Secondo il buon senso, col passare del tempo dovrebbero passare anche i rancori, l’odio e le passioni che hanno diviso e contrapposto gli animi durante una guerra, specie se questa è stata civile. Deposte le armi, curati i feriti e seppelliti i morti, si dovrebbero liberare i prigionieri e, riappacificati gli animi, riprendere serenamente il cammino interrotto dalla violenza bellica. Così, ad esempio, fu per la guerra civile americana, quella che noi chiamiamo guerra di secessione, che, ormai fa parte di una memoria nazionale condivisa, e così è stato anche per un’altra, tremenda guerra fratricida, quella di Spagna, i cui caduti di una parte e dall’altra, falangisti e repubblicani insieme, riposano nel monumentale sacrario della Valle de los Caidos.
Un trattamento completamente diverso, invece, è applicato alle vicende della Seconda guerra mondiale, tuttora oggetto di interpretazioni ideologiche e manipolazioni propagandistiche. A distanza di più di settant’anni dalla fine di quell’immane tragedia, che ridusse l’Europa a un mucchio di rovine diviso da una inviolabile cortina di ferro, l’accanimento contro i vinti e la propaganda dei vincitori alimentano un odio perpetuo, che, invece di affievolirsi, viene continuamente attizzato. E’ sufficiente sfogliare i giornali degli ultimi anni per rendersi conto delle forzature di un passato che non si vuole far passare: le drammatiche testimonianze di processi a novantenni accusati di aver prestato servizio nei campi di concentramento tedeschi si alternano agli sperticati elogi per l’ennesimo recupero inestimabili opere d’arte trafugate dalle SS durante la loro ritirata lungo la penisola, dimenticando, forse, che il danno maggiore al patrimonio artistico nazionale fu proprio inferto dagli indiscriminati bombardamenti terroristici angloamericani.
A questo proposito è utile la lettura di un saggio pubblicato da Mursia qualche anno fa, Il fascio e la runa, di Marco Zagni, già autore di altri volumi sul nazismo esoterico, che confuta la vulgata dei tedeschi razziatori delle bellezze artistiche o distruttori di quelle architettoniche, documentando l’esistenza e l’efficacia di un dipartimento delle SS, la Kunstschutz Abteilung, creato apposta per la protezione e la tutela dei monumenti dai bombardamenti e dalle devastazioni della guerra. Insomma, mentre gli Alleati, racconta Zagni, con un documento datato 1 agosto 1943 pianificavano di bombardare “una lista di città italiane che dovevano essere sistematicamente isolate e distrutte, per distruggere i nervi e far crollare il morale del popolo italiano, lista che dovrebbe contenere città come Roma, Napoli, Firenze, Genova e Venezia”, i tedeschi creavano un reparto speciale dell’esercito tedesco “per la tutela dell’arte, degli archivi e delle biblioteche”. Mentre Roma e Firenze venivano dichiarate “città aperte”, cioè prive di guarnigioni militari, nelle stesse città era istituita, dal comando germanico, un’autorità scientifica, affidata a un archeologo per Firenze e a un accademico a Roma, che doveva cooperare con le rispettive soprintendenze per custodire e proteggere il maggior patrimonio artistico italiano. Furono stilati elenchi di monumenti posti sotto tutela, contrassegnati da una targa che li definiva “Immobile artistico sotto la protezione tedesca! Vietata l’occupazione”. Stesse precauzioni vennero prese dai tedeschi – e proprio dagli appartenenti alla famigerata divisione corazzata “Hermann Goering”- per mettere in salvo i tesori dell’archivio e della biblioteca di Montecassino, consegnati l’8 dicembre 1943 allo Stato Vaticano con una cerimonia solenne a Castel Sant’Angelo.
Ovviamente, di tutte queste vicende non si trova traccia nelle ricostruzioni ufficiali, che mettono opportunamente in ombra qualsiasi riferimento ai crimini dei vincitori, come fu appunto la inutile e ingiustificata distruzione della suddetta Abbazia. A questo proposito, non è forse per caso che il kolossal hollywoodiano Monuments Men, pura propaganda post-bellica, fu distribuito in Italia esattamente in coincidenza con la commemorazione del 70° anniversario della battaglia di Montecassino, avvenuta il 15 febbraio 1944. Invece di ammirare le gesta improbabili di George Clooney e Matt Damon, sarebbe forse utile rileggere le pagine del diario di guerra di Donald Pearce, ufficiale canadese di fanteria, che nelle sue memorie, pubblicate da Macmillan degli anni Sessanta, ricorda come dovette intervenire più volte a frenare le sue truppe dall’accanirsi, con furia distruttiva, contro le opere d’arte europee, viste come simbolo di un nemico che non era solo militare, ma anche e soprattutto culturale.