Il passaggio dei Pirenei dev’essere stato straordinariamente complicato. Per portare un solo libro dalla Spagna alla Francia ci sono voluti infatti ben 19 anni. Un volume oggettivamente “pesante”: non tanto per le sue oltre 700 pagine quanto per quello che quelle pagine contengono e che il titolo già fa intuire: “Les Mythes de la guerre d’Espagne 1936-1939”. Pio Moa, l’autore, vi smonta uno per uno i cliché – specie quelli positivi tanto cari alla storiografia progressista – della Guerra civile spagnola basandosi su ricerche condotte soprattutto negli archivi del Partito socialista spagnolo (PSOE). Quando è stato pubblicato in Spagna nel 2003 – col titolo leggermente diverso di “Los Mitos de la Guerra Civil” (La esfera de los libros editore) -, il libro è stato un successo memorabile, anche considerando l’argomento, le dimensioni e il fatto che si trattava pur sempre di un saggio di storia e non di un romanzo di Harry Potter: con oltre 300 mila copie vendute e ben sei mesi in testa alle classifiche dei libri più venduti l’autore è diventato un protagonista assoluto della scena editoriale e mediatica dando vita ad un fenomeno mediatico non diverso da quello scatenato in Italia da Giampaolo Pansa con i suoi volumi sulla nostra Guerra civile del 1943-1945. Opinione pubblica e comunità degli storici divise a metà tra estimatori e denigratori, con le immancabili censure su stampa e tv, attacchi violenti dagli “storici di professione”, difficoltà a presentare i propri libri, sistematica alterazione e demonizzazione delle sue tesi. Come sempre, quando si parla di guerre civili, le sfumature e le mezze misure non sono ammesse e così Moa, pur sostenuto da qualche voce isolata nei giornali e nell’accademia oltre che da una valanga di lettori, ha sperimentato sulla propria pelle cosa voglia dire criticare la “vulgata” progressista su cui si fonda la legittimità politica e culturale di molte forme di governo europee. A distanza di anni, con qualche sorpresa, lo schema si è ripetuto, pari pari, la scorsa estate in Francia dove l’editore “L’Artilleur” ha finalmente pubblicato il principale lavoro di Moa (che, ad esempio, in Italia non è stato mai tradotto)
A conferma che il “politicamente corretto” ha tempi di reazione assolutamente imprevedibili e imperscrutabili, la levata di scudi contro il libro di Moa in Francia è stata curiosamente molto lenta per poi esplodere con l’abituale virulenza. Dunque, l’edizione francese di “I Miti della guerra di Spagna” esce ai primi del 2022 e a marzo il supplemento culturale del quotidiano “Le Figaro”, “Figaro Magazine”, lo recensisce, positivamente ma sobriamente, con un breve articolo di Jean Sévilla. Da qui in poi silenzio fino a metà luglio quando un altro supplemento di “Le Figaro” – “Figaro Histoire” – decide di riprendere l’argomento e dedica una lunga intervista a Pio Moa: otto pagine a firma di Isabelle Schmitz e Philippe Maxence. Il silenzio continua. Poi, l’11 agosto, la stessa Isabelle Schmitz realizza un breve video su Facebook per rilanciare l’intervista: quattro minuti e mezzo per riassumere le tesi “scandalose” di Moa: la Guerra civile non è stata tanto il frutto della rivolta militare guidata da Francisco Franco nell’estate 1936 quanto, piuttosto, il risultato di un lungo lavorio portato avanti dall’estrema sinistra spagnola fin dal 1931 con una costante opera di destabilizzazione del Paese e di infiltrazione nei gangli del potere. Un processo durato più di cinque anni e che ha avuto, secondo Moa, due momenti chiave: il primo nell’ottobre 1934 con la cosiddetta “Rivoluzione delle Asturie”, una sanguinosa sollevazione organizzata in alcune città da anarchici, socialisti e comunisti per abolire la costituzione repubblicana del 1931 e instaurare una “repubblica socialista” al posto del governo conservatore che in quel momento governava la Spagna e che represse duramente la rivolta con l’aiuto dell’esercito. Il secondo momento chiave arrivò un anno e mezzo dopo con quella che Moa definisce «la falsificazione delle elezioni del febbraio 1936» da cui uscì vincitore, sia pur di misura, il fronte progressista che subito diede il via ad una serie di azioni “eversive” incluse persecuzioni anti cattoliche e l’occupazione delle terre da parte dei contadini e la liberazione di molti detenuti. Era il via ad una stagione di grande instabilità, politica e sociale, con violenze da entrambe le parti che culminarono con l’Alzamiento dell’esercito guidato da alcuni generali tra i quali sarebbe presto emerso Francisco Franco.

L’aver messo in discussione l’assunto/dogma secondo il quale la Guerra di Spagna sarebbe stata scatenata dalla reazione repubblicana – quindi “democratica” – al colpo di Stato militare – di conseguenza “reazionario” e “fascista” – è costato a Moa una riedizione delle contestazioni e critiche già sperimentate in patria e che ricordano molto da vicino quelle rivolte, nel tempo, a Giampaolo Pansa in Italia. Indignazione come se piovesse, uso a man bassa delle qualifiche di “falsario” e di “pseudo-storico”, accuse di uso improprio di documenti e l’assegnazione d’imperio al campo dell’ “estrema destra” in quanto “revisionista” e quindi apologeta del franchismo,. Che Moa abbia un passato di estrema sinistra non sembra aver rilievo eppure quest’uomo di ormai 74 anni, dall’espressione furba in un look da geometra fuori dall’orario di lavoro, tutto camicie a quadri, cardingan un po’ fané, giacche larghe e sformate, occhiali che non sarebbero dispiaciuti a Mastro Geppetto, ha un passato decisamente movimentato. Classe 1948, sotto il franchismo Moa, comunista di tendenza maoista, è stato addirittura un giovane terrorista dei GRAPO (Gruppi di Resistenza Antifascista del Primo Ottobre). Poi, sembra, la svolta in età matura: nel 1996, a 48 anni, in vista del sessantesimo anniversario dello scoppio della guerra civile, Moa inizia ad approfondire il tema che evidentemente non ha smesso di dividere non solo gli spagnoli ma anche i francesi. E lo fa frugando negli archivi, a differenza del nostro Pansa che, giornalisticamente, ha per lo più riordinato – usando a volte la forma del racconto romanzato – testi già pubblicati ma rimasti nell’ombra e testimonianze raccolte nel tempo sul “Sangue dei vinti”. Tanto nel caso di Pansa che in quello di Moa il risultato è stato eclatante: percorrendo strade diverse si è arrivati a scoprire o a riscoprire fatti e personaggi in grado di integrare – e a tratti smentire – il racconto di due guerre civili devastanti, raccontate spesso a senso unico. E che, in entrambi i casi, incrinando anche solo un po’ la narrazione dominante, si siano toccati punti sensibili lo dimostra, una volta di più, la virulenza delle reazioni.
Con una rabbia inversamente proporzionale alla velocità dei tempi di reazione dimostrati, il fronte dei “buoni”, una volta messo a fuoco il “pericolo”, ha saturato gli spazi mediatici di mezzo agosto sui media francesi con proteste e indignazioni variamente assortite. Ecco come il quotidiano “Liberation” – che sta alla Francia come “Repubblica” sta all’Italia – ha documentato la cosa: «Politici, storici e altri accademici – ha scritto “Liberation” il 18 agosto – hanno reagito su Twitter rimproverando a Le Figaro di aver riportato tesi revisioniste sulla guerra di Spagna e sul regime autoritario instaurato da Franco, uscito vittorioso dal conflitto durato quasi tre anni. Lo storico Charles Heimberg ha denunciato “Un odioso video della rivista Figaro che ripropone le bugie sulla guerra di Spagna dell’impostore Pío Moa. È un’apologia di un crimine contro l’umanità. Assolutamente disgustoso”. Dalla parte dei leader politici, le critiche sono arrivate soprattutto dai membri eletti del Nupes (il cartello elettorale di estrema sinistra presentatosi alle elezioni in Francia sotto la guida di Jean-Luc Mélenchon, NdR). Gli insoumis (cioè esponenti del partito di Mélenchon, La France Insoumise, NdR) Clémentine Autain, Antoine Léaument e Thomas Portes, il comunista Ian Brossat e l’ecologista David Cormand, tra gli altri, hanno espresso la loro sgomento».
E poi ci sono gli storici. In un centinaio non hanno resistito all’istinto pavloviano della sinistra impegnata di raccogliersi intorno ad un appello che, nel caso specifico, ha preso la forma di una lettera aperta inviata a “Le Figaro” (reperibile a questo link: https://mensuel.framapad.org/p/lettre-ouverte-le-figaro-9vzk): «Noi, ispanisti, storiche e storici specializzati sulla Spagna, siamo sconcertati dalla copertura mediatica data a Pío Moa da “Le Figaro Histoire”. Non solo la rivista gli ha concesso una lunghissima intervista il 25 luglio, ma la vice caporedattrice, Isabelle Schmitz, ha pubblicato un video promozionale sui vari social network del quotidiano nazionale. Non avevamo idea che un discorso del genere potesse essere trasmesso da questo importante quotidiano. Pío Moa non è uno storico: non ne ha né il metodo né l’etica. Inoltre, nei commenti bibliografici al suo ultimo libro, rifiuta di utilizzare l’apparato critico di note e riferimenti, che è l’unica garanzia del rigore scientifico delle sue argomentazioni. Per un quarto di secolo, questo autore ha affermato presunte verità, senza suffragarle; eppure queste negano i fatti elementari, dimostrati e riconosciuti dall’intera comunità accademica. La storia della Seconda Repubblica, della Guerra Civile e del franchismo non è consensuale, tutt’altro; è attraversata da vigorose controversie storiche, che spesso hanno una carica ideologica. Si tratta, tuttavia, di incontri tra persone che condividono le regole di base del processo scientifico e concordano su una base fattuale – proprio quella che Pío Moa nega. Le sue tesi, inoltre, non sono nuove, ma si limitano a ripetere la propaganda ufficiale della dittatura franchista. Pío Moa è poco più di un “polemista osceno”, per usare una frase di Bernanos in I grandi cimiteri sotto la luna. (…) In realtà, la sua legittimità si basa esclusivamente sul successo commerciale dei suoi libri. Ciò è direttamente collegato all’ascesa dell’estrema destra, che trova nei suoi scritti materiale per armare il proprio discorso. (…) In questo contesto, dare a questo autore una tale tribuna, spacciare questi scritti pamphletistici come opere storiche innovative, diffondere e legittimare tesi palesemente false, significa partecipare, volenti o nolenti, a questa ondata di banalizzazione e legittimazione delle pratiche e dei discorsi dell’estrema destra».
Insomma, i detrattori di Moa hanno avuto tutto lo spazio necessario per far capire chi sono e cosa pensano. Ora vediamo l’altra faccia della medaglia anche per toccare con mano come, al solito, certi ambienti amino enfatizzare e ritoccare la realtà per piegarla ai propri desideri. La dimostrazione lampante di come, da certe parti, si giochi sporco – peraltro, accusando allo stesso tempo l’avversario di giocare sporco… – sta nel fatto che, udite udite, il povero Pio Moa è tutt’altro che isolato e screditato. Per brevità, a sostegno di questa evidenza, basterà cedere la parola allo storico che ha curato la prefazione dell’edizione francese di “Les Mythes de la guerre d’Espagne”. In un’intervista pubblicata il 14 agosto scorso dalla rivista di geopolitica “Conflits”, Arnaud Imatz, storico transalpino specialista in storia spagnola e, in quanto tale, membro dell’Accademia Reale di Storia di Spagna, dichiara: «Essendo stato all’inizio, in un certo senso, una vittima collaterale del linciaggio mediatico di Moa in Spagna, mi ci sono voluti anni prima di decidere di superare i miei pregiudizi e leggere questo autore “sulfureo”. Un passo che i censori di Moa – per lo più accademici socialisti-marxisti favorevoli al Fronte Popolare, ma anche “specialisti” preoccupati della propria promozione, per non parlare delle schiere di neo-inquisitori che oggi dilagano sui social network – si rifiutano ostinatamente di compiere. Non si fanno patti con il diavolo! Da parte mia, devo ammettere che da questa lettura di Moa sono uscito colpito e sorpreso e, soprattutto, con la ferma convinzione che, contrariamente a molti dei suoi critici, egli risponda ai criteri dello storico onesto, sincero e disinteressato». E a proposito dell’isolamento storiografico dell’autore de “I Miti della Guerra Civile”, aggiunge: «Pochi accademici e storici indipendenti hanno osato prendere le parti di Moa. Alcuni, tuttavia, sono famosi. Tra questi: Hugh Thomas, José Manuel Cuenca Toribio, Carlos Seco Serrano, César Vidal, José Luis Orella, Jesús Larrazabal, José María Marco, Manuel Alvarez Tardío, Alfonso Bullón de Mendoza, José Andrés Gallego, David Gress, Robert Stradling, Richard Robinson, Sergio Fernández Riquelme, Ricardo de la Cierva, ecc. C’è anche uno dei più prestigiosi specialisti, l’americano Stanley Payne, che ha scritto queste parole particolarmente accurate e istruttive: “Il lavoro di Pío Moa è innovativo. Introduce una ventata di aria fresca in un settore vitale della storiografia spagnola contemporanea, che per troppo tempo è stato rinchiuso in monografie anguste, formali, antiquate, stereotipate e soggette al politicamente corretto. Chi non è d’accordo con Moa deve confrontarsi seriamente con il suo lavoro. Devono dimostrare il loro disaccordo attraverso la ricerca storica e l’analisi rigorosa, e smettere di denunciare il suo lavoro attraverso la censura, il silenzio e la diatriba, metodi che sono più caratteristici dell’Italia fascista e dell’Unione Sovietica che della Spagna democratica”».
Vediamo adesso alcune delle affermazioni più “scandalose” di Pio Moa così come sono state formulate nella “scandalosa” intervista a “Figaro Histoire”. Su tutto c’è la convinzione – ripetiamolo, maturata soprattutto setacciando gli archivi delle organizzazioni di sinistra – della natura antidemocratica del fronte repubblicano prima e durante la Guerra civile. Una natura che, perfino con atti specifici, lo Stato spagnolo tende ad occultare (anche grazie ad alcune leggi come quella “sulla Memoria Storica” del 2007), preferendo offrire un’altra visione dei campi contrapposti: «Il Fronte popolare, cioè l’alleanza di sinistra, in genere vicina a Mosca, e i separatisti catalani e baschi, rappresenta il campo del Bene, mentre i suoi avversari, i nazionali, e tutto ciò che li rappresenta (statue, iscrizioni, ricordi pubblici) devono sparire. Questa legge riprende esattamente la propaganda del Fronte Popolare, che fu all’epoca diffusa all’estero dalla destra e da eminenti cattolici come Jacques Maritain o Georges Bernanos. Si parla quindi di “campo repubblicano” per indicare il Fronte popolare e affermare di conseguenza che la Repubblica era scomparsa in seguito al colpo di Stato franchista. In realtà, la Repubblica è stata distrutta dal Fronte popolare in due tappe. Per prima cosa con l’insurrezione d’ottobre 1934, poi con la falsificazione delle elezioni del febbraio 1936. Si tratta di due colpi di Stato che hanno portato all’instaurazione di un regime di terrore». E per non lasciare dubbi, Moa ricorda sempre a proposito della rivolta del 1934 che: «Le dichiarazioni ufficiali del PSOE erano prive d’ambiguità: “Il socialismo deve fare ricorso alla più grande violenza per rimpiazzare il capitalismo”». Queste le premesse, abilmente sostenute, ideologicamente e praticamente, dalla Russia di Stalin portarono allo scoppio della Guerra civile nel 1936: «La guerra – aggiunge Moa – è nata dalla volontà di salvaguardare l’unità della nazione e la civiltà cristiana di fronte alla distruzione della legalità repubblicana da parte del Fronte popolare. E’ la sinistra che, appoggiandosi sulla teoria della guerra rivoluzionaria, ha deliberatamente provocato il conflitto, come provano i suoi stessi documenti».
E veniamo alla guerra-guerreggiata. Lo scontro, come è noto, fu brutale su entrambi i fronti, come Moa riconosce pur con qualche precisazione: «Durante la guerra ci fu una repressione sistematica su entrambi i fronti, con tre differenze tuttavia: il terrore è iniziato a sinistra; la repressione fu molto più sadica sul fronte repubblicano e fu esercitata anche all’interno del fronte repubblicano, tra socialisti, anarchici, comunisti, separatisti con esecuzioni di massa». Per essere più preciso poi Moa fornisce qualche cifra per dare l’idea della mattanza che si scatenò in Spagna tra il 1936 e il 1939: «La guerra ha fatto circa 200 mila morti trai combattenti di una parte e dell’altra, 55 mila vittime della repressione repubblicana e 50 mila vittime della repressione dei nazionali, ai quali bisogna aggiungere, alla fine delle ostilità, 14 mila esecuzioni e cinquemila vittime di regolamenti di conti, il che porta a 69 mila il numero dei repubblicani vittime del campo nazionale». Con queste cifre, Moa riduce di molto le stime che la propaganda anti-franchista ha diffuso fin dagli anni Quaranta sulle vittime dei primi tempi del Franchismo: «Franco è accusato di aver fatto fucilare 200 mila persone. Ma, stando alla realtà degli archivi generali della repressione post-guerra conservati ad Avila, solo 14 mila persone, colpevoli di furti e di crimini sadici, sono state giustiziate in seguito a sentenze di tribunale, cosa che ci permette di fissarne il numero preciso. I nazionali non sono stati, evidentemente, esenti dal commettere crimini. Ma si sono limitati al periodo della guerra, In seguito, la legalità si è imposta». E a questo proposito, non si può non rilevare l’ironia con cui Moa ricorda l’affannosa ricerca in atto da anni in Spagna delle fosse comuni in cui i franchisti avrebbero sepolto le loro moltissime vittime: «Sono vent’anni che si cercano, con fondi pubblici, le fosse nelle quali sarebbero state sepolte 130 mila persone circa. Ad oggi, sono stati esumati i resti di mille/duemila persone tra le quali alcuni erano soldati e altre vittime del Fronte popolare…». In un caso – a Orgiva (Grenada), nel 2003 – addirittura si è dato molto risalto mediatico alla scoperta di una fossa che poi si è rivelata piena di ossa di animali, notizia poi messa in sordina al punto che ancora oggi quella fossa è inclusa nell’elenco di quelle delle vittime del franchismo. Sempre su questo filone Moa smonta alcuni luoghi comuni della storia come la morte del poeta Garcia Lorca (ucciso per una faida familiare anche se il suo assassino apparteneva al Fronte nazionale) o il celebre bombardamento di Guernica (invano osteggiato dai franchisti e che comunque ha fatto registrare molte meno vittime di quanto si è sempre detto: non seimila morti – più dell’intera popolazione della cittadina – ma alcune centinaia). Molto dettagliate anche le ricostruzioni sulle persecuzioni anti-cattoliche messe in atto dai anarchici, socialisti e comunisti: oltre a chiese e conventi bruciati, reliquie e opere d’arte distrutte, furono almeno settemila i religiosi uccisi (tra cui 13 vescovi) e tremila i laici eliminati solo per la loro fede: «Il Fronte popolare voleva sradicare il passato cristiano della Spagna, al punto di disseppellire i cadaveri dei religiosi».
Anche sulle ragioni della vittoria di Francisco Franco, le posizioni espresse da Moa hanno suscitato molta indignazione e proteste. E non è difficile capire il perché visto che contraddicono totalmente la lettura prevalente della Guerra Civile spagnola vista, manco a dirlo, come uno scontro epocale tra Democrazia e Totalitarismi: «Franco ha trionfato perché aveva l’appoggio di gran parte della popolazione. Non bisogna dimenticare che gli spagnoli avevano conosciuto la guerra civile e vissuto, sotto il Fronte popolare, un misto di terrore, carestia e crimini. (…) La stragrande maggioranza degli spagnoli non voleva ritornare a quel caos. Alcuni appoggiavano Franco per simpatia, altri per interesse. Lui era politicamente molto abile. Non dimentichiamo che il franchismo non è stato un regime a partito unico ma che si è fondato su quattro formazioni politiche: Falange, carlisti, monarchici e cattolici (…) Il franchismo non costituisce una ideologia precisa. E’ un sistema d’equilibrio tra forze diverse garantito dalla personalità di Franco. (…) Con il franchismo è apparsa una nuova società, più riconciliata, più prospera, senza estremismi. Paradossalmente la democrazia è arrivata in Spagna solo grazie al franchismo».
Non a caso, forse, tra i libri che Moa sforna a ritmo continuo ci sono anche studi specifici molto positivi su Francisco Franco: ad esempio “Franco, un balance histórico” (Planeta. 2005) e “Los mitos del franquismo. Una revisión en profundidad de una época crucial” (La Esfera de los Libros, 2015). Posizioni non condivise a volte anche da chi apprezza il lavoro di Moa, come il già ricordato Arnaud Imatz che ha ricordato che, comunque, insieme ai lati negativi del regime franchista (censura, negazione della democrazia, repressione poliziesca, nessun ricambio di classe dirigente) vanno riconosciuti i successi di quel lungo governo: «…gli indiscutibili successi economici tra il 1961 e il 1975 (gli anni del “miracolo spagnolo”, con una crescita del PIL compresa tra il 3,5% e il 12,8%, che ha permesso alla Spagna di salire al 9° posto tra le nazioni industrializzate, mentre oggi si trova al 14° posto); in secondo luogo, Franco e i franchisti hanno sconfitto il Comunismo (che all’inizio della guerra civile era minoritario, ma è diventato egemone durante il conflitto) e hanno anche permesso alla Spagna (prima neutrale e poi non belligerante) di sfuggire alla Seconda guerra mondiale; e, infine, hanno arginato il separatismo e salvato l’unità del Paese. Inoltre, è stata la destra moderata franchista a prendere l’iniziativa di instaurare la democrazia, mentre la sinistra ha avuto l’intelligenza politica di adattarsi e contribuire al consolidamento della democrazia».
E si potrebbe continuare a lungo perché la produzione di Moa è decisamente ampia e spesso i suoi libri contano varie centinaia di pagine. Una lettura che però in Italia non è possibile visto che nessun libro di Moa è ancora stato tradotto nella nostra lingua. In realtà, lo scorso aprile una piccola casa editrice toscana, “Le edizioni della Meridiana”, ha teoricamente messo in commercio la traduzione de “Le origini della guerra civile spagnola” (pp. 415, € 20,00), ancora oggi presente su tutte le librerie virtuali ma, curiosamente, indicato come “non disponibile”. Una cosa ben strana per un libro appena pubblicato. Non è stato possibile capire il perché di questa stranezza ma non è detto che dietro ci sia un ripensamento viste le tesi di Moa e le “accoglienze” che, come si è visto, possono scatenarsi anche lontano dalla Spagna.