di Andrea Monticone da TorinoCronaca del 11 giugno 2023
Quando uscì dai cancelli del Lingotto, un giorno d’estate del 1931, la piccola Fiat, non ancora “Topolino”, prese fuoco affrontando una salita verso Cavoretto. A bordo c’era nientemeno che il senatore Giovanni Agnelli, che licenziò in tronco il giovane progettista Oreste Lardone.
Il padrone era infatti piuttosto teso, perché l’incarico di progettare la piccola automobile che motorizzasse il Paese, con costo non superiore alle 5mila lire, veniva da Benito Mussolini in persona. E poiché, anche se sosteneva che per avere una camicia nera bastasse tingerne una bianca «ché tanto prima o poi passa», il senatore non era tipo da mettersi contro il regime, soprattutto per le sue mire espansionistiche e le varie forniture… All’ufficio tecnico Fiat, però, non buttarono via il progetto di quella vetturetta con motore bicilindrico da 500 centimetri cubici e si affidarono a Dante Giacosa.
Risultato, il 15 giugno 1936 la “500 A”, stavolta con un motore quattro cilindri, faceva il suo debutto e sarebbe rimasta in vendita per una ventina d’anni, in tutte le sue varianti: coupé, decapottabile, giardinetta. Prezzo di partenza: 8.900 lire – il Duce se ne face una ragione -, vale a dire venti volte lo stipendio medio di un operaio specializzato.
Per tutti fu subito “Topolino” – nonostante una anteprima di stampa l’avesse battezzata “Ginevra” -, per l’aspetto, le dimensioni. Ma Mickey Mouse, le cui avventure in Italia erano tradotte da Cesare Pavese, era già finito al bando dell’autarchia: e soprattutto ci sarebbe stato da pagare i diritti a quel volpone di Walt Disney… Fatto sta che divenne un immediato successo, una icona stessa del Made in Italy e un punto di riferimento progettuale.