Erwin Rommel: una Volpe del Deserto molto ambigua

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Il cippo c’è ancora, piantato dagli Italiani, ai margini della strada litoranea: ”Mancò la fortuna non il valore – 111 chilometri da Alessandria”. Testimonianze attendibili assicurano che nostri motociclisti percorsero quei chilometri, il 30 giugno 1942, e raggiunsero la periferia della città egiziana affacciata sul Mediterraneo, mentre nell’interno si combatteva. Questo accadeva con i reparti della Ottava Armata britannica che rifluivano in disordine verso Oriente. Un mistero avvolge quelle ore cruciali del conflitto in Africa Settentrionale, a quasi ottant’anni dagli avvenimenti. Il generale Claude Auchinleck non seppe mai spiegarsi perché Rommel si fosse fermato, consentendo a rinforzi giunti dal lontano Iraq di imbastire una affrettata difesa. Sta di fatto che, dal mattino del 30 giugno e per intere ventiquattro ore, il cannone tacque davanti a El Alamein. Perché Rommel – si chiede Carlo De Risio nel suo “Rommel. Ambiguità di un condottiero” (IBN Editore) – venne meno alla sua perentoria direttiva “In nessun caso deve essere lasciato al nemico di organizzarsi”? Che cosa passò per la mente della “volpe del deserto”? Da parte italiana, una motivazione di ordine morale e politico, non soltanto militare, aveva nel frattempo indotto Mussolini a precipitarsi in Libia, dopo che una parola d’ordine convenuta aveva annunciato che l’avanzata dell’Armata italo-tedesca era inarrestabile e che la conquista di Alessandria era imminente. Fino a quel momento, il vittorioso ciclo di operazioni era avvenuto col nome di Rommel sulla bocca di tutti: occorreva rimediare a questa univocità. Mussolini giunse a Derna nel tardo pomeriggio del 29 giugno, e Rommel ne fu ovviamente subito informato. All’ombroso neo Maresciallo, questa novità risultò poco gradita, interpretata nel senso che gli si volesse “rubare la scena” nell’entrata ad Alessandria data per scontata. Poco convincente, nelle sue annotazioni successive, perché rinunciò a “darci dentro”, sul fronte, senza por tempo in mezzo. Il Duce si fermò sulla “quarta sponda” fino al 20 luglio e varcò timidamente la frontiera con l’Egitto, a Sollum, senza spingersi a ridosso della prima linea. Per tutto questo tempo Rommel non prese in considerazione un incontro con Mussolini tra la sorpresa generale e con imbarazzo degl stessi Tedeschi. “Nessuno, – scrisse in seguito Auchinleck – e io meno degli altri, era in grado di dire se si poteva radunare e riorganizzare l’Armata in tempo per fermare Rommel e salvare l’Egitto. La cosa rimase in dubbio per almeno due settimane”. Il 30 agosto 1942, in quella che è passata alla storia come “la corsa dei sei giorni”, avvenne l’ultimo tentativo di aprirsi il passo in direzione di Alessandria, Il Cairo e il Canale di Suez. Ne risultò la meno convinta e meno decisa offensiva di tutta la campagna d’Africa, iniziata da Rommel, sospesa, ripresa, con disorientamento delle truppe dell’Armata corazzata, costrette alla fine a retrocedere sulla linea di partenza. Il Maresciallo, politicamente, era già “dall’altra parte”? Sospettato di aver preso parte, in qualche modo, al complotto e all’attentato contro Hitler (20 luglio 1944), quindi arrestato in convalescenza a Herrlingen (Ulma), venne costretto a scegliere fra un processo e il suicidio: scelse la seconda alternativa.

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