di Marco Zacchera da Il Punto n. 843 del 28 dicembre 2021
In un panorama sempre più inquinato da “sparate” e forzature ad opera di personaggi molto noti ma poco informati e poco equilibrati nell’affrontare la storia della destra italiana nel dopoguerra (Berizzi, Scanzi, Montanari ecc. ecc.), riproponiamo un intervento di un politico – Marco Zacchera – che ha attraversato molte delle stagioni della destra nazionale e che pochi giorni fa ha voluto ricordare il 75mo anniversario della nascita di quello che è stato il Movimento Sociali italiano, fondato da un piccolo gruppo di persone il 28 dicembre 1946 a Roma.
Un partito che i più giovani non hanno conosciuto e di cui forse nulla sanno, che ricorda qualcosa a chi ha i capelli bianchi, ma che per alcuni – come per me – ha rappresentato la “mia” gente, ovvero il senso profondo di appartenenza a un mondo politico così diverso da quello di oggi. A rileggere le cronache e i documenti di allora colpisce la modernità programmatica di quella dozzina di fondatori e soprattutto il concetto “Non rinnegare, non restaurare” che dimostrava una immediata volontà di cambiamento rispetto a un periodo storico (il fascismo) finito in tragedia neppure due anni prima. Anche se quei fondatori e i molti che subito si aggregarono furono immediatamente etichettati come semplici “neofascisti”, bisognerebbe avere il coraggio di andare più a fondo per capire, conoscere e giudicare. “Vogliamo riunire tutti coloro che al di là delle proprie origini ed appartenenze politiche intendono superare ogni tentazione di rancore e di rivincita per riconoscersi, solidamente, servitori della ricostruzione della Patria…” era scritto così nel primo “Appello agli italiani” e il primo punto programmatico del nuovo partito chiedeva di salvaguardare l’integrità nazionale “In un’Unione Europea fondata sulla parità e la giustizia”. Parole profetiche, eppure erano passati solo 20 mesi dalla fine di una guerra devastante dove i vincitori erano stati i “nemici” di quel piccolo gruppo e si era nel pieno di un dopoguerra dove decine di migliaia di persone erano state uccise – soprattutto nel nord Italia – pur a guerra finita, in un clima di estrema divisione tra repubblicani e monarchici e con centinaia di migliaia di persone ancora prigioniere degli alleati, sotto processo, “epurate” o appena uscite dai campi di concentramento dove erano stati rinchiusi gli ex aderenti alla Repubblica Sociale.
In un’Italia ancora occupata ed amputata nel suo territorio (Trieste, l’Istria e tutta la Dalmazia) e dove c’erano ancora milioni di senzatetto accampati tra le rovine c’era – in quella fine del ’46 – chi si rimetteva politicamente in gioco e proponeva da subito il concetto di una Europa unita, una profonda riforma sociale, un rinnovato orgoglio nazionale, un futuro per milioni di ex combattenti senza lavoro. Per questo il MSI diventò presto un punto di riferimento non solo per chi aveva vissuto la guerra “dalla parte sbagliata” subendo poi spesso la mattanza del post 25 aprile, con troppi episodi di cui ancora oggi – 75 anni dopo – non si vuole parlare.
Quando negli anni ’70 iniziai il mio percorso politico ritrovai ancora qualcuna di quelle persone e ne conobbi tante altre, ciascuna con la sua storia. Italiani semplici, raramente benestanti, gente che politicamente era ancora emarginata e discriminata, ma fiera delle proprie idee e spesso del proprio passato, della propria libera diversità verso il pensiero dominante. C’erano anche delle teste calde, sicuramente, ma molto di più erano quelli che consapevolmente avevano scelto una posizione scomoda ma di coerenza con la propria coscienza. Mi piaceva e mi piace approfondire, capire, e così ho raccolto tante testimonianze, fatti, ricordi e piano piano anch’io – a mia volta – ho vissuto episodi da raccontare che pur oggi sembrano così lontani, con la fortuna di aver potuto vivere un periodo politico difficile, ma importante. Ne ho parlato a lungo nei miei libri (“Staffette”, “Inverna”, “La Moscheruola”) e per questo vorrei che questo anniversario non scivolasse nel nulla, che tanti lettori mi invitassero a parlarne, a spiegare, a raccontare: sarebbero elementi preziosi per dare – soprattutto ai giovani – un quadro più completo di quella che fu la storia politica italiana.
Una continua evoluzione, ma mi chiedo sempre perché così tante persone si sentano ancora oggi schierate su posizioni simili, di fatto in continuità rispetto a quel gruppo iniziale di emarginati che 75 anni fa fece una scelta sicuramene controcorrente. Com’è mai possibile – se quei discriminati non avessero avuto un po’ di ragione – che dopo 75 anni di disinformazione, retorica e demagogia ci sia comunque una bella fetta di italiani che “non ci cascano” e rivendicano la loro libertà di pensiero e quindi di poter e voler leggere la storia con obiettività e serenità, senza odio per nessuno ma semplicemente cercando di capire.
Mi guardo indietro e non posso che ricordare l’entusiasmo, la fatica, il rischio, le difficoltà dei missini del debutto, ma anche della mia esperienza di vita. I miei primi comizi davanti a piazze desolatamente vuote nei nostri piccoli paesi, ma incredibilmente piene quando a parlare era Giorgio Almirante, che del MSI-DN era il leader quando ero ragazzo. Non bastarono nei decenni le leggi speciali, le richieste di scioglimento, le persecuzioni giudiziarie, le perquisizioni, le botte, l’odio manifesto dei comunisti e dei loro fiancheggiatori – ieri come oggi – “utili idioti”: quella fiamma tricolore non si spegneva e non si è spenta, mai. Ho conosciuto testimonianze atroci di quei “vinti” che hanno subito e taciuto, ma che non si sono mai arresi, mentre il testimone passava, evolvendosi, prima dal MSI alla Destra Nazionale, poi ad Alleanza Nazionale e oggi a chiunque si ritrovi – pur sparso in diversi gruppi politici, ma soprattutto in FdI – a ricordare Arturo Michelini, Giorgio Almirante, Pino Rauti, Pino Romualdi e tanti altri personaggi che del MSI ne sono stati dirigenti, compreso Gianfranco Fini che avrà alla fine sbagliato tutto, ma intanto ricordiamoci che con Pinuccio Tatarella e tanti altri della “nostra” generazione era stato capace di portare il partito fuori dal ghetto e di dar vita ad Alleanza Nazionale.
Ma un ricordo doveroso va soprattutto a chi ha sofferto, dai primi militanti missini uccisi a Trieste di cui chiedevano la riunificazione all’Italia agli oltre 30 ragazzi della mia età massacrati durante gli anni della violenza rossa. A chi ci diceva di stare zitti perchè eravamo “antidemocratici” ricordavo sempre che la nostra democrazia era testimoniata proprio dall’essere lì, a partecipare. Eravamo sempre emarginati: quelle poche volte che sulla stampa si parlava di noi era solo per dipingerci come fascisti, violenti, estremisti, irriducibili idioti. Mai, in decenni, una nota positiva. Cose che i giovani di oggi neppure possono concepire: dal non pubblicare sui giornali neppure le nostre liste elettorali ad escludere dai seggi i nostri scrutatori, dal negarci le piazze ai mille tentativi di ghettizzazione.
Io ero uno dei tanti ed ho avuto più occasioni, più fortuna. Come tanti altri ho affisso di notte migliaia di manifesti, stampato volantini al ciclostile, passato le giornate nei corridoi delle questure, fatto propaganda nei posti più assurdi, rischiato (spesso) le botte da chi non la pensava come me, eppure so di non aver mai alzato una mano contro nessuno. Vorrei che questo anniversario sia quindi un omaggio a tutti gli iscritti e gli attivisti senza nome di un partito che si reggeva con pochi soldi ma soprattutto sui propri volontari e ai milioni di silenziosi elettori del MSI. Quelli che credevano in noi e ci votavano, ma non potevano dirlo perché rischiavano sul lavoro, in ufficio, tra la gente. Oltretutto, dopo che nel dopoguerra l’Italia sembrava avviata ad una civile transizione democratica. arrivarono infatti gli “anni di piombo” con le bombe e gli attentati degli “opposti estremismi” con una manovalanza spesso manipolata e che serviva soprattutto a far mantenere al potere personaggi a volte molto equivoci.
Mi corrono davanti agli occhi i visi, le mani, gli occhi di chi in qualche modo mi diceva “grazie” nel rappresentarli e la forza di quei visi erano la mia arma segreta. Non era facile – soprattutto al Nord – essere missino in fabbrica, in consiglio comunale o nei piccoli paesi dove ti segnavano a dito. Si parlava (spesso da soli) in consigli comunali e assemblee apertamente ostili dove avevamo tutti contro, quell’ intero “arco costituzionale” inventato solo per emarginarci. Eppure alla fine non ci sono riusciti: l’URSS è caduta, il comunismo è morto, siamo stati riconosciuti come legittima forza politica e quindi in qualche modo abbiamo vinto noi con l’onore e l’onere di rappresentare quelle persone umili e senza voce. Fierezza: è sempre stata la molla che mi ha mandato avanti e mi ha fatto superare tante difficoltà. Così, mentre man mano salivo dal consiglio comunale della mia città (di cui poi sono diventato sindaco) al consiglio provinciale e poi in Regione Piemonte e infine dal 1994 in Parlamento per cinque legislature sapevo che la mia responsabilità cresceva perché avevo nei loro confronti un impegno morale di trasparenza e di rappresentanza.
Quanta gente ho conosciuto da Brunico a Pantelleria, da Alghero a Lecce, da Trieste ad Aosta e poi come responsabile di AN all’estero da Melbourne a Stoccarda, da Buenos Aires e Toronto. Era appunto la “mia” gente, quella comunità umana che non potevo e non potrò mai dimenticare ed alla quale posso e devo solo dire grazie. Gente irripetibile ed unica, a volte divertente ed assurda, cementata dai fatti e divisa – sempre! – nella dialettica delle interpretazioni tra “destra sociale” e “conservatori”, tra rivoluzionari e legalitari, tra moderati e più estremisti, tra aperti al dialogo o presunti difensori dell’ortodossia. Eppure quel piccolo MSI del ’46 in pochi mesi prese decisioni nette (sempre poi mantenute) stando senza equivoci dalla parte della democrazia parlamentare, dell’Occidente e dell’Europa con una scelta democratica chiara, senza tentennamenti o cedimenti.
Gruppi e gruppuscoli si sono allontanati, scissioni sciagurate hanno a volte diviso il ceppo, correnti e divisioni hanno rallentato la marcia, ma la continuità è sempre rimasta. Oggi va quindi reso omaggio a chi volle quella spinta iniziale e se qualche lettore volesse conoscere più a fondo le vicende storiche e politiche che portarono alla firma di quell’ “appello agli italiani” di 75 anni fa mi contatti e ribadisco che sarò felice di spiegare, raccontare, tentare di far capire a chi non c’era che cosa avvenne e perché. A tutti quelli che – almeno una volta – nella loro vita hanno votato per quella fiamma tricolore dico “grazie” e – a nome dei tanti che non ci sono più – spero solo di essere stato più o meno all’altezza di chi fece 75 anni fa una scelta difficile, ma che era il loro e poi divenne il nostro dovere.