Sarà che oggi vanno di moda i «cold cases», i casi freddi, ma risolvere un delitto dopo 447 anni è una bella scommessa anche per il più tosto degli investigatori. E per la più sofisticata apparecchiatura scientifica. Una sfida che parte da Carini, il paese a trenta chilometri da Palermo dove il 4 dicembre 1563 la baronessa Laura Lanza – secondo la ricostruzione ufficiale – venne trovata a letto con l’amante Ludovico Vernagallo e assassinata dal padre Cesare nella stanza del castello che ancora domina l’abitato. Un delitto d’onore (reso celebre nel 1975 da uno sceneggiato della Rai), confessato dall’assassino in una lettera al re di Spagna conservata nella chiesa madre del paese.
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da La Stampa dell’8 febbraio 2010
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Adesso, però, il sindaco Gaetano La Fata ha deciso di riaprire le indagini, affidandosi a un team di criminologi di fama internazionale. Dal 22 al 25 marzo gli investigatori dell’Icaa (International crime analysis association), tra i quali l’esperto Marco Strano, arriveranno per risolvere il giallo. Iniziativa annunciata in occasione della riapertura al pubblico della stanza del delitto, avvenuta ieri, al termine dei restauri. Sul muro è stata dipinta l’impronta della mano insanguinata che, secondo la leggenda, ricomparirebbe a ogni anniversario dell’assassinio.
Ma quali sono i misteri da svelare? Di sicuro il ruolo del marito della donna, il barone di Carini Vincenzo La Grua, scagionato dal suocero, sebbene presente al momento del delitto. Una ricostruzione che potrebbe essere motivata dal fatto che al padre dell’adultera era consentito uccidere la figlia e il suo uomo, se beccati sul fatto. Al marito, invece, solo il diritto di uccidere il rivale, ma non la moglie.
I diaristi del tempo, intimoriti dell’importanza delle famiglie, accennano al caso soltanto di sfuggita. Ma la tradizione popolare ha dato vita nei secoli a quattrocento versioni di un poemetto su cui si sono scervellati storici, demologi, studiosi del folklore per districare la verità dalla leggenda.
A complicare le cose ci si sono messe le ricerche dello storico Calogero Pinnavaia. Secondo lui, non di delitto d’onore si trattò ma di un litigio per ragioni economiche sfociato nel sangue. Che Laura e Ludovico fossero «serrati insieme» nella camera – come racconta il padre di lei nella lettera-confessione al re – non avrebbe scandalizzato nessuno, perché i due stavano insieme da quattordici anni e avevano avuto la bellezza di otto bambini, con il placet del marito di lei che, secondo lo studioso, non poteva avere figli.
«Il marito della baronessa, don Vincenzo La Grua – ricostruisce Pinnavaia – aveva interesse a risparmiare il rivale perché, secondo la Lex Iulia, avrebbe avuto diritto a metà del patrimonio dell’amante». Quanto al padre, Cesare Lanza, avrebbe potuto mettere le mani sulla dote della figlia. Fatto sta che il vicerè di Sicilia, il 2 febbraio del 1564, informa la Corte di Spagna che qualcosa non torna nella vicenda e accusa di falsità il difensore dei due.
La storia del delitto d’onore, insomma, sarebbe stata tirata fuori per dare una copertura per così dire etica e soprattutto giuridica al pasticciaccio. Cesare Lanza riebbe i suoi beni e dopo dieci anni – morta la prima moglie – si risposò ed ebbe nove figli. Quanto a Vincenzo La Grua, diseredò i bambini avuti sulla carta da Laura Lanza e convolò a nuove nozze il 4 maggio 1565, dopo avere fatto incidere davanti alla stanza di Laura la scritta «Et nova sint omnia». E tutto sia nuovo.
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Inserito su www.storiainrete.com il 16 febbraio 2010