È una hit parade che si tinge di macabro quella che è appena affiorata dagli archivi segreti della dittatura militare che tenne in pugno l’Argentina dal 1976 al 1983. Pubblicata via Internet dal sito della Commissione Federale per la radiodiffusione (http://www.comfer.gov.ar/web) racconta di una caccia alle streghe che in quegli anni si attaccò a tutto, perfino all’universalità e levità della musica.
Paolo Manzo su “La Stampa”
Scorre così, con un semplice colpo di mouse, la lista nera, dei cantanti e delle loro canzoni, censurate dal potere perché considerate pericolose. E non mancano le sorprese. Nella lista figurano tanti artisti italiani, proprio quelli che nella stessa epoca da noi facevano sognare, ballare e magari anche innamorare migliaia di giovani. Gino Paoli, Claudio Baglioni Umberto Tozzi, Lucio Battisti, Toto Cutugno e Nicola di Bari in Argentina furono invece messi all’indice perché i loro testi vennero considerati anticristiani e antioccidentali, insieme a quelli scritti da altri artisti internazionali.
Donna Summer, i Queen, i Pink Floyd, Astor Piazzolla, Joan Baez, Rod Stewart, Charles Aznavour, Serge Gainsbourg, anche i loro pezzi furono messi al bando. Perfino una «Kiss Kiss Kiss» di Yoko Ono, apparsa sull’ultimo album di John Lennon. E la scure del censore non risparmiò neanche il brasiliano Roberto Carlos e il cantautore spagnolo Joan Manuel Serrat.
Sono molti adesso a chiedersi quali passaggi in particolare e soprattutto perché abbiano fatto scattare l’allerta dei militari. A ben guardare nei testi incriminati sembrerebbe necessaria davvero molta fantasia per leggere, per esempio tra le righe di «La donna che amo» di Gino Paoli, un inno alla ribellione. «La donna che amo è una mela stregata-scriveva il cantautore genovese-non puoi più farne a meno se l’hai assaggiata/per lei sono impazziti tutti gli amici».
Ma è anche vero che gli anni della dittatura argentina furono davvero bui e quelle righe poco si legavano ad una società dove lo slogan dei militari era semplice ma pesante come un macigno «Dio, patria e famiglia». Del resto la dittatura militare di Jorge Rafael Videla fin dal colpo di stato del ‘76 era troppo impegnata nell’affermare la sua sovranità per potersi dedicare alla musica. Tanto valeva sradicare il problema alle origini: censurare e basta.
Sulle canzoni d’amore poi era più facile ancora. La frase compromettente si trovava sempre, da Piccolo grande amore di Baglioni che toccava il suo apice nelle strofe «e la paura e la voglia/di essere nudi/un bacio a labbra salate/il fuoco quattro risate» a «Ti amo» di Umberto Tozzi che in realtà anche da noi in Italia qualche problemino al comune senso del pudore lo aveva dato con quelle sue parole «l’amore che a letto si fa/rendimi l’altra metà/oggi ritorno da lei/primo maggio, su coraggio».
Ma forse era l’amore in sé a mettere in imbarazzo i generali con tutti i sentimenti che poteva scatenare: il coraggio, lo slancio, il desiderio di libertà. Pericoloso, troppo pericoloso per una delle dittature più sanguinarie che l’America Latina abbia conosciuto, con migliaia di persone torturate, arrestate e uccise e circa 30 mila desaparecidos.
Insomma questa «guerra sporca» come fu definita la repressione del generale Videla insieme a Roberto Eduardo Viola, Leopoldo Galtieri e Reynaldo Bignone non voleva avere questo tipo di colonna sonora. La musica di Tozzi, Cutugno, Paoli insieme a quella dei loro colleghi stranieri poco avrebbe avuto a che fare con i suoni dell’epoca. Le scariche elettriche ad alto voltaggio, l’uso di piccoli lanciafiamme per bruciare le ferite, le ossa spezzate, il pestaggio a sangue.
E chiaramente le urla delle vittime. Quelle che nel cuore della notte venivano svegliate nelle loro case e portate in luoghi segreti perché nessuno il giorno dopo potesse sapere che fine avessero fatto. Quelle torturate nei luoghi più impensabili oppure nel centro di detenzione Olimpo. 3000 di loro furono narcotizzati e gettati vivi nell’Oceano Atlantico. Anche per loro la dittatura non aveva previsto nessuna musica. Solo il silenzio dell’oceano e quello più lungo e pesante della storia.
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Inserito su www.storiainrete.com il 7 agosto 2009