Botta e risposta sul quotidiano torinese “La Stampa” fra la studiosa Barbara Frale – sostenitrice dell’autenticità della Sindone – e Luciano Canfora, a caccia di falsi storici da smascherare dopo il caso del Papiro di Artemidoro. Ecco qui di seguito l’articolo di Mario Baduino con le rivelazioni di Barbara Frale e la successiva intervista di Luciano Canfora e la risposta della Frale al filologo.
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LE INDAGINI DELLA STORICA BARBARA FRALE
“La Sindone è vera, vi spiego perché”
MARIO BAUDINO – La Stampa del 21/7/2009
Le misteriose testimonianze sul culto di un idolo o di un volto demoniaco andrebbero così riferite ai pochi eletti che ebbero modo di vedere la Sindone, ripiegata allo stesso modo in cui la conservava l’imperatore di Bisanzio. Ma di qui in poi, l’obiettivo cambia. Barbara Frale è sulle tracce più antiche della Sindone. Al centro di questa ricerca si staglia l’imprevedibile scritta in aramaico, pochi caratteri che tuttavia possono essere ricondotti a un significato del tipo: «Noi abbiamo trovato». Ma vengono proposti anche nuovi documenti, per esempio sull’arrivo nella capitale dell’Impero d’Oriente della preziosa reliquia. E contro la tesi che venisse adorato in realtà un «fazzoletto» con un ritratto dipinto (il mandylion), la studiosa esibisce un testo scoperto nel ’97 sempre alla Biblioteca Vaticana (dallo storico Gino Zaninotto). E’ un’omelia del X secolo in cui viene descritta la reliquia, che l’imperatore Romano I aveva mandato a prelevare nella città di Edessa.
L’autore è Gregorio il Referendario, arcidiacono della Basilica di Santa Sofia, incaricato della delicatissima operazione nell’anno 943. Non parla di un fazzoletto dipinto, ma di una grande immagine: pare proprio di leggere la descrizione della Sindone di Torino, che pure anni fa venne sottoposta all’esame del carbonio 14, usato per datare i reperti antichi, e dichiarata un manufatto medioevale. Come spiega la Frale questa contraddizione? «L’esperimento aveva, date le tecnologie a disposizione in passato, ampi margini di ambiguità. E poi non è stato condotto in modo verificabile», sostiene la studiosa. Ormai, aggiunge, non fa più testo. «I documenti mi portano molto più all’indietro nel tempo. Anche nel quarto secolo ci sono testi che parlano della Sindone».
Ma torniamo alle scritte, che in realtà sono più d’una: in greco, e anche in latino, scoperte a partire dal 1978. Lei spiega che non sembrano vergate sul lino, ma impresse per contatto, forse casuale, con cartigli e reliquiari. Che cosa dimostrano? «Quella in caratteri ebraici poteva essere un motivo importante per spiegare la segretezza di cui i templari circondarono la Sindone, in anni di fortissimo antisemitismo». Però c’è dell’altro: «Sì, c’è il fatto che dopo il 70 non si parlò più aramaico nelle comunità cristiane. E già San Paolo scriveva in greco». A cosa sta pensando, allora? «Ci sono molti indizi, direi un’infinità, che sembrano collegare la Sindone ai primi trent’anni dell’era cristiana. Per ora è una traccia di ricerca». Pensa che il testo si sia impresso prima del 70? «Quel che sappiamo del mondo antico ci costringe a formulare questa ipotesi». E qui la studiosa si ferma, rinviando al nuovo libro, La Sindone di Gesù Nazareno, che uscirà sempre per il Mulino prima di Natale. Ma non si sottrae alle domande. La prima è ovvia: come escludere che si tratti semplicemente di un «falso», nel senso di una reliquia costruita e modificata nel tempo?
Magari realizzata proprio sulla scorta dei Vangeli? «Innanzi tutto il mondo antico non ha mai avuto interesse a confermare i Vangeli. Non conosce il nostro concetto di riscontro o di prova. In secondo luogo le scritte possono essere datate, in base alla loro forma, alla grammatica, al contesto. Gli studiosi che le hanno esaminate le fanno risalire a un periodo fra il primo e il terzo secolo». Si ritiene però che l’archeologia del terzo secolo fosse molto diversa dalla nostra. La madre di Costantino trovò a Gerusalemme tutto ciò che desiderava, dalla croce alla casa di Pietro. «Non è così semplice. Quest’idea rischia di diventare un luogo comune. La questione dell’imperatrice Elena è un capitolo a parte».
Ultima osservazione: la Sindone riporta un’immagine tridimensionale. Per ottenerla non posso avvolgere semplicemente un corpo in un lenzuolo, come farei al momento della sepoltura. «No, deve fare molte altre cose, questo è vero. Però ricordiamoci che, data la sua sacralità, è difficile accostare e studiare l’oggetto stesso». Infatti queste scritte non sono mai state viste da nessuno, in tanti anni, anche quando la Sindone era, come lei spiega, molto meno sbiadita di adesso. «Tenga conto che veniva avvicinata raramente, e con una forma quasi di terrore sacrale. Io comunque non mi sono interrogata sulla sua formazione, perché sarebbe un tentativo di razionalizzare una materia dove lo storico, qualora lo faccia, si espone a troppi rischi, anche di figuracce. Come chi aveva spiegato la trasfigurazione di Cristo ricorrendo ai fenomeni ottici che si verificano sui ghiacciai. Preoccupiamoci piuttosto di studiare seriamente. L’unica cosa certa è che dobbiamo toglierci dalla testa di avere in mano, al proposito, le carte definitive».
“Quelle scritte sulla Sindone non provano un bel niente”
La nuova scoperta, dunque…
«Se lei la chiama scoperta, l’ammiro».
Sono i due studiosi a chiamarla così. Sostengono che una scritta in caratteri ebraici e in lingua aramaica rinvenuta solo ora sulla Sindone la daterebbe a un periodo anteriore al 70 d. C. Come mai? Perché dopo quella data, ci informano, l’aramaico smise di essere parlato.
«Va bene, esaminiamo questo ragionamento, se vogliamo chiamarlo così. Guardiamo da vicino su che basi si sostiene. Procederò pian piano, come suggerisce Orazio, per ignes suppositos cineri doloso, attento ai fuochi che potrebbero covare sotto la cenere ingannatrice».
Che cenere?
«Be’, quella deposta sulla guerra civile. In quest’ode Orazio sconsiglia a Asinio Pollione di scriverne la storia, roba scottante…».
Come le diatribe sulla Sindone?
«Per carità. La guerra civile è una cosa seria, le baruffe sulla datazione della Sindone no».
Lei ha un tono caustico.
«Davvero? Be’, vediamo un po’ la questione che abbiamo davanti. L’argomento portato dai nostri due studiosi è che nel 70 non si parlava più aramaico. E allora?».
E allora cosa?
«Ma scusi, la scritta può essere stata aggiunta in qualunque altro periodo. Il latino non si parla più da molto tempo, però lei magari scriverà nel suo articolo le parole dell’ode di Orazio. E allora?».
Barbara Frale sostiene che ci sono buone ragioni per credere che la scritta si sia impressa sul lino della Sindone «per contatto», forse casuale, con cartigli e reliquiari.
«Le scritte, tra l’altro, sono più d’una, non solo quella in aramaico, ci viene detto. Ce n’è anche in greco e in latino, un’enciclopedia! Un coacervo inconcepibile. Ma lasciamo stare, c’è ben altro».
Cioè?
«Sia sul vostro giornale sia sulla Repubblica la signora Frale ha ribadito la sua convinzione che la scritta si sia impressa sul lenzuolo per contatto. Dice d’essere persuasa che il testo con cui la Sindone entrò in contatto non fosse un libro ma un documento. Dunque ne è proprio convinta».
Si direbbe proprio di sì.
«Già, ma quando trasferisco per contatto la scrittura si capovolge. Anche nello pseudo-Artemidoro c’è una scrittura che si dice impressa, e naturalmente è capovolta. Qui non è successo, il che è assurdo, francamente. Viene in mente il grandissimo Boccaccio e la piuma dell’Arcangelo Gabriele di frate Cipolla. Certo era una piuma, quanto all’Arcangelo Gabriele… La Sindone è sicuramente un grande telo. Quanto a datarla…».
Barbara Frale giudica inattendibile l’esame del carbonio 14 che colloca l’origine del manufatto nel Medioevo.
«Ha ragione, il carbonio 14 per oscillazioni di tempo brevi è, più che inattendibile, inutile. Serve a stabilire se una certa selce è del Pleistocene o dell’Età del Ferro. Ma per oggetti come la Sindone o il Papiro di Artemidoro affidarsi all’esame del carbonio 14 è ridicolo».
In conclusione, lei dice che queste cosiddette nuove prove non provano un bel niente.
«Nulla di nulla. Ma che escano ora, che se ne discuta ora, secondo me dipende dall’imminente visita del Papa a Torino. Ci verrà l’anno venturo e ci sarà l’ostensione della Sindone, ed ecco che tutti quelli che sono interessati alla cosa puntano di nuovo gli occhi sulla reliquia».
Lei è sicuro che si tratti d’un oggetto realizzato molti secoli dopo la morte di Cristo, vero?
«Nel 1978 uscì un libro di Vittorio Pesce intitolato E l’uomo creò la Sindone, edizioni Dedalo. L’argomento – e la dimostrazione del titolo – vi è trattato in ogni aspetto, incontrovertibilmente. Basta rifarsi a questo libro, il resto è un inutile sofisticare».
“Quelle critiche di Canfora mi ricordano Harry Potter”
In tutte le epoche ci sono state persone che, scrutando gli astri, i fondi di caffè o le palle di vetro, hanno visto cosa c’è nel futuro: si chiama arte della divinazione, una materia fondamentale nel curriculum di studi di Harry Potter a Hogwarts. Questi maghi esistono anche da noi. Mi riferisco alla critica mossa dal professor Luciano Canfora (La Stampa di ieri) al mio prossimo libro in cui tratterò dettagliatamente le tracce di scrittura identificate da alcuni scienziati francesi sulla Sindone.
Sono dispiaciuta nel constatare come un ricercatore autorevole polemizzi preliminarmente con un libro che non è stato ancora pubblicato e che uscirà presso il Mulino solo il prossimo novembre. Nel mio libro attualmente disponibile, I Templari e la Sindone di Cristo, le scritte in questione sono state solo presentate con cenni brevissimi e ho specificato con chiarezza che l’argomento sarebbe stato trattato come merita solo nel prossimo saggio.
Passando dal metodo al merito, ricordo che il professor Canfora è certamente un esperto nel suo settore specifico di studi, la filologia greca, non altrettanto si può dire in altri campi della ricerca come la paleografia e la papirologia, inoltre non mi risulta abbia mai studiato né i Templari né la Sindone. Piuttosto che la prova della falsità della reliquia citata da Canfora e fornita da Vittorio Pesce Delfino, preferirei qui ricordare la recente dimostrazione di Raymond N. Rogers del laboratorio di Los Alamos (University of California), che ha sottoposto fibre di lino tratte dalla Sindone al test di rilevamento della vanillina (un composto della lignina presente nel lino) e si è accorto che queste fibre si comportano allo stesso modo di campioni prelevati sul sito archeologico di Qumran, molto diversamente da tessuti medievali. In effetti lo stesso Canfora riconosce che l’analisi con il radiocarbonio non è affidabile per i metodi assai discutibili usati nel prelevare i campioni (e non certo per una presunta incapacità dei laboratori che l’hanno effettuata).
Rispondo infine all’obiezione di Canfora il quale sostiene che le scritte, se davvero fossero state trasferite sul lino, dovrebbero risultare capovolte. Nel mio libro disponibile in libreria (ma che evidentemente non ha ancora letto) spiego infatti che sono capovolte, ma che per comodità dei lettori abbiamo deciso di riprodurle girate come stavano sul documento che le riportava. La discussione sulle misteriose scritte della Sindone verrà e io sono la prima a volerla, come si vedrà nel mio libro che uscirà a novembre, dove presento questa ipotesi come una proposta di studio avvalorata da centinaia di indizi. Ma il professor Canfora, come tutti i lettori appassionati della materia, deve avere un po’ di pazienza.