di Emanuel Pietrobon da InsideOver del 24 febbraio 2023
1933, l’anno-chiave del periodo interbellico. Il mondo sviluppato è entrato nel quarto anno della più grave crisi economica della breve ma turbolenta storia del capitalismo ed è inconsapevolmente diretto verso lo scoppio di una nuova guerra mondiale. La fine dell’armistizio ventennale preconizzato da Ferdinand Foch è alle porte, ma gli occhi dei presenti sono distratti dai mali provocati dal crollo di Wall Street.
In Germania, il vinto dei vinti, il risentimento per la pace di Versailles, il trauma del cosiddetto “orrore nero sul Reno” e l’aggravarsi del depauperamento sociale a causa della crisi del 1929 hanno appena portato all’ascesa di un politico tanto carismatico quanto incompreso: Adolf Hitler. L’evento, di per sé, non sembra avere nulla di rivoluzionario, giacché fascismi e simil-fascismi stanno prendendo il potere in ogni continente da più di un decennio, ma in realtà è destinato a cambiare la storia dell’Europa e del mondo per sempre.
1933, un anno particolarmente teso e intenso anche per gli Stati Uniti. Qui è dove la Grande Depressione ha colpito, per ovvie ragioni, più severamente che altrove. Ed è anche il luogo in cui, davanti all’espansione globale delle forze fasciste, un gruppo di investitori e banchieri inizierà a cospirare di sovvertire l’ordine costituito. Questa è la storia dimenticata del putsch di Wall Street.
L’esercito e il capitale
Stati Uniti, luglio 1932. Decine di migliaia di veterani della Grande Guerra – circa quarantamila – hanno invaso Washington D.C., letteralmente, per chiedere il pagamento degli assegni a loro dovuti sulla base del World War Adjusted Compensation Act. Un mese di tensione, culminato nella violenta guerriglia urbana del 28, due morti e più di cento feriti, e protagonizzato dal carismatico Smedley Butler.
Uno dei militari più venerati dell’epoca, nonché un grande detrattore dell’allora presidente Herbert Hoover, Butler sarebbe stato uno dei motivi della degenerazione in violenza della questione della cosiddetta “Bonus Army“. Hoover, invero, ordinò di reprimere i dimostranti e di sgomberare le loro tende allestite nel centro della capitale poco dopo l’arrivo sul posto di Butler.
In novembre, quattro mesi dopo la soppressione sanguinosa delle (legittime) richieste dei veterani della Us Army, Butler avrebbe supportato la candidatura alla presidenza di Franklin Delano Roosevelt – più per livore nei confronti di Hoover che per reale fede nei Democratici. Il militare, infatti, si dichiarava di credo repubblicano e non era affatto entusiasta del piano di rinascita nazionale di Roosevelt: Wall Street era un nemico da abbattere, non da riformare.
Era un segreto di Pulcinella che nei circoli decisionali di Wall Street, cuore pulsante dell’economia nazionale, il programma economico di Roosevelt fosse malvisto. Il New Deal, tra restrizioni legislative ed espansione del governo federale, odorava di socialismo. Roosevelt andava fermato e Butler, cane rabbioso col dente avvelenato contro il grande capitalismo, avrebbe potuto dare una mano.
Marcia su Washington!
La storia del putsch di Wall Street inizia il primo luglio 1933, giorno in cui Butler viene convocato da Gerald MacGuire, operatore finanziario della Grayson Murphy & Company e membro dell’American Legion, per discutere di affari. MacGuire propone a Butler, in ragione del suo carisma, un ruolo direttivo nell’American Legion. Ma c’è qualcosa che, secondo Butler, non torna.
Nei successivi incontri, ai quali si uniscono altri finanzieri newyorkesi, a Butler viene proposto di leggere dei discorsi incendiari davanti ad armate di veterani. Dovrà parlare di ritorno allo standard aureo, di pagamento dei bonus dovuti, il tutto con una venatura antisistema. Butler accetta, ma qualcosa, insiste, non lo convince.
In agosto, a seguito dei faccia a faccia con MacGuire e soci, viene aperta la sezione newyorkese dell’American Legion. In settembre, i sospetti del sempre più diffidente Butler si consolidano: viene introdotto ad un’altra persona interessata a questo ambiguo revival della Bonus Army, ovvero l’ereditiere, collezionista d’arte ed ex veterano Robert Sterling Clark.
Nell’agosto 1934, infine, la svolta: MacGuire, di ritorno da un lungo viaggio in Europa – durante il quale è entrato in contatto coi fascisti francesi della Croce di Fuoco –, propone a Butler di consumare un colpo di stato contro Roosevelt. Con l’aiuto dell’American Legion e di un esercito sotterraneo, finanziato a dovere, del quale potrebbero far parte fino a 500 mila persone.
Il Congresso indaga
Butler non ha dubbi sul dà farsi: denunciare. All’indomani dell’incontro-verità di agosto, prima informa la direzione del Veterans of Foreign Wars di cosa starebbe accadendo nelle retrovie del movimento dei veterani, poi riesce, grazie a contatti nella stampa e nella politica, a far arrivare la voce del putsch fino al Campidoglio. A fine anno, il 20 novembre, viene costituita la commissione d’indagine McCormack-Dickstein.
La grande stampa a stelle e strisce, a partire dal New York Times, è sicura: Butler è un mitomane e la storia del “putsch di Wall Street” è un “falso gigantesco”. Una ferrea presunzione di menzogna, questa la linea che i principali quotidiani del Paese manterranno sino alla fine delle indagini.
Dei personaggi menzionati da Butler, soltanto MacGuire verrà rintracciato e chiamato a testimoniare davanti al Congresso. Deve difendersi dall’accusa di aver proposto a Butler di guidare un esercito di mezzo milione soldati su Washington Dc allo scopo di deporre Roosevelt, mantenuto in carica con un ruolo di facciata – utile a nascondere quanto accaduto all’opinione pubblica (e al mondo) –, e di installare un governo supportato dagli oligopoli di Wall Street, in particolare Jp Morgan, e dai tratti fascisteggianti.
Un mistero mai (del tutto) svelato
I lavori del Comitato McCormack-Dickstein si concludono il 15 febbraio 1935, anche per via dell’incapacità di chiamare al banco altre persone informate sui fatti e di raccogliere ulteriori evidenze. Il verdetto degli addetti all’esame delle prove è misto: “Non c’è dubbio sul fatto che i tentativi [di stabilire un’organizzazione fascista nel Paese] siano stati discussi, pianificati e avrebbero potuto essere messi in atto se e quando i finanziatori lo avessero ritenuto opportuno” e che ciò trovi riscontro nella “corrispondenza di MacGuire col suo principale”. Il punto è che, in assenza di altre e schiaccianti prove, è impossibile valutare l’ampiezza e la gravità della trama golpistica.
Butler viene riabilitato. Il New York Times, il grande derisore del putsch di Wall Street, cambia tono e ammette l’esistenza di un complotto, forse supportato da potenze straniere, che avrebbe voluto dar luogo ad una marcia su Roma in salsa americana. Il comandante del Veterans of Foreign Wars, più tardi, denuncerà di aver ricevuto una proposta simile da dei finanzieri newyorkesi. E l’unico testimone, MacGuire, morirà in circostanze non del tutto chiarite – una presunta polmonite interstiziale acuta – un mese dopo la chiusura della commissione d’indagine.
Per molti politici e intellettuali dell’epoca fu un “golpe da cocktail”. Per Butler, patriota disincantato, era la verità cruda, dura e nuda – e sulle sue esperienze avrebbe poi scritto un libro di successo: La guerra è una mafia. Per tutti gli altri, ancora oggi, un fitto alone di mistero regna sugli eventi che tra il 1933 e il 1934 avrebbero dovuto portare il dollaro e la svastica alla Casa Bianca.