di Luigi Morrone da Destra.it dell’11 Maggio 2022
Spesso lo storico deve districarsi tra storia e leggenda e – soprattutto – nell’ondeggiare del “pendolo della storiografia”, della tendenza ad estremizzare le situazioni, cercando “la dritta via” che spesso viene smarrita nella passione del dibattito storiografico. Ed il compito dello storico diventa ancora più arduo quando il dibattito storiografico deborda dalla cerchia degli specialisti per diventare materia di discussione tra opposte “tifoserie”. E la storia del XIX secolo per gli studiosi italiani è, da questo punto di vista, un vero e proprio “capo minato”.
Il cosiddetto “Risorgimento” è stato – infatti – utilizzato quale “mito fondante” della “Nazione Italiana”, nel senso Ottocentesco del termine e di tale “mitizzazione” non poteva non risentire il dibattito storiografico. Ancor più imponente il fenomeno da quando il “dibattito” si è spostato sui media generalisti o addirittura sui social.
Nell’avvicinarsi del 150° anniversario dell’Unità d’Italia uno sconfortato Alberto Mario Banti, su Repubblica del 16 novembre 2010 (“Risorgimento il mito fragile”), ammoniva: «A chi ha scelto la professione di storico, non si può domandare di unire la sua voce al coro di … intellettuali di varie discipline che parlano del Risorgimento come se fosse un avvenimento accaduto ieri, carico di valori da rispettare proprio come se fossero in perfetta sintonia con la nostra vita».
E, certamente, Aurelio Musi è tra gli studiosi che non segue il “pendolo della storiografia” nelle sue oscillazioni, né si fa prendere la mano dalla polemica tra le “opposte tifoserie”. Proseguendo i suoi studi sul Meridione in èra moderna, pubblica per Neri Pozza la biografia di un personaggio controverso, Marie Sophie Amalie von Wittelsbach, l’ultima Regina delle Due Sicilie, gli studi sulla quale hanno risentito più che mai delle “oscillazioni” di cui si è detto. Ciò fin dall’inizio del suo esilio, dopo la caduta del Regno.
Idealizzata dalle “resistenze” antiunitarie, tanto da farne il punto di riferimento dell’Europa cattolica e conservatrice, la “Ninfa Egeria” del legittimismo, fu oggetto di una ben orchestrata campagna diffamatoria orchestratale contro sia da gruppi filosabaudi sia dalla fazione più reazionaria, presente e combattiva nello Stato Pontificio ove risiedeva il governo borbonico in esilio, campagna diffamatoria condotta con la diffusione a iosa di quelle che oggi vengono chiamate “fake news”, ricorrendo persino a fotomontaggi che la ritraevano in pose oscene.
Lo studio di Musi, molto ben documentato, sia per il materiale archivistico anche inedito, sia per la conoscenza degli studi precedenti, evita sapientemente sia il dileggio, sia l’esaltazione di una figura comunque centrale per la politica estera del Regno delle Due Sicilie durante l’esilio.
Il libro prende avvio dal confronto fra Maria Sofia e due regine di Napoli durante il Medioevo e l’Età moderna, Giovanna I d’Angiò e Maria Carolina d’Asburgo Lorena, consorte di Ferdinando IV, individuando quale comune denominatore la convinzione della immanenza tra “Nazione” e “dinastia”: la Angiò, contribuendo a quella che gli anglosassoni chiamano “Nation building”, alla nascita dell’identità nazionale delle genti meridionali (il concetto di “nazione napoletana” oggetto di approfonditi studi da parte di Musi), la Asburgo intessendo le trame per la restaurazione dopo l’invasione francese del 1799, la Wittelsbach combattendo da guerriera nella difesa della dinastia a Gaeta (difesa che Musi definisce “anacronistica”).
Altro comun denominatore fra le tre, le “leggende nere” che le accompagnarono, “leggende” vere in parte solo per Maria Carolina. Tenendo costantemente costante questo parallelo, Musi traccia un ritratto “a tutto tondo” dell’ultima regina napoletana, tenendo ben presente che la breve esperienza napoletana (durata solo due anni) fu solo una parentesi nella lunga vita di Maria Sofia, morta ottantunenne nella natìa Monaco nel 1925.
Il ritratto accompagna la regina durante la sua vita, dalla nascita nel Castello di Possenhofen, reso famoso dalle riprese in esterni del film di Luchino Visconti, Ludwig, ai complessi rapporti matrimoniali tra le case regnanti di cui la giovane Wittelsbach fu pedina assieme alla famosa sorella Elisabeth, andata in sposa all’Imperatore d’Austria Franz Joseph.
Viene esaminato il complicato rapporto con il marito, complicato per la enorme differenza di carattere ed anche per i problemi sessuali di cui soffriva l’ultimo Re delle Due Sicilie. Ed è messo in rilievo l’attivismo che caratterizza l’azione della regina esule, sia nel periodo di “esilio dorato” nello Stato Pontificio (il Papa trattò con i riguardi dovuti ad una famiglia regnante tutta la corte borbonica durante il soggiorno a Roma, terminato nel 1870 con la breccia di Porta Pia), sia nei periodi successivi, l’ansia di vendetta contro i Savoia, che la porta a frequentare i circoli anarchici, venendo inconsapevolmente strumentalizzata da essi, con i quali “la Signora” (come veniva indicata Maria Sofia nelle corrispondenze degli anarchici) aveva in comune solo il Nemico (Casa Savoia): «Quando verrà la rivoluzione in Italia vi saranno certamente, specie nel mezzogiorno, dei tentativi reazionari, ma essi non saranno più importanti e non avranno maggiore possibilità di riuscita per il fatto che quella signora è stata in relazione con noi e ci ha fornito dei mezzi», scriveva l’anarchico Malatesta.
Presente anche nell’agone politico internazionale, Maria Sofia si schiera a fianco di Zola nella battaglia intellettuale per la revisione del processo a Dreyfuss. Una figura – dunque – molto attiva nella vita politica europea a cavallo tra XIX e XX secolo, che Musi ritrae sine ira et studio in un libro scritto con stile giornalistico, con riferimenti polemici, anche aspri, alle pretese di esaltazione della “Borbonia Felix” da parte di certi ambienti. Una biografia – dunque – fruibile anche dal grande pubblico, restando comunque un’opera specialistica, supportata da una imponente bibliografia.