di Alberto Fraja da “Libero quotidiano” del 31 ottobre 2022 – via Dagospia
Il perfido Antonio Salieri non fu il solo musicista a provare una invidia crudele nei confronti di un collega, tal Wolfgang Amadeus Mozart da Salisburgo. Sì, certo venuto in possesso delle partiture originali dell’asso austriaco, eccezionalmente «senza nemmeno una correzione», ebbe modo di rendersi conto di avere di fronte un genio all’ennesima potenza. Un talento però immeritato, secondo il compositore italiano, al quale pareva inconcepibile che un uomo “volgare” come quello potesse essere baciato da una sorta di ispirazione divina.
Di grandi compositori del passato squassati dal malanimo nel giudizio verso altri musicisti la storia è prodiga. La riassume il bel libro di Guido Zaccagnini Una storia dilettevole della musica. Insulti, ingiurie contumelie e altri divertimenti (Marsilio, 460 pagine, 19 euro). Il senso del volume di Zaccagnini, musicologo e voce di Rai Radio 3, può essere il seguente: non sempre i grandi seguaci di Euterpe si comportarono da galantuomini l’uno verso l’altro. Anzi.
A Felix Mendelssohn, per dire, il monumentale fautore della Bach-Renaissance, Hector Berlioz non andava per niente a genio. «La sua orchestrazione è un orribile guazzabuglio, un tale pasticcio sconnesso che una persona, dopo aver avuto una partitura tra le mani dovrebbe lavarsele». Quelle finesse! Non meno Gaetano Donizetti che con Berlioz usò l’arma affilata della presa per i fondelli. «Egli è un pover’ uomo, ha fatto un’opera e fu fischiata, fa delle sinfonie e si fischia. Fa degli articoli e si ride. Tutti ridono e tutti fischiano».
Attenzione però perché anche il signor Berlioz un stinco di santo non era e le cose non le mandava a dire. Questo il suo giudizio su Joseph Haydn. «I suoi assoli di flauto e tutte le sue bonomia mi danno le contrazioni e la voglia di uccidere qualcuno». Non solo. Il geniaccio francese ce l’aveva a morte con i musicisti italiani. Un odio che condivideva con Robert Schumann altro invidiosone di proporzioni ciclopiche. Secondo l’uno e l’altro i nostri compositori avevano colonizzato l’Europa. Ovunque andasse si trovava sempre qualche musicista italiano di troppo (forse perché erano i più bravi?).
Non è tutto: Berlioz fu amico di Richard Wagner salvo, poco dopo, arrivare ad odiarlo ricambiato. E veniamo a quello che a parere di Zaccagnini è forse stato il più cattivo di tutti, Stravinskij. Il titolo del capitolo dedicato al maestro russo è giù tutto un programma: Come essere amico del mondo intero ma di nessun musicista. «Detesto Beethoven e le ultime Sonate e i Quartetti più di ogni cosa» confessava. In particolare Igor’ Fëdorovi non sopportava gli ultimi tre dei sedici Quartetti scritti dal collega tedesco (nota: proprio quelli che sono universalmente considerati degli indiscussi capolavori).
Stravinskij stroncò il Quartetto in la minore opus 132 servendosi di volgari metafore gastronomiche: «Due fette di minuetto e tre di inno fanno un cumulo che somiglia a un sandwich a cinque strati, salvo che gli strati di inno e quelli di minuto non reagiscono l’uno con l’altro». Ma Beethoven stava sul gozzo anche ad un altro fuoriclasse, Franz Joseph Haydn che dell’autore de L’Eroica disse: «Non verrà mai niente fuori da quel giovane». Mai profezia fu più cannata.
Sulle bordate di Prokof’ev contro ostakovilg è il caso di stendere il proverbiale velo pietoso. Il libro di Zaccagnini, dal taglio divulgativo e sommamente ironico, non è solo una storia di baruffe chiozzotte tra titani delle sette note. Esso è anche un itinerario affascinante nelle segrete «stanze della musica», condito di divagazioni storiche, letterarie e poetiche. Dove si racconta, tra l’altro, della passione per i lepidotteri di Camille Saint-Saëns e il pallino di Erik Satie per gli ombrelli, e il Puccini double face, dandy nel bel mondo e «or Giaomo» per gli amici.
Un affresco riuscito in cui l’autore ricompone in modo originale i vari filoni che nel corso dei decenni hanno attraversato le fasi stilistiche della musica, disegnando un percorso avvincente che va da Beethoven a Strauss, passando per Schubert, Schumann, Brahms, Wolf e Mahler. Ma il quid di cui tener maggior conto è la volontà di far rivivere i dissidi tecnici, morali e concettuali tra i grandi della musica così da poterli osservare da un’ottica più umana tale da sollecitare «una riflessione e conferire a questi monumenti della nostra civiltà musicale un tocco di umanità: che potrà, forse, farceli sentire più vicini; e magari farceli amare di più».