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di Paolo Mastrolilli da “La Stampa” del 9 dicembre 2011 
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La storia di Malcolm Little, detto X dopo la conversione e l’ingresso nella Nation of Islam, era finora quella raccontata da lui medesimo e da Alex Haley nella famosa Autobiografia. Riassumendo per sommi capi, andava così. Malcolm era nato in Nebraska da una famiglia povera e discriminata, e aveva passato la gioventù a fare il criminale, il magnaccia, lo spacciatore di droga e il rapinatore. Finito in galera si era redento, e ne era venuto fuori con una coscienza politica e religiosa che avrebbe trasformato la sua esistenza in una missione. In breve, predicando la separazione anche violenta tra neri e bianchi, era arrivato ai vertici della Nation Of Islam, delfino del leader Elijah Muhammad. A quel punto, però, qualcosa si era inceppato. Gli adulteri di Muhammad lo avevano deluso, ma soprattutto la conoscenza dell’Islam ortodosso lo aveva cambiato, trasformandolo in un leader più disposto al dialogo. La Nation of Islam aveva interpretato questa evoluzione come un tradimento e Malcolm era stato ucciso. Il suo carisma, però, lo aveva resuscitato come mito della comunità nera, che non beveva la logica dello Zio Tom e il miraggio dell’integrazione sognata da Martin Luther King.
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L’amicizia prima e l’allontanamento poi da Cassius Clay-Muhammad Ali sono raccontati nei dettagli più emotivi. Così come la resa dei conti, l’omicidio del 21 febbraio 1965 nell’Audubon Ballroom, dove Marable fa per la prima volta i nomi dei veri assassini: gli ispiratori James Shabazz e Benjamin X Thomas, e gli esecutori materiali Leon X Davis, Talmadge Hayer e Willie X Bradley. Tutti membri della moschea di Newark della Nation of Islam, istigati dall’odio propagato da Elijah Muhammad e Louis Farrakhan. Marable arriva a sospettare che le stesse guardie del corpo di Malcolm lo abbiano tradito, facendo da complici in un complotto che aveva visto l’Fbi e la polizia sedute a guardare.
Questi dettagli hanno fatto infuriare una parte della comunità nera, che ci ha letto solo il tentativo di fare soldi con un libro che distruggeva il carattere del mito. La disputa è diventata pubblica quando The Root, giornale online della comunità, ha prima commissionato a Karl Evanzz una recensione della biografia, e poi l’ha censurata perché troppo critica. Evanzz ha scritto che il libro era «un abominio», e il direttore Henry Louis Gates, amico e ammiratore di Marable, lo ha cassato.
Il problema di fondo non sono i particolari piccanti, ma il bilancio dell’eredità politica di Malcolm Little. Marable sembra difenderlo, cercando di salvarlo dallo stereotipo dell’estremista scatenato prima, e del pacifico convertito dopo i due viaggi nel vero islam: «L’idea secondo cui esistono due Malcolm X – uno che predicava la violenza quando era membro dei Musulmani neri, e un altro che aveva abbracciato il metodo non violento per il cambiamento – è del tutto errata. Egli non ha mai equiparato l’autodifesa armata alla violenza fine a se stessa». Lo protegge anche dalle grinfie di al Qaeda, che ha cercato di arruolarlo come vero antagonista musulmano dell’America corrotta: «Non avrebbe mai approvato gli attentati dell’11 settembre». Poi, però, non può fare a meno di porsi la domanda diventata ineludibile dal 4 novembre 2008: «Con l’elezione di Barack Obama si è sollevato l’interrogativo se i neri abbiano un destino politico distinto da quello dei loro concittadini bianchi. Se davvero la segregazione razziale giuridica è stata relegata definitivamente nel passato, allora la visione di Malcolm oggi deve ridefinire in maniera radicale il concetto di autodeterminazione e il significato del potere dei neri, in un contesto politico che a molti sembra “post-razziale”». Fine di un mito, insomma. O quantomeno liquidazione di un eroe, per la pace di Bertolt Brecht.
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Inserito su www.storiainrete.com il 3 gennaio 2012