Nell’estate del 1859, una monaca disperata del convento romano di Sant’Ambrogio inviò una lettera a suo cugino, vescovo in Vaticano, chiedendo di essere salvata. Sosteneva di essere in pericolo di vita, vittima di ripetuti tentativi di avvelenamento. Il parente rispose liberandola e lei, Katharina von Hohenzollern-Sigmaringen, trovò riparo nella sua tenuta di Tivoli, da dove cominciò a denunciare i comportamenti delle sue ex-sorelle. Erano accuse più luride di qualsiasi satira clericale, piene di trasgressioni sessuali, pratiche eretiche e pianificazioni di omicidi.
di Laura Miller per Salon (traduzione Dagospia)
L’avvenimento è raccontato da Hubert Wolf nel libro “Lo scandalo delle monache di Sant’Ambrogio”, prendendo spunto da un fatto realmente accaduto ma di cui gli imbarazzanti dettagli furono taciuti dal Vaticano. Wolf ha trovato il materiale del caso in un angolo degli archivi vaticani e sottolinea come il clima omicida sia tipico delle istituzioni chiuse, dove il potere è accentrato.
Katharina apparteneva a una grande dinastia reale tedesca. Rimase vedova ed entrò in convento a 30 anni, in cerca di un luogo pacifico e contemplativo. Sant’Ambrogio offriva la possibilità della clausura, lì le suore non avevano contatto con l’esterno. A parte dottori e confessori, gli uomini non venivano ricevuti, nemmeno se preti. Poco dopo il suo arrivo, la principessa devota cominciò a notare delle anomalie.
Le consorelle veneravano un po’ troppo la fondatrice del convento Maria Agnese Firrao, e ancor di più avevano il culto di Sorella Maria Luisa, bellissima ventenne che in qualche modo aveva conquistato autorità assoluta. Intelligente e carismatica, costei sosteneva di ricevere visioni, messaggi e lettere dalla Vergine Maria e da Gesù Cristo stesso. Confessava le altre e praticava esorcismi, spesso su un uomo noto come “l’Americano” (in realtà era tirolese), il quale in una lettera scritta in tedesco (mai mostrata al processo) chiedeva a Maria Luisa di praticare atti sessuali.
Secondo Katharina, Maria Luisa aveva rapporti impropri con l’uomo in questione, con il confessore Padre Peters, col quale passava molto tempo in privato, e con le altre novizie. Iniziò anche a sospettare dei miracolosi eventi che riguardavano Maria Luisa, tipo l’aroma di rose che il suo corpo diffondeva. Una volta espressa la sua titubanza sulla santità della sorella, la principessa si ammalò.
Le venivano somministrate strane medicine e cibo dal sapore sospetto. Ricevuta la sua denuncia, Papa Pio IX indisse un’inchiesta. Si scoprì che il convento credeva nelle storie di auto-mortificazione della fondatrice Maria Agnese Firrao, che per prevenire la blasfemia metteva la lingua per sei minuti sotto una pietra pesante e indossava una maschera chiodata. Le sorelle tenevano i suoi effetti personali come reliquie, la veneravano nonostante l’Inquisizione avesse invalidato i suoi “poteri sacri” e l’avesse confinata altrove, con la promessa di non tenere più rapporti con le sue ex “figlie“.
Le autorità ecclesiastiche scoprirono anche che Maria Luisa faceva sesso con le novizie e che, la notte prima dei voti, queste partecipavano a riti danzanti, prima di passare nel letto della superiora per purificarsi. Lei preferiva le meno giovani, con più esperienza sessuale. Il rito era stato però stabilito dalla fondatrice Maria Agnese, che soleva fare il segno della croce sulle parti intime delle “figlie” da purificare.
Gli investigatori scoprirono anche che a scrivere le lettere “sante” era una sorella con una meravigliosa calligrafia. In queste, la Vergine Maria ordinava al confessore Padre Peters di impegnarsi in atti erotici con Maria Luisa per darle il potere di “benedire” le sue novizie. Lui eseguì. Maria Luisa, predatrice sessuale e manipolatrice, infine confessò ma disse di averlo fatto perché rientrava nei doveri del suo ordine.