Quando Stalin consolida il potere nelle sue mani, a metà degli anni Venti, la Russia sovietica è una nazione appena uscita dalla guerra civile e da una serie di invasioni straniere concentriche lungo pressoché tutti i suoi confini. Rispetto all’Impero zarista ha perduto importanti territori in occidente (Finlandia, Polonia, paesi baltici, Bessarabia…), ma anche grazie alla stanchezza militare dei suoi nemici reazionari, il tentativo di schiacciare la rivoluzione effettuato dalle potenze dell’Intesa fra 1918 e 1920 fallisce.
Tuttavia la Russia è stanca, esausta. Lenin è costretto a rapidi cambi di rotta sulla sua politica di comunistizzazione forzata, concedendo la NEP, una nuova politica economica che consentiva la piccola proprietà privata. Quando Stalin inizia a esercitare il suo potere assoluto, le risorse accumulate dai NEPmen, i piccoli borghesi che si erano arricchiti con la loro capacità di impresa, diventa un forziere a cui attingere spregiudicatamente. I NEPmen contadini, poi, i famosi kulaki, divengono oggetto di una vera e propria persecuzione feroce, che conduce a una spaventosa carestia che ha colpito soprattutto Ucraina e Russia meridionale. Contemporaneamente il cosiddetto “arcipelago Gulag”, ovvero la costellazione di campi di lavoro in cui venivano deportati veri o presunti oppositori del regime comunista, si estende, diventando a sua volta uno dei pilastri della modernizzazione dell’URSS.
Con Stalin, insomma, gli esseri umani dell’Impero comunista diventano fattori di produzioni da sfruttare come qualsiasi altra risorsa rinnovabile. L’equazione è quella di trasformare popolazione in PIL. Popolazione a perdere.
Condannata a morte per fame o miseria o deportata come schiavi di Stato nelle aree del paese ancora da colonizzare, milioni di cittadini-sudditi sovietici finiscono macinati in un gigantesco ingranaggio che li trasforma in “modernizzazione del paese”. Lo Stato di Emergenza a cui vengono sottoposti i deportati all’interno dell’apparato del Gulag è il sistema col quale la legalità socialista (diversa da quella borghese, ma pur sempre una forma di Stato di Diritto) viene sospesa e i cittadini privati di qualunque diritto e difesa nei confronti dell’arbitrio: un inquietante parallelo con il presente…
Stalin in politica estera si muove in maniera non meno spregiudicata che in politica interna. Tratta su tutti i tavoli, è disposto a barattare un accordo con un fronte per passare con quello opposto nel giro di pochi giorni. Nell’estate 1939 si accorda con la Germania di Hitler mentre tratta con degli irresoluti emissari anglo-francesi. Sceglie sulla base di considerazioni ciniche: chi è che offre di più e soprattutto sembra più disposto a dar seguito alle proprie promesse? La Germania è più determinata, scegliamo lei.
La luna di miele con Hitler, com’è noto, dura meno di due anni. E già alla fine del primo anno, con lo sconfinamento sovietico nella sfera d’interessi tedesca in Romania (l’occupazione della Bucovina, non prevista dagli accordi Molotov-Ribbentrop), il fronte dei totalitarismi manifesta le sue prime crepe. Stalin sa che lo scontro con Hitler è inevitabile e prende solo tempo. Cerca – con successo – di scagliare la Jugoslavia contro la Germania e ottiene alcune settimane di respiro prima dell’invasione tedesca. Nel frattempo si prepara anche a vibrare il primo colpo. Sarà però preso in contropiede da Hitler, il 22 giugno 1941.
La guerra con la Germania rischia di distruggere l’URSS, ma la disciplina feroce imposta da Stalin insieme a un’abilissima politica interna volta a risuscitare le forze patriottiche dei popoli sovietici rovescia la situazione. La Germania verrà sconfitta. Nel frattempo coi malfidi alleati occidentali la Russia di Stalin fa buon viso e cattivo gioco: i loro apparati vengono da anni infiltrati da spie e collaboratori, perfino ai livelli più elevati. Grazie a esse l’URSS riesce a riempire il gap tecnologico con USA e Gran Bretagna nel giro di pochi anni. Geopoliticamente l’URSS, che prima della guerra era circondata da nazioni ostili, si crea una catena di Stati satellite, estende la sua influenza alla Cina, alla Corea e alla Mongolia. Gli USA di Truman – col loro tentennare per voler a tutti i costi sperimentare sul Giappone la superbomba atomica – danno a Stalin quelle settimane di tempo necessarie per preparare l’offensiva a oriente. Mentre Hiroshima e Nagasaki vengono incenerite, l’Armata rossa si prende l’Estremo Oriente. L’America, che da oltre 10 anni è in lotta col Giappone per il predominio sulla Cina, ora è costretta a cederla al potere comunista.
E anche la superiorità atomica dell’Occidente dura poco: nel 1949 l’URSS sperimenta la sua prima bomba nucleare, combinato disposto di un sistema in grado di sfruttare i suoi scienziati (di prim’ordine, molti dei quali internati nel Gulag) e le conoscenze scippate ai paesi capitalisti attraverso la rete spionistica e di collaboratori volontari.
Con la parità nucleare, la barriera di paesi satelliti e l’apparato industriale-militare realizzato con gli sforzi mostruosi imposti alla popolazione prima e durante la Seconda guerra mondiale, l’URSS di Stalin è passata da nazione sull’orlo del baratro a superpotenza mondiale.