Nel museo civico di Salò saranno esposte teste mozzate e pezzi anatomici di tredici briganti. Scopriamo così che i “ribelli” di epoca Risorgimentale furono anche usati come cavie, per sperimentare misteriosi preparati capaci di “pietrificare” i cadaveri. Le “opere” che saranno esposte, riscoperte grazie a uno studio italo-tedesco, erano state custodite per più di un secolo nell’ ospedale della città e sono prodotto dell’ invenzione di un singolare medico imbalsamatore, il professor Giovan Battista Rini, nato proprio a Salò nel 1795.
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di Gianluca Nicoletti da del 1 febbraio 2012
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Rini, usando anche i corpi dei briganti uccisi, che qualcuno mise a sua disposizione, mise a punto una sua tecnica segreta di conservazione. Aveva seguito le orme di Girolamo Segato, uno scienziato e viaggiatore, vissuto a Firenze nei primi decenni dell’ 800, che studiò a lungo le tecniche degli antichi egizi direttamente in loco.
Come il suo maestro, il pietrificatore di Salò si portò nella tomba il segreto delle sue capacità di conservazione di anatomie, che lo pongono come anticipatore della plastinazione, del contemporaneo Gunther Von Hagens, l’anatomopatologo tedesco che oggi fa molto discutere con la sua mostra itinerante di cadaveri trasformati in opere d’arte.
L’ interesse della mostra è anche storico, saranno mostrati per la prima volta in pubblico busti e teste di briganti, tra cui una mummia che per un periodo fu a torto attribuita al leggendario bandito Zanzanù, un criminale sanguinario che con la sua banda seminò terrore agli inizi del 1600 sui monti dell’Alto Garda.
I tredici briganti decapitati ed esposti come reperti anatomici sono tutti vissuti nella prima metà dell’ 800, molti furono sicuramente fucilati e tra loro c’è anche una donna. Quei tredici briganti trasformati in reperti da museo, almeno potranno ancora oggi raccontarsi attraverso quello che era il loro volto, in alcuni casi straordinariamente conservato grazie alle tecniche segrete del loro imbalsamatore.
Non che possa loro consolare, ma lo stesso privilegio non toccò a Giuseppe Mazzini, di cui si ha solo il ricordo di una maschera mortuaria di gesso. Quando questi morì a Pisa, il 10 marzo 1872, anche i suoi discepoli cominciarono ad accarezzare l’ idea di pietrificare il corpo del loro profeta e trasformarlo in un monumento.
Per questo fu chiamato da Lodi il Professor Paolo Gorini, altro matematico e scienziato, pure lui noto preparatore di cadaveri che pietrificava, anche lui, con un procedimento da lui stesso inventato e il cui segreto, come gli altri, si portò nella tomba.
Quando il Gorini arrivò a Pisa però Mazzini era già morto da due giorni e si stava decomponendo. L’ imbalsamatore poté fare ben poco, il corpo venne comunque esposto, ma fu presto ritirato. Molti si erano lamentati dell’odore imbarazzante emanato da chi sarebbe dovuto esser morto in odore di santità, seppur laica. Ciò che restava di Mazzini finì così per esser tumulato a Staglieno.
Oltre a ogni giudizio della storia, passato o futuro, forse si può dire che, almeno in questo caso, ai tredici briganti alla fine è andata meglio. Non è da escludere che potrebbero presto pure diventare figure simbolo, magari per qualche simpatizzante del movimento dei Neoborbonici, che non soffre del pregiudizio storico che li vorrebbe comuni criminali, anarchici e sanguinari, ma potrebbe dar loro persino la dignità di combattenti, trucidati per aver difeso un ideale.
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Inserito su www.storiainrete.com l’8 febbraio 2012