, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci (Ares), Gli eroi di Montecassino. Storia dei polacchi che liberarono l’Italia (Oscar Storia Mondadori).
Mario Sossi
MARIO SOSSI, entrato in magistratura nel ’58, all’atto del suo rapimento era sostituto procuratore a Genova. In seguito divenne sostituto procuratore generale, consigliere presso laseconda sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, avvocato generale presso laCorte d’Appello di Genova, infine presidente della prima sezione penale della Corte Suprema.Ha compiuto il servizio militare negli Alpini ed è ufficiale in congedo. Ha conseguito laspecializzazione in Criminologia clinica e ha all’attivo numerose pubblicazioni.