Ma come si definisce un territorio “colonia”? Per definirsi tale, una colonia doveva reggersi su due elementi precisi: l’espansione e la colonizzazione.
L’espansione coloniale era simultaneamente determinata da: 1) una forza demografica; 2) una forza economica; 3) una forza politica; 4) una forza spirituale.
Da qui le quattro finalità che l’espansione coloniale italiana si prefiggeva e che lo Stato cercava di raggiungere tramite l’espansione: 1) dare uno sfogo all’espansione demografica che non trovava risorse sufficienti nella madrepatria; 2) valorizzare terre nuove, trovare materie prime e ricercare nuovi mercati di sbocco per i prodotti e per i capitali in eccesso; 3) diffondere la civiltà e attuare quindi un’opera di solidarietà umana.
La colonizzazione, successiva all’espansione, è la fase costruttiva indirizzata al raggiungimento del miglioramento materiale e morale della società umana.
Infatti la colonizzazione, se inizialmente era un mero sfruttamento materiale, in un secondo momento non poteva più concepirsi con il gretto spirito mercantilistico. Questo non significa che la colonizzazione si trasformò in un’utopica opera di totale altruismo ad esclusivo favore delle popolazioni abitanti le zone di espansione.
Però la “nuova” colonizzazione doveva svolgersi nell’interesse e nel profitto di tutta la società umana. Il progresso teorizzato dal positivismo di Augste Comte.
Per comprendere oggi come il fenomeno coloniale, nelle sue due fasi, lo si attuasse all’epoca nell’interesse di tutta la società, basta pensare al doppio grave pericolo che sovrasta su di questa, quando le forze sprigionantisi da un popolo non venivano convogliate verso determinati sbocchi naturali o regolamentati, ma surcompresse; mentre al tempo stesso le energie latenti non guidate e non tutelate, di altri popoli viventi su vasti territori inutilizzati, mantenessero larghe zone di disordine in seno alla società stessa.
Il fenomeno coloniale, sin dagli albori della sua storia, si credeva fosse l’unica soluzione possibile e realizzabile che la società avesse per sventare quel doppio pericolo. Essa era dunque, in sostanza elemento essenziale alla vita della società umana dell’epoca. Se ci pensiamo attentamente, cambiato di nome, è esattamente uguale alle attuali “missioni di pace” o “guerre preventive” sotto egida NATO: i paesi più potenti intervengono militarmente in altre nazioni per “esportare la democrazia” (?) e stabilizzare situazioni che potrebbero ripercuotersi negativamente sugli assetti geopolitici e finanziari dei paesi stessi che sono scesi in campo.
Basta analizzare anche l’art. 11 della “costituzione più bella del mondo”. Così recita: “L’Italia ripudia1 la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Di solito si cita, deliberatamente per falsarne il significato, solamente questo passo, ma l’art. 11 non termina e prosegue: “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Ecco. Esattamente il compito del quale si erano investite lo scorso secolo le nazione coloniali. L’articolo termina con “promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, cioè l’Onu e la Nato.
La questione sulla legittimità giuridica di colonizzare altri paesi è stata argomento di dibattiti per lungo tempo. Alcuni ieri (come oggi) sostengono che fra i diritti fondamentali di ogni popolo, vi sia quello di pretendere un assoluto rispetto alla propria indipendenza. Altri, ieri (come oggi) sostengono che qualunque intervento sia illegittimo ma lecito quando si tratti di far rispettare le leggi d’umanità (“la pace e la giustizia fra le Nazioni”?), oggi li chiamiamo diritti dell’uomo, e poiché, all’epoca, le popolazioni considerate barbare o comunque incivili o arretrate non rispettavano tali leggi (vedi lo schiavismo nell’Impero d’Etiopia), l’espansione coloniale si risolveva, in definitiva, ieri (come oggi) – incredibile dictu – in un intervento anche (spesso) armato per garantire il rispetto di quelle leggi (“limitazioni di sovranità necessarie”?). Dunque la colonizzazione era legittimata. Oggi ha cambiato nome in ONU, i cui obiettivi (e alibi) restano esattamente gli stessi.
La Repubblica Italiana infatti sulla base di una consuetudine di diritto internazionale può partecipare a missioni armate per la pace per imporre la tutela dei diritti umani, nonché con lo scopo di difendere valori ritenuti universali.
In poche parole il colonialismo ha solo cambiato nome. E ieri (come oggi) ogni comunità o individuo nell’esercizio dei suoi diritti è obbligato a tener conto, degli interessi superiori dello Stato stesso o della comunità cui appartiene comportandosi in conformità a tali interessi, dove agendo diversamente provocherebbe l’immediato intervento legittimo (pene detentive, etc) dello Stato; così in seno alla società umana, si ritiene (o si vuole) che ogni popolo che disponga di un territorio e delle sue ricchezze naturali sia tenuto ad agire in conformità agli interessi superiori della collettività, sia valorizzando il territorio sia sfruttandone le ricchezze, sia cercando di progredire materialmente e moralmente per poter collaborare all’evoluzione della società umana.
Si voleva davvero realizzare un nuoto tipo di colonialismo, più positivo ed ispirato a criteri umanitari e razionali […] Ora si pensava a rendere produttive quelle terre costruendo strade, porti e organizzando traffici […] L’importante e nuovo concetto contenuto nei mandati della Lega delle Nazioni consisteva nel fatto che ora le nazioni avevano l’obbligo, non solo di governare con giustizia ma anche di far progredire i popoli colonizzati sia dal punto di vista economico sia di quello politico. La teoria era stata elaborata dal più grande amministratore inglese dell’Africa, Lord Lugard, nel suo Dual Mandate in British Tropical Africa, e insieme dal ministro francese delle Colonie, Albert Sarraut nel suo Mise en valeur des colonies françaises.
Dove l’uomo o un Stato agissero diversamente, essi avrebbero provocato quindi un legittimo intervento, ieri in territori colonizzati o da colonizzare, oggi in stati sovrani.
Le finalità dell’ONU sono: assicurare la pace e la sicurezza tra le nazioni, assicurare il rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della democrazia e aiutare lo sviluppo economico, sociale e culturale dei Paesi più poveri, tramite agenzie specializzate in diversi settori. Uguale a tutto quanto rendeva legittimo il colonialismo.
Ieri avveniva secondo l’art. 22 del Patto della Società della Nazione nel quale si affermava che il benessere e lo sviluppo dei popoli non ancora in grado di sorreggersi da soli nelle ardue condizioni del mondo moderno costituivano una sacra responsabilità della civiltà che era opportuno affidare ai paesi avanzati.
Inoltre l’art. 119 del Trattato di Versailles legittimava l’intervento di terzi Stati contro uno stato colonizzatore che non avesse adempiuto agli obblighi derivanti dalla sua espansione.
Da qui il principio che parificava le diverse forme di acquisti coloniali agli effetti di responsabilità degli Stati.
Tale principio era già espresso chiaramente nell’art. 10 della Convenzione di Sain-Germain del 1919: “Les Puissances signataires reconnaissent l’obligation de maintenir, dans le régions relevantes de leur autorité, l’existence d’un pouvoir et des moyens de police suffisants pour assurer la protection des personnes et des biens”2.
Oggi tutto questo avviene ancora esattamente uguale attraverso le Risoluzioni delle Nazioni Unite, emesse dal Consiglio di Sicurezza o dall’Assemblea Generale.
Il tutto è costituzionalmente perfetto per la Repubblica Italiana, ex stato colonizzatore.
Aveva ragione Tancredi ne Il Gattopardo: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».
NOTE
1. “Ripudia”, non “nega” che è ben diverso
2. “Le Potenze firmatarie riconoscono l’obbligo di mantenere, nelle regioni sotto la loro autorità, l’esistenza di poteri e di mezzi di polizia sufficienti a garantire la protezione delle persone e dei beni”. Il testo del trattato venne redatto in lingua francese, inglese e italiana, ma non in lingua tedesca. Venne espressamente precisato che, in caso di contestazioni, faceva fede il testo in lingua francese
Approfondimento e dettagli nel cap. 1 “Cos’è una colonia” del libro “Bugie Coloniali – Leggende, fantasie e fake news sul colonialismo italiano” di Alberto Alpozzi, Eclettica Edizioni
IL LIBRO:
Per le bugie è sufficiente una parola ma per la verità occorrono le prove. Una sola pagina di questo testo, fonti e documenti alla mano, annulla decenni di retorica fabbricata ideologicamente sulla storia coloniale italiana.
Narrazioni fantasiose e menzognere, mai avvalorate da prove, hanno diffuso per anni miti infondati e fake news. Carte e citazioni sono state parzializzate e fatte aderire a strumentalizzazioni di comodo.
Questo libro, frutto di un meticoloso lavoro di ricerca, presentando fonti verificabili e documenti pubblici chiarisce alcuni dei principali dubbi sulla storia degli italiani in Africa.
Le colonie furono conquistate, invase o acquisite legalmente? L’Italia abolì davvero la schiavitù nelle sue colonie? I lavoratori indigeni godevano di contratti oppure erano sottoposti a lavoro coatto? Lo sfruttamento delle risorse delle colonie dissanguò quei territori? Gli indigeni potevano frequentare le scuole? Usi, costumi e religioni locali vennero soppressi?
Questi sono solo alcuni degli interrogativi a cui si forniscono inequivocabili risposte documentate e supportate da un ricco apparato iconografico. L’approfondita indagine storica negli archivi, non su precedenti pubblicazioni, fornisce nuovi elementi di analisi e spunti di riflessione per completare un quadro storico ancora oggi molto controverso.
La storia esposta con i fatti non celata con le opinioni. Crederai ancora solo in ciò che vuoi credere?