Oggi Giorgio Almirante avrebbe compiuto centodieci anni. Una figura che ha segnato la Prima Repubblica, sapendo dare un leader a una destra italiana nata sotto lo stigma della guerra perduta. Ha agitato le piazze ma ha tenuto la barra fissa sul fronte della lealtà alle istituzioni, nonostante queste minacciassero il suo partito di scioglimento, i militanti di persecuzione politica e spesso giudici e forze dell’ordine agissero non come arbitri imparziali, ma come giocatori scorretti nei confronti dei missini. Ma ha mancato un appuntamento epocale: quello di storicizzare il Fascismo, da cui il MSI proveniva, per adeguare il partito ai nuovi tempi. Una storicizzazione che sarebbe dovuta essere non l’abiura che avremmo visto una ventina d’anni fa, con quel “male assoluto” che non vuol dire assolutamente nulla e che ha fornito alle sinistre munizioni infinite nella polemica politica. Ma una maturazione, un mettere da parte odi e rancori e piazzare tutto nella bacheca di un museo. I tempi erano forse propizi all’inizio degli anni Ottanta, ma non fu presa la palla al balzo.
Nel 2017, in occasione del 70° anniversario della fondazione del MSI, Fabio Andriola intervistava su “Storia in Rete” Giuseppe Parlato, ordinario di Storia contemporanea e sicuramente il massimo esperto di destra, anzi di destre al plurale, nel nostro paese, autore nel 2006 di un fondamentale saggio sulle origini del neofascismo italiano e quindi anche del MSI: «Fascisti senza Mussolini» (Il Mulino).
Almirante è leader di un partito che attraversa la fase più cupa della storia repubblicana: gli Anni di Piombo. Non è facile essere “di destra” in quel momento, in Italia. “i tuoi compagni di classe che vanno ai cortei della Figgiccì (i giovani del PCI) anche se siamo solo alla fine della terza media, il sabato pomeriggio in centro a cercare l’ultimo disco del tuo cantante preferito e il solito corteo di Lotta Continua che sfila augurandoti – anche se non ti conoscono e tu neanche li conosci – di finire appeso a testa in giù…” scrive Andriola.
«Il MSI è stato un fenomeno originale, diverso da tutti gli altri partiti della Prima Repubblica perché fin dalla nascita volle essere, in un certo senso, “impolitico” – spiega Parlato – Non puntava, come naturale per ogni formazione politica, al potere, non prometteva neanche posti di lavoro ai suoi aderenti. Il MSI esiste dal primo giorno soprattutto per tramandare un’idea ed una identità sconfitte nella Seconda guerra mondiale». Questa origine è alla base di tutta una serie di conseguenze, che Almirante affronta: c’è una destra neofascista, che fatica a diventare post-fascista, storicizzando senza negare quell’esperienza, e poi c’è la destra “nazionale: cattolica, democratica, anticomunista, decisa a condizionare da destra la Democrazia Cristiana, disposta ad un accordo con i monarchici”, dice Parlato. Nonostante Almirante fosse il campione della prima, riuscì a tenere insieme nel suo partito entrambe queste anime.
«Almirante è stato il maestro dei sentimenti in un partito “sentimentale”. – continua Parlato – Ha assecondato la visione politica dei militanti come visione sentimentale, usando sia il tasto della nostalgia sia quello del rancore. E poteva far questo meglio di chiunque altro perché nessuno, nel MSI, conosceva il partito come lui. Conosceva ogni sezione, ogni dirigente, era stato in ogni paesino, anche per incontrare un pugno di militanti, Non aveva la visione politica del suo predecessore Michelini ma seppe incarnare l’anima missina come nessun altro. Per certi versi è lui che inventa la politica spettacolo e incarna la personalizzazione della leadership: Almirante è l’MSI molto più di quanto De Gasperi sia stato la Dc o Togliatti il Pci. E lo è stato per la sua grande capacità di sollecitare i sentimenti e l’emotività della base».
Ma la politica è anche altro: se Michelini, aveva cercato una via d’uscita dall’angolo, Almirante in quest’angolo “ci si trovava benissimo”. Nel 1969 assume la guida del MSI e “in breve trasforma il partito e, grazie anche al rientro di Pino Rauti e del gruppo di Ordine Nuovo, fa emergere le varie anime del partito cui dare, alternativamente voce e mantenere il controllo: c’è la destra nazionale, ci sono i corporativisti, gli alfieri dell’alternativa al sistema”.
E qui emerge il principale limite di Almirante, probabilmente anche per il suo dato biografico di reduce della RSI. Il partito non riesce infatti a “storicizzare” il Fascismo, cosa che si poteva forse ancora fare in un’epoca lontana dagli isterismi della cancel culture e del politicamente corretto, in cui – viventi molti protagonisti e testimoni del suo tempo – si poteva stilare un bilancio freddo ed equilibrato, chiudere un capitolo del passato e guardare al futuro. I primi anni Ottanta, con certe, impensabili aperture da parte dell’Arco Costituzionale (si pensi alla clamorosa mostra AnniTrenta nella Milano a guida PSI) sarebbero stati il momento giusto.
Ma l’onda lunga degli Anni di Piombo paralizza Almirante in una politica dei “due forni”. L’esperienza della destra nazionale, l’inclusione di monarchici e uomini di destra o “d’ordine”, spiega Parlato nella sua conversazione con Andriola, “cozza con la volontà di mantenere viva – anche grazie al clima degli Anni di Piombo – l’ala militante del partito”.
Almirante però ha compreso un fatto fondamentale: che il suo è un partito soprattutto di militanti, e che non poteva diventare un “partito d’opinione”, che desse voce alla “maggioranza silenziosa moderata, conservatrice, anticomunista”. Questa, quando andava alle urne, avrebbe comunque finito per votare DC. «Almirante preferisce tenersi la base, ridotta ma sicura, dei militanti – dice Parlato – Il MSI torna ad essere soprattutto un partito di testimonianza. Probabilmente, così facendo, scegliendo la militanza».
Nessuno può fare di questa scelta una colpa, per Almirante. Chi poteva, infatti, immaginare che di lì a pochi anni anziché viaggiare verso una pacificazione nazionale e un abbraccio fra cittadini di una stessa repubblica ma di opinioni e sentimenti diversi, si sarebbe finiti nelle gore del politicamente corretto? “Nei primi anni Ottanta – ha detto Alessandro Amorese, presidente della Commissione cultura della Camera al 2° convegno Machiavelli Cultura, lo scorso 25 giugno – si vedevano cose oggi incredibili, come i sindaci di Roma e Milano, comunista e socialista rispettivamente, affidare a un intellettuale come Giano Accame importanti iniziative culturali. Oggi ti trovi davanti persone che ti attaccano senza nemmeno voler sapere chi sei, senza nemmeno volerti conoscere”.
Del resto, le sinistre non vogliono la storicizzazione, perché significherebbe ragionare con freddezza e onestà intellettuale sul passato, ma pretendono abiure, il che implica odiare e detestare pubblicamente l’eresia. Possono mai rinunciare a una tale rendita di posizione? Tanto più nell’epoca del woke, in cui i sentimenti contano più della realtà fattuale? Persa quell’occasione, negli ultimi due decenni del XX secolo, non se ne profila una nuova all’orizzonte.
Nella storia, insomma, certi treni passano una volta sola.