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L'Insolita Storia

I Cavalieri della montagna: alpinismo & Biennio Rosso

Di recente è stato riproposto per i tipi di Aspis il romanzo I Cavalieri della montagna, firmato da Sandro Prada (1904 – 1988) e pubblicato nel 1933: sorta di ibrido tra un racconto di alpinismo e un racconto di squadrismo. Ambientato in pieno 1922 durante il Biennio Rosso fa convivere l’elemento sportivo-alpinistico con sprazzi di realtà che vanno dal discorso di D’Annunzio a Palazzo Marino del 3 agosto 1922 fino a sfiorare tra le righe il delitto Matteotti del 1924!

Prada fu scrittore di montagna (tra romanzi e saggistica) molto attivo prima e dopo la Seconda guerra mondiale ma più che per la qualità letteraria I Cavalieri della Montagna si ravvisa come testo estremamente interessante per diversi motivi storici.

Innanzittuto il ruolo dell’alpinismo tra il Triangolo del Lario e le Prealpi come attività sportivo-ricreativa centrale nella vita milanese del periodo, elemento ben sottolineato dallo storico Marco Cimmino nell’introduzione a I Cavalieri della montagna. E di come l’elemento di confronto politico e fisico tra rossi e neri si replicasse nel contesto dell’alpinismo sportivo. I Cavalieri della montagna del titolo sono proprio un gruppo “patriottico” di alpinisti che non tarderà a venire alle mani (pietre, coltelli e qualche revolverata) con le equivalenti organizzazioni comuniste.

Elemento che trae ispirazione a vicende reali come sottolineato nell’introduzione di Cimmino e ampiamente approfondito nel volumetto del 2017 in Piccozze rosse e cavalieri neri – Alpinisti lombardi tra socialismo e fascismo dello storico Alberto Benni per i tipi di Cattaneo Editore. I Cavalieri della montagna è quindi da un lato romanzo d’invenzione, ma allo stesso modo una fotografia credibile del periodo.

Un racconto del Biennio rosso

Ultimo motivo per cui I Cavalieri della montagna merita particolare attenzione è intrinseco al volume. Ovvero la narrazione della genesi del Regime da parte di autori afferenti al Regime stesso. Il romanzo di Prada si presenta come un racconto senza filtri del Biennio Rosso e dello squadrismo del 1922, pubblicato però nel 1933, in un periodo in cui secondo alcuni storici il Regime avrebbe imposto una sorta di censura e normalizzazione della sua genesi violenta.

Un periodo, quello successivo al decennale della Marcia su Roma, in cui sembra che il Regime fosse restio nel ricordare la propria origine squadrista, e di espungere lo squadrismo dalla narrazione di sé stesso. Sorta di autocensura che avrebbe portato de-facto al boicottaggio di alcune opere che invece esaltavano lo squadrismo delle origini come i film Camicia nera di Forzano e Vecchia guardia di Blasetti.

Certo I Cavalieri della montagna non è un film e la pubblicazione avviene per un editore minore (Benni appura l’esistenza solo di un altro titolo per i tipi dell’ILDA, I Libri Dell’Azione) e il romanzo di Prada non avrà terze pagine sul Corsera, pure il dato della presenza di operazioni come quella di Prada è rilevante. Così come l’assenza di apparenti operazioni di censura nei confronti del volume.

La narrazione del Biennio Rosso tra 1932 e 1934

L’ipotesi di un’autocensura del Regime nei confronti della propria genesi squadrista è ampiamente diffusa, ma scarsamente supportata da fatti come sottolineo nel mio recente volume Alessandro BlasettiIl padre dimenticato del Cinema italiano per i tipi di Idrovolante. In questo l’esistenza stessa di un testo come I Cavalieri della montagna ben si raccorda alle riflessioni portate in merito a Vecchia guardia di Blasetti nel volume sul regista romano.

Ovvero che al di là della normalizzazione e della limitazione del “rassismo“, ossia lo squadrismo dei “ras” locali (esaltato fino a qualche anno prima da figure come Mario Carli e Emilio Settimelli dalle pagine de L’Impero), il Regime fosse ben contento di rievocare il Biennio Rosso dal punto di vista degli scioperi dilaganti e dello squadrismo come necessaria risposta. E come ricorda Benni alla mostra della Rivoluzione fascista del 1932 ben due sale erano dedicate all’esposizioni di bandiere e gagliardetti delle associazioni sindacali e socialiste sottratti in quel periodo.

Una narrazione quella proposta in opere come I Cavalieri della montagna, Camicia nera e Vecchia guardia che vede lo squadrismo come necessaria risposta agli scioperi. E che entro certi limiti, paradossalmente pare quasi sovrapporsi a quella dell’avvento a Downing Street di Margaret Thatcher! Mussolini come la statista britannica a parte due ovvie differenze. Innanzitutto il plus di violenza fatto squadristi, manganelli e olio di ricino. E poi le scelte economiche da un lato privatizzazioni e dall’altro massicci interventi pubblici con l’edilizia che diventa un volano per l’economia.

Secondariamente altro elemento nella narrazione del 1922 milanese proposta da I Cavalieri della montagna da sottolineare nel racconto mitopoietico del Regime, è la volontà di raccordo con D’Annunzio e il legionaresimo fiumano, determinante secondo Prada nel racconto di quella fase dello squadrismo ambrosiano ma sempre più rimosso nell’attuale narrazione defascistazzante del dannunzianesimo.

Prada, chi era costui

Certo Prada è un autore da prendere con le pinze, un’abile narratore soprattutto del proprio mito. Lo stesso rivendicherà la fondazione dell’Associazione alpinistica del Rododendro (poi del Cardo) nel 1921 sulla vetta della Grigna settentrionale (come il giuramento del sodalizio dei Cavalieri della montagna raccontato nel libro), che poi diventerà l’Ordine del Cardo nel 1947. Ma al di là dell’abilità di promoter di sé stesso in cui realtà e finzione si mescolano è bene sottolineare che anagraficamente nel 1922 Prada ha solo 17 anni. Quindi del nucleo di vicende su cui costruisce I Cavalieri della montagna è più un testimone che primo attore.

Il protagonista in cui lo stesso Prada prova a identificarsi è ispirato a una figura bene in vista dell’alpinismo milanese, Erminio Dones, noto soprattutto come campione olimpico di canottaggo.

Copertina de “La Rupe”, mensile del Gruppo Amatori delle Alpi realizzata da Erminio Dones (da Piccozze rosse e Cavalieri neri (Alberto Benni, Cattaneo editore)

Erminio Dones e Italo Fiamma

Dietro Italo Fiamma, il protagonista de I Cavalieri della montagna, alpinista, reduce della Grande guerra, legionario a Fiume, giornalista, autore di drammi teatrali e squadrista, come spiegano Cimmino nell’introduzione e approfondisce Benni nel volume del 2017 c’è Erminio Dones. Personalità poliedrica, anche se non al livello del personaggio immaginario. Dornes fu alpinista, olimpico di canottaggio con una medaglia d’argento ad Anversa, disegnatore, architetto, scultore. Rimase ucciso in circostanza mai chiarite nel 1945.

A differenza del personaggio di Italo Fiamma, ardito e legionario a Fiume con D’Annunzio, l’attività bellica di Dones è tutto sommato di secondo piano, ma nel dopoguerra inizia a frequentare un gruppo denominato Arditi di guerra in Vicolo San Giovanni sul Muro a Milano. Circolo irregolare, di cui Dones disegnò anche la tessera d’iscrizione, frequentato anche da Albino Volpi, ex ardito e squadrista che sarebbe stato poi nella banda di Dumini per il rapimento e l’omicidio Matteotti.

E dopo l’omicidio Matteotti Volpi cercherà proprio l’aiuto di Dones per la latitanza, cosa che comporterà l’arresto dello stesso Dones per favoreggiamento. Dones, come racconta Benni, alla fine collaborerà con la polizia, sollecitato da esponenti del Fascio locale.

Volpi e Lupi

L’elemento della fuga di Volpi e del supporto di Dones alla latitanza è rievocato da Prada ne I Cavalieri della montagna nella figura di Costanzo Lupi, colpevole dell’omicidio dell’esponente di un circolo socialista. Volpi e Lupi, Prada nella sua elaborazione del reale per I Cavalieri della montagna si diverte con semplici giochi di parole che esplicitano facilmente a cosa voglia riferirsi lo scrittore. Come nel caso dell’Associazione Proletaria Escursionisti, A.P.E., associazione alpinista di ispirazione socialista che fu attiva fino al 1924, diventa l’Unione Proletari Alpinisti. E se l’A.P.E. aveva per simbolo un’ape, per quelli dell’U.P.A. il simbolo è una mosca: mosche rosse contro cavalieri della montagna.

Dones (in alto) e Volpi – Foto da “I grandi avvenimento giudiziari” di Mario Buggelli e pubblica in Piccozze rosse e Cavalieri neri (Alberto Benni, Cattaneo editore)

Da Palazzo Marino…

Ma al netto della trama e degli scontri tra le due fazione che si esplicano tra romanzo d’avventura per ragazzi e romanzo d’appendice con suicidi tra amori e tradimenti, quello che interessa ne I Cavalieri della montagna è proprio il contesto. Come scrive Prada nell’introduzione riportata come quarta di copertina nell’edizione Aspis: «Rivelando al pubblico una pagina ancora inedita e vissuta di passione italica, ha voluto ricordare alla giovinezza della Patria nuova – mediante una efficace forma comunicativa quale il romanzo d’avventure – l’epopea gloriosa che ha dato inizio all’era fascista.»

Ovvero raccontare, oltre che la sfida delle vette a colpe di bandierine rosse o tricolori, il preludio della marcia su Roma. Racconto che avviene nella ricostruzione di due passaggi fondamentali delle violenze squadriste del 1922. La giornata milanese del 3 agosto 1922 raccontata dal punto di vista di una riconciliazione ideale tra dannunzianesimo fiumano e squadrismo fascista per come la vive il protagonista Italo Fiamma. Infatti Prada riporta il discorso di D’Annunzio dal balcone di Palazzo Marino. Sia una pagina come quella della marcia su Bolzano avvenuta il 1° e il 2 ottobre 1922.

…alla Marcia su Bolzano

Insomma Prada per i suoi Cavalieri della montagna non lesina dettagli in merito alle vicende “gloriose” di quella fase dello squadrismo. Altro che l'”archiviazione della guerra civile” che si sarebbe palesata nelle narrazioni fasciste tra il 1933 e il 1936, con i vertici della propaganda fascista che non avrebbero visto di buon occhio le “celebrazioni troppo esplicite della rivoluzione fascista1.

I Cavalieri della montagna rappresenta quindi l’ennesimo tassello della narrazione che i fascisti fecero dello squadrismo della “vecchia guardia” come loro mito fondante. Una narrazione che si mantenne esplicita, pur nelle variazioni di opportunità e di tendenze nella propaganda fascista, anche nella nfase tra il 1933 e il 1935.

E come sottolineo in Alessandro BlasettiIl padre dimenticato del Cinema italiano relativamente a Vecchia guardia per la cui sequenza finale (l’alba della marcia su Roma) potè contare su 50 autocarri e un autoblindo messe a disposizione dalla Direzione Generale per la Cinematografia, con Freddi e Bottai ad assistere alle riprese. Insomma non certo bruscolini per chi voleva “smorzare” quel tipo di narrazione.

Di seguito la presentazione del volume I Cavalieri della montagna sul canale YouTube Punto e Virga, con il prefatore, Marco Cimmino.

Note

1 – Così scrive ad esempio Paola Micheli ne Il parlato nei film di Blasetti, in Stefano
Masi (a cura di), A. Blasetti – 1900 – 2000, Comitato Alessandro Blasetti per il centenario della nascita, Roma, 2000, p.63.

Commenti analoghi che si ritrovano spesso nella vulgata intorno a Vecchia guardia di Blasetti, vedasi anche i commenti nell’ottimo sito Davinotti relativamente al film

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