di Pierluigi Romeo di Colloredo-Mels – da Storia In Rete n. 178 – gennaio-febbraio 2021
Mentre sull’onda dei vandalismi dei BLM americani anche in Italia ci si sbraccia in veementi condanne dell’«oscuro passato coloniale italiano» che coinvolgono perfino i formati di pastasciutta, nessuno ci sembra voler ricordare l’atteggiamento tenuto da socialisti e comunisti, in palese rottura con i dettami del Marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario, circa il mantenimento all’Italia dell’amministrazione della Somalia, dell’Eritrea e della Libia (ovviamente l’Etiopia era già tornata indipendente con la restaurazione del legittimo sovrano). Sarà interessante notare come il PCI e il PSI (all’epoca i socialisti erano solo un’appendice del PCI all’interno del Fronte Democratico Popolare) fossero favorevoli al mantenimento della presenza italiana in Africa e l’utilizzo, da parte della DC come dei socialisti e dei comunisti, di un registro concettuale comunicativo a riguardo non dissimile da quello del Fascismo. Per Nenni «l’opera di civilizzazione da loro compiuta [dai coloni italiani, NdR] al lato o ai margini degli orrori delle guerre coloniali, pone o ripropone il diritto della nostra permanenza in Africa», mentre il comunista Giuseppe Berti auspicava l’aiuto sovietico in sede ONU «per la difesa degli interessi italiani», e rilanciava: »spetta al governo dire dateci le colonie in amministrazione fiduciaria». Da parte sua il Partito Comunista Italiano aveva una sede a Mogadiscio sin da quando la Somalia passò nelle mani degli inglesi. La Sezione di Mogadiscio del Partito Comunista internazionale (sic) fu costituita il 14 luglio 1942, un anno dopo la fine del dominio coloniale italiano. Il 21 agosto 1944, si costituì l’Unione nazionale antifascista di Mogadiscio (Una), alla quale aderirono, oltre la sezione comunista, l’Unione Democratica e, in seguito, anche il Partito Socialista. Il 26 dicembre 1944 l’Una si costituì in Comitato nazionale italiano di liberazione «con la volontà di agire in intensa collaborazione con le Autorità Alleate per attuare in Somalia i compiti propri dei Comitati di Liberazione nei modi propri che la particolare condizione locale suggerisce». Togliatti arrivò ad auspicare che si potesse addivenire ad uno scambio tra la rinuncia a Trieste e Gorizia e la restituzione della Libia e dell’Eritrea, con il sostegno sovietico, e la propaganda comunista attaccò ferocemente De Gasperi per la stipula del trattato di pace del 10 febbraio 1947 anche per non esser riuscito a mantenere le colonie italiane, accusando gli anglo-americani per la perdita dei territori d’oltremare, che invece l’amica Unione Sovietica avrebbe voluto (a detta della propaganda togliattiana) lasciare all’Italia, magari scambiandoli con Trieste da regalare al compagno Tito. Del resto è facile capire il perché: se fosse andato al potere il PCI, con le buone o con le cattive, in caso di mantenimento delle colonie italiane, Stalin avrebbe avuto modo di mettere le mani su una parte dell’Africa non proprio insignificante. Alla faccia dell’anticolonialismo…