Nell’Aeronautica militare italiana era una specie di leggenda: l’ultimo degli «assi» – e a detta di tanti il migliore – del cielo. Luigi Gorrini, questo il suo nome, si è spento a Piacenza, all’età di 97 anni. Durante la Seconda guerra mondiale abbattè 24 aerei, a sua volta fu abbattuto 5 volte, lanciandosi con il paracadute e restando vivo, nonostante gravi ferite, grazie a circostanze che ebbero del miracoloso. Atterrando su stagni e chiome di alberi che attutirono la violenza dell’impatto.
di Alessandro Fulloni dal Corriere della Sera del 11 novembre 2014
«Con Salò perché volevo difendere le città dai bombardamenti»
Meglio chiarirlo subito: gli aerei abbattuti erano tutti inglesi e americani, Spitfire, Mustang, Lightning, Fortezze volanti. Perché dopo l’8 settembre Gorrini, senza esitazioni, lasciò la Regia Aeronautica per volare sui caccia della Repubblica Sociale di Salò. Un’adesione spiegata così: «Dopo aver volato per tre anni fianco a fianco con i piloti tedeschi, sulla Manica, in Nord Africa, Grecia, Egitto, Tunisia e – infine – sulla mia patria, avevo fatto amicizia con alcuni di loro… non volevo fare la banderuola, per dire così, e forse sparare sui miei amici tedeschi. Inoltre, volevo proteggere le città del Nord Italia dai bombardamenti indiscriminati, per quanto possibile».
Ufficiale solo dopo la pensione
Gorrini entrò in Aeronautica giovanissimo. Pilota sottufficiale. Ufficiale lo diventò soltanto dopo la pensione, nel 1979. Finita la guerra, era rientrato nei ranghi dell’Aeronautica militare nonostante l’opposizione iniziale del comando alleato, che non aveva dimenticato come l’aviatore italiano pareva aver fatto quasi un fatto personale di quei duelli in cielo contro i caccia di Raf e Air Force. Volando con le insegne di Salò, Gorrini abbattè diversi bombardieri in missione nel Nord Italia. «Inventò» una tecnica di attacco che gli valse l’ammirazione della Luftwaffe dalla quale ricevette anche due Croci di guerra. In sostanza, superava la quota di volo dello stormo avversario per poi buttarsi giù in picchiata a tutta velocità, quasi come un kamikaze, individuando il bersaglio che cercava di colpire avendo a disposizione solo una manciata di secondi. Manovra che terrorizzava i mitraglieri avversari ma che per il pilota era rischiosissima, aumentando il rischio collisione con i bombardieri.
Medaglia d’oro nel 1958
Nel 1958, conflitto finito, dall’Aeronautica – che oggi in una nota «esprime il cordoglio per la morte dell’ultimo grande Asso» – ricevette una medaglia d’oro, unica decorazione concessa a un militare di Salò.