di Marcello Veneziani, dal suo sito, 30 agosto 2015
Leo Longanesi fu breve: breve nella statura; fu breve nel nome; fu breve nella prosa, perché si esprimeva con aforismi; fu breve nella conversazione, con battute folgoranti; fu breve, purtroppo, anche nella vita. Quindi, parlare di lui brevemente, significa seguire omeopaticamente il suo destino di scrittore e di uomo. Vorrei, dunque in breve, sostenere una tesi in apparenza cornuta e cioè che Longanesi è più vivo e più inattuale che mai. E le due cose non sembrino in contraddizione.
Longanesi ha tentato un progetto culturale giornalistico che forse oggi non viene valutato nella sua pienezza. Pochi, al di là dell’effervescenza di Longanesi, si sono soffermati invece su quello che poteva essere un progetto culturale. Longanesi tentò, soprattutto nel dopoguerra -mi riferisco al Longanesi più maturo ma anche nel Longanesi più giovane c’era la stessa aspirazione in nuce– di far nascere in Italia un giornalismo conservatore attraverso il progetto di un “Italiano in Borghese”, volendo sintetizzare due sue famose testate. Il suo fu un tentativo di dare dignità, cultura e anche ironia frizzante ad un arcipelago piuttosto spento e trombone, quello dell’universo conservatore liberandolo dal clericalismo, ma non affrancandolo dal cattolicesimo che Longanesi coniugava allo spirito mediterraneo, solare, vivo. Longanesi cercava di dare anche una dignità ed una consapevolezza del suo ruolo sociale, storico e culturale alla borghesia.
Da anni parliamo delle fragilità della borghesia italiana. Longanesi cercò di darle all’epoca un’anima, un’intelligenza e un volto e vi riuscì nel corso dei suoi anni attraverso le sue pubblicazioni. Non ebbe giornali di grandissima tiratura, “Il Borghese” non ha mai superato le 20-25.000 copie quando era diretto da Leo Longanesi; sfondò solo dopo con Mario Tedeschi. Questo dimostra quanto sia stato elitario, un po’ come “Il Mondo” di Pannunzio; ma dall’altra parte fa emergere quanto sia stato difficile far nascere una rivista vivace ma di buon gusto che avesse quella finalità, quel disegno editoriale e civile.
Ci fu anche in lui un tentativo di tradurre il giornalismo in politica, attraverso il mito del giornale-partito, come poi tentarono di fare su altri versanti anche Eugenio Scalfari ed altri, attraverso la nascita dei famosi circoli de “Il Borghese”, che cinquant’anni anni fa nascevano in tutta Italia e che riuscirono ad ottenere un fragoroso insuccesso. Perché? Perché l’ipotetico partito conservatore italiano di Longanesi era un partito profondamente impolitico, i cui soci erano in realtà o clandestini o dimissionari, nel senso che non accettavano di entrare in un partito, odiavano tutti i partiti, compreso il proprio. E questa credo che sia un po’ la tara del conservatorismo italiano e anche del conservatorismo attraverso i giornali. Tuttavia Longanesi perorò la sua causa cercando di far nascere ‘un italiano in borghese’. Questo progetto oggi appare del tutto impraticabile perché, da un verso, siamo passati da decenni di borghesia che si è vergognata di essere tale, (il mito del ‘radical chic’ nasce proprio da una borghesia che rifiuta di essere borghese e che vuol liberarsi dalle sue tradizioni, i suoi stili di vita, il suo status civile, morale e culturale) e, dall’altra parte, da una italianità che rifiuta di essere italiana attraverso forme di imitazione di modelli internazionali, russi per un periodo, americani per un altro o contemporaneamente in molte fasi. Ne è emersa l’impossibilità di far nascere ‘un italiano in borghese’ nel nostro paese perché da una parte ci si vergognava di essere italiani e dall’altra ci si vergognava di essere borghesi. Credo che questo sia stato un po’ il limite del progetto di Leo Longanesi. Così nacque questa Italia centrista, moderata ed estremista, che già Longanesi fotografò; questa Italia che non sa che farsene della destra e della sinistra, che va avanti, come diceva lui, “ad acquasanta e acqua minerale”. E colse nel segno anche con l’acqua minerale perché noi siamo l’unico paese che ha inventato l’acqua minerale centrista, né liscia né gasata, la mitica via di mezzo o terza via ad uso idrico. In questo credo che siamo stati fedeli all’intuizione longanesiana di paese centrista e di un paese che, come diceva lui, è “formato da estremisti per prudenza”; oggi dovremmo anche aggiungere un paese di moderati per cinismo. Di conseguenza di fronte a questa realtà e a questo scenario era difficile far fruttare il progetto di Leo Longanesi anche perché successivamente il boom economico ha trasformato la borghesia in ceto medio, grande bestione sempre più grosso, un cetaceo più che un ceto, che ha determinato l’involgarimento della borghesia, la perdita del suo livello culturale, la borghesia come status di consumo e non status di valori, di costume e cultura. Col paradosso che l’unica borghesia colta e leggermente razzista, è quella che rinnega se stessa, mediante la scelta radical.
Quindi è in questo senso che oggi si deve parlare dello scacco di Longanesi rispetto al nostro presente e della sua vitalità correlata a questa sua assoluta inattualità. Alla fine ha trionfato quello che Longanesi chiamava “l’uomo biscotto”, cioè l’uomo dalla testa così fragile che se lo intingi in una tazza di latte si scioglie. Questo è il conformismo rimasto, che può essere destrorso o sinistrorso.
Doverosa avvertenza. Non facciamo di Longanesi una specie di Gramsci. Longanesi fu semmai un anti-Gramsci perché il suo progetto non fu quello di organizzare la cultura, ma di disorganizzarla, di liberarla da ogni ceppo militante di organizzazione. Anche in epoca fascista, tanto più allineata apparve la cultura longanesiana ai dettami di regime, tanto più disorganica, vivace e scapigliata fu nella prassi e nella consuetudine. E ancora più nel dopoguerra; Longanesi pensò ad uno stile, ad gusto, ad un’estetica, ma si guardò bene dall’auspicare la nascita di una borghesia ideologicamente compatta e simmetrica al comunismo e alla sinistra. Fautore dell’ordine si distinse per il suo disordine creativo.
Credo che si debba pensare a Longanesi come ad uno straordinario inattuale, uno che oggi non avrebbe spazio. Molti dicono “Ah, ne avessimo oggi di Longanesi”, ma vi assicuro che se ci fosse, per caso, qualche Longanesi in giro, sarebbe chiuso in un cesso o scriverebbe su un giornale di serie B. Sarebbe trattato peggio di come fu trattato Longanesi, visto con diffidenza dai grandi giornali e dai grandi editori, e detestato dalla grande cultura di questo paese. Ma sotto sotto lo ammiravano, lo leggevano, lo consideravano. Oggi temo che non accadrebbe neanche questo. Longanesi sarebbe pienamente riconosciuto nella sua inattualità, e quindi scansato. Questo è il trionfo e al tempo stesso la sconfitta di Leo Longanesi.
Per finire omeopaticamente, una decina di pensieri dedicati a lui:
* Da cinquant’anni Longanesi è morto. Ma sono numerosi i viventi del giornalismo italiano che sono morti più di lui.
* In piedi e seduti. Il miracolo di Longanesi: tra Malaparte e Montanelli era l’unico che riusciva a stare in piedi sembrando di star seduto.
* Longanesi fu mezzo conservatore, mezzo anarchico, ma soprattutto mezzo.
* Anche del Novecento visse mezzo Secolo d’Italia.
* Longanesi fondò L’Italiano presentandolo come “settimanale della gente fascista”. Ma non fu settimanale perché diventò presto mensile; non fu per la gente perché fu per pochi, singoli lettori; e non fu fascista, perché allevò spiriti critici e antifascisti.
* Longanesi fu fascista ironico e all’antica. Ai dissidenti avrebbe dato rosolio di ricino.
* Mussolini secondo Longanesi fu l’amante e non lo sposo dell’Italia; questo spiega la passione che suscitò in vita e l’odio bestiale in morte, che si accanì contro il suo corpo. Dopo, l’Italia ha avuto amanti lontani, russi o americani; varie zie, precettori e governanti, ma non si è mai maritata.
* Col voto libero e il suffragio universale gli italiani scelsero a grande maggioranza partiti non liberali, dividendosi tra nostalgici del Papa Re, della monarchia e del fascismo, e fautori del comunismo, del socialismo e della dittatura del proletariato. Usarono la libertà per invocare l’autorità.
* Longanesi non separò mai la borghesia dal suo habitat nazionale e naturale, l’italianità. Sognò una borghesia cattolica, solare, mediterranea, allegra e tradizionalista. Ma il sogno annegò tra filistei, mariuoli e creme abbronzanti.
* Il conformista per Longanesi oscilla tra furbizia e imbecillità. Quando prevale la prima è sempre col potere, quando prevale la seconda viaggia con un regime di ritardo.