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Storia della rasatura intima (e selvaggia) dall’Antico Egitto ai giorni nostri

Calce viva, intrugli con peperoncino: così l’umanità si è ingegnata per estirpare la peluria. Tanto che l’arte nei secoli ci mostra solo figure glabre. Con qualche eccezione

di Daniela Amenta da Tiscali Cultura del 6 luglio 2022

Peggio che indesiderati: sono superflui. L’aggettivo che accompagna il disgraziato destino dei peli la dice lunga sul nostro rapporto con il “vello” che ci ricopre. Tanto che non c’è cultura, razza, epoca che non abbia sperimentato modi e maniere per sbarazzarsene. La relazione tra peluria e canoni estetici è la più stretta, ma ci sono anche ragioni igieniche.

Per esempio nell’antico Egitto la piaga dei parassiti spingeva uomini e donne a radersi quasi completamente. Per farlo usavano piccole falci in rame, il corrispettivo del moderno rasoio, o velenossisime creme all’arsenico o addirittura prodromi della ceretta realizzati con acqua e miele. Perfino le sopracciglia erano poco sopportate, come dimostrano le pitture dell’epoca.

L’estetica glabra era gradita anche ai greci, soprattutto in zona pubica: i peli venivano distrutti ad uno ad uno con rudimentali pinzette o usando come lame i gusci di conchiglie. Prova ne sia l’intimo per eccellenza: quello del Fauno Barberini (200 a. C.), che a cosce aperte mostra giusto un piccolo ricciolo di peli a incorniciare il fallo a riposo. Perfino i romani, non proprio campioni di pulizia personale, si rasavano a tutto spiano, usando se necessario anche la fiamme delle candele.

Ovidio, nella sua Ars Amatoria, è particolarmente prodigo di consigli (non richiesti) per le donne: “Nelle ascelle l’aspro odore del capro non alligni e non siano le gambe irte di duri peli”. La pratica della depilazione femminile diventa un must nel Medioevo: ne offre un’ampia disamina il chirurgo francese Henry de Mondeville che nel suo gigantesco trattato Chirurgie dedica un intero volume alla cosmesi: come decolorarsi i capelli, in che modo curare la pelle grassa, fino all’estirpazione del maligno pelo.

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Qui De Mondeville, medico di corte di Luigi Il Bello, ci va giù pesante: alle sue pazienti irsute prescrive trattamenti a base di peperoncino e calce viva. Via la peluria, ma forse anche la carne. Nessuno spiega con esattezza perché il modello di bellezza più ricorrente non preveda peli. John Berger nel saggio ‘Modi di vedere’ scrive che la Chiesa ha imposto rappresentazioni di donne rasate perché il “vello” è un richiamo sessuale troppo potente. Ma di fatto anche in mondi distanti dal cattolicesimo la pratica è molto diffusa. Come annota Deborah Attanasio su Marie Claire: “Le turche sono state fra le prime collaudatrici definitive della ceretta. Le arabe hanno inventato la depilazione col filo, ancora tra le più efficaci”.

L’arte ci dà il termometro di questa battaglia all’ultimo pelo: non c’è donna (ma invero neppure uomo) che mostri un accenno di vello. La Venere di Botticelli (1485) così come quella di Tiziano (1537) o le Tre Grazie di Raffaello (1503) hanno l’inguine di un neonato, lo stesso David di Michelangelo (1501) sfoggia un triangolino ricciuto appena accennato sul pene, per non dire dell’Adamo (1511) che troneggia sulle volte della Cappella Sistina: petto assolutamente glabro.

Non hanno peli visibili i nudi e le nude del Barocco, del Rinascimento, perfino le donne di Caravaggio così vive, vere, perfino selvagge nella loro drammaticità, sembrano uscite dalla seduta di un’estetista. Non va meglio neppure nel Seicento: la damnatio del pelo (gambe, pube, ascelle) ci restituisce creature anche molto sensuali – la Maddalena Penitente di Cagnacci, la Venere vanitosa di Velazquez o la bellissima dormiente di Artemisia Gentileschi – ma perfettamente depilate.

Un accenno di ribellione alla demagogia della rasatura arriva nel 1863 con l’Olympia di Manet grazie a una vaghissima ombra sotto le ascelle, forse un accenno di peluria. Neppure la Maya Desnuda di Goya (1803) o la seducente, lasciva adolescente di Gervaix in Rolla (1878) saranno in grado di esibire un capello fuori posto. Ma il primo a cimentarsi senza pudicizia con i peli sarà Courbet nel 1866 con il dipinto L’origine du monde, formidabile omaggio alla vulva, alla “cavità di donna che crea il mondo”, cui seguirà tra l’altro il potente Nudo Sdraiato di Van Gogh (1877).

La svolta per gli audaci, coraggiosi combattenti del pelo superfluo arriverà nel 1771 grazie a Jean-Jacques Perret, inventore del primo rasoio di sicurezza, “la cui lama toccava la pelle solo con un sottile bordo”, poi nel 1903 King Camp Gillette, un giovane talentuoso americano, brevettò il famoso rasoio usa e getta. Da quel momento radersi diventerà molto più semplice. E infatti i peli spariranno non solo dal mondo dell’arte ma dalla vita comune.

Saranno in pochi a documentare l’intimo irsuto, a mostrarsi orgogliose e pelose come Frida Khalo

Tanto che nel 1985 fecero quasi scandalo i Big Nudes di Helmut Newton, autore sempre un po’ al limite della pornografia patinata, che su tacchi 12 farà sfilare bellissime modelle nude e non depilate. Più politica l’opera del fotografo inglese Ben Hopper che nel 2014 per contrastare “l’industria della bellezza che ci ha fatto il lavaggio del cervello” immortalerà giovani donne non rasate in un progetto intitolato “Natural Beauty”.

Nel 2019 è partita una campagna sui social #Januhairy, (crasi tra “January”, cioè gennaio, e “hairy”, cioè peloso), “un movimento che – scrive Monica Monnis su Elle – a suon di hashtag vuole far tremare tutti gli stereotipi estetici più radicati nell’humus culturale, che non fanno altro che legittimare e rafforzare la differenza di genere”. Il genere tuttavia è ora per fortuna ben più fluido, anche i maschi si depilano patendo le pene dell’inferno mentre Madonna o Lady Gaga hanno deciso che non sarà un’ombra di vello ascellare a farci tremare. Anzi.
E tuttavia basta una influencer non depilata ad alzare le braccia, l’ultima è Giorgia Soleri, a scatenare, la sindrome della mancata rasatura. Chissà se ce la faremo un giorno ad accettarci alla faccia di Ovidio, a dispetto di questi corpi senza una ruga, una smagliatura, un ciuffo di peluria.
Chissà quanto dista la libertà tra noi e il tabù “superfluo” per eccellenza. 

LE OPINIONI ESPRESSE IN QUESTO ARTICOLO SONO PERSONALI DEL SUO AUTORE E NON COINCIDONO NECESSARIAMENTE CON QUELLE DELLA REDAZIONE

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