HomeIn primo pianoA che serve la Memoria se poi la cronaca ci lascia indifferenti?

A che serve la Memoria se poi la cronaca ci lascia indifferenti?

L’editoriale del 14 agosto 2014 dello storico Giovanni Belardelli pone degli interrogativi e fa dei paragoni che devono far riflettere. Se non sappiamo o vogliamo imparare nella dal Passato – oppure se ci scegliamo noi il “Passato” da ricordare, celebrare o da cui imparare – a che serve la Storia? Dibattito aperto… (SIR)

Le cronache che riferiscono di migliaia di esseri umani in fuga davanti all’avanzata dell’Isis riportano inevitabilmente alla mente alcune delle pagine più atroci della storia del ‘900. La marcia disperata di fiumane di persone senza acqua né cibo non può non ricordare il trasferimento forzato degli armeni verso l’Anatolia, un secolo fa, che si concluse con oltre un milione di morti; le fosse comuni in cui – leggiamo in questi giorni – vengono gettati, spesso ancora vivi, uomini, donne e bambini ricordano il modo terribile in cui iniziò lo sterminio di ebrei nell’Est Europa, prima che Auschwitz e le altre fabbriche della morte cominciassero a funzionare a pieno regime.

di Giovanni Belardelli dal Corriere della Sera del 14 agosto 2014 

È anche per questo, perché le immagini e le notizie del presente ricordano così da vicino quelle del passato, che colpisce il ritardo con cui le autorità e le opinioni pubbliche dei Paesi occidentali hanno preso atto di ciò che sta avvenendo, quasi fossero condizionate da una singolare schizofrenia. Da decenni veniamo giustamente sollecitati a praticare un culto della memoria che viene inteso in primo luogo come ricordo delle vittime prodotte dai genocidi del ‘900; fino al punto che si sono istituite apposite giornate a quel culto dedicate e si sono anche prescritte precise modalità e forme del ricordo: in alcuni Stati, come è noto, negare lo sterminio degli ebrei, ma anche il genocidio degli armeni, costituisce un reato, come tale sanzionabile penalmente (ciò che è apparso a molti discutibile).
I governi europei, e tra essi anche il nostro, si stanno ora interrogando sui possibili modi di aiutare quelle povere popolazioni minacciate di morte dai terroristi islamici. Ma tutto ciò senza alcuna vera spinta da parte delle loro opinioni pubbliche, come se tutta l’attenzione che teniamo viva per i genocidi del ‘900 non possa che calare bruscamente di fronte a quelli che oggi si stanno verificando letteralmente sotto i nostri occhi; come se dunque gli uomini, le donne e i bambini uccisi in massa – uccisi neppure per ciò che hanno o non hanno fatto ma per ciò che sono (ebrei un tempo, oggi cristiani o yazidi) – attirassero davvero la nostra attenzione se e quando già morti da tempo.

C’è qui, in questo doppio trattamento riservato alle vittime del presente e a quelle del passato, uno degli elementi meno cristallini della coscienza contemporanea, che dopo la Shoah ha posto sì le vittime degli stermini di massa al centro della memoria collettiva, spesso sottoponendole però a una torsione ideologica. Dunque attribuendo ad esse uno status inferiore, come ha ricordato Galli della Loggia su queste colonne, nel caso si tratti (come da molti anni avviene nel mondo) di vittime cristiane, per le quali l’interesse del mainstream progressista è stato sempre limitato. Come del resto limitata è stata sempre la disponibilità a far entrare a pieno titolo nel nostro culto della memoria i milioni di persone morte nei gulag sovietici o nei laogai cinesi: anch’esse vittime di serie B, come i cristiani e gli yazidi di oggi. Ma se non troveremo il modo di aiutare non solo a parole quelle migliaia di esseri umani in fuga che oggi involontariamente ci ricordano, come in una terribile rappresentazione dal vivo, alcune delle pagine più buie della storia europea, con quale animo torneremo a ricordare i crimini del ‘900 e a parlare del dovere della memoria?

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