Ha il sapore dell’ordine di scuderia l’intervista fatta circolare dall’ANSA col titolo: “Roma, cancellare gli omaggi al fascismo: cosa ne pensa la gente”. Una sorta di secchiata di benzina sulla polemica di cancel culture a proposito del generale Vannacci e delle sue opinioni non gradite ai wokeisti.
In effetti quella della cancellazione delle vestigia fasciste non si capisce bene se è uno spin che stava andando a male in frigo e doveva essere tirato fuori prima della data di scadenza oppure se c’è un interesse a fomentare la polemica del momento. D’altronde quello della cancel culture pare a tutti gli effetti il tallone d’Achille di una maggioranza non esattamente cuor di leone nella guerra culturale dichiarata dal wokeismo alla civiltà occidentale…
In ogni caso, è chiaro a chiunque abbia anche solo un minimo d’esperienza giornalistica che si tratta di un servizio raffazzonato e confezionato in fretta e furia, con domande nemmeno chiare (cancellare le scritte? Demolire i monumenti?). Cinque gli intervistati, di cui quattro a favore dell’ipotesi prospettata dal giornalista ANSA e uno contrario. Interessante anche il fatto che sebbene il servizio parli di Roma (città guidata da una giunta ultra-wokeista, già attivissima sul fronte cancel culture e gender) nessuno degli intervistati abbia esattamente un accento trasteverino…
Ma al di là degli elementi di colore, come il fatto che uno degli intervistati favorevoli alla cancel culture confonda il termine “inedia” con “inerzia” (o forse voleva dire “ignavia”?), dando così un certo metro di giudizio a chi guarda, quello che più colpisce è che l’anonimo cronista sbattuto per strada sotto la canicola a cercare qualcuno a cui infilare il microfono sotto il naso non sappia neppure bene su cosa stia intervistando.
La domanda, infatti, parte con un “si parla di…” (tipico espediente giornalistico per far credere al lettore meno avveduto che esiste effettivamente un dibattito in materia, per non dover dichiarare “mi sto inventando la cosa su due piedi perché mi hanno detto di parlarne”). Dopodiché, a colpi di montaggio analogico, il cronista ANSA finisce per chiedere l’opinione a un passante sulla “scritta DUCE che è sull’obelisco dell’EUR”.
Ora è alquanto noto che non c’è alcuna scritta “DUCE” sull’obelisco dell’EUR. Quello nel quartiere nuovo voluto da Mussolini è un obelisco dedicato a Guglielmo Marconi, opera dello scultore Arturo Dazzi. Sebbene commissionata dal regime fascista nel 1939 venne completata sotto gli auspici della Repubblica Italiana fra 1951 e 1959, non senza qualche mal di pancia già all’epoca (ma allora c’era gente che la guerra l’aveva fatta, mica come oggi che al massimo ci sono cosplayer dei partigiani, in giro…).
Il mal consigliato giornalista ANSA forse voleva riferirsi al Monolite del Foro Italico, sul quale non c’è la scritta DUCE, bensì MUSSOLINI DUX (in latino). Opera da primato (è uno dei monoliti più grandi del mondo e il suo trasporto da Carrara a Roma fu epico), è stato anche protagonista di una non secondaria ed estremamente istruttiva storia, raccontata da uno che fascista non lo era di certo: Sandro Curzi.
Lo storico direttore del TG3 Sandro Curzi aveva raccontato che alla Liberazione lui – quattordicenne – e i suoi compagni del gruppo partigiano operante nella zona di Ponte Milvio e Flaminio provarono a minare l’obelisco ma furono fermati da un anziano comunista. La motivazione pare fosse che quello era «un monumento al popolo e ai lavoratori», prima che al Duce del Fascismo. L’episodio è riportato da «L’Italia de noantri» di Aldo Cazzullo.
Insomma, un mostro sacro del giornalismo italiano nonché comunista DOC dalla tomba dà una bella lezione a questi poveretti wokeisti, che sono spinti a voler buttare giù statue e monumenti e cancellare iscrizioni, ma non sanno neppure di cosa stanno parlando.