Statua di donna, scolpita da una donna, e demolita (in senso figurato) da una donna. Così si può riassumere la vicenda intorno a Forward, statua che per più di un secolo ha fatto bella mostra di sè davanti al Campidoglio di Madison, la capitale del Wisconsin. La scultura in bronzo raffigura una donna in procinto di mettersi cammino con il braccio destro alzato e una bandiera stretta al fianco sinistro e rappresenta l’allegoria del motto nazionale del Wisconsin: Forward, letteralmente Avanti.
Forward fu realizzata dalla scultrice Jean Pond Miner Coburn (1866–1967) per rappresentare lo stato della regione dei Grandi laghi all’esposizione universale di Chicago del 1893. Sì, proprio la Columbian Exposition di cui fu tra i simboli la statua della Repubblica di Chester French recentemente finita sotto scrutinio a Chicago. Ma a Forward non vengono mosse le accuse ricevute da la Repubblica. E allo stesso modo la statua di Jean Pond Miner Coburn rappresentò già all’epoca un ideale d’emancipazione femminile. Nella statua non un allegoria posticcia del motto Forward, ma un messaggio sentito già all’epoca da chi si batteva per l’emancipazione e il voto femminile.
Scultura al femminile alla Columbian Exposition
Per comprendere cosa rappresentò Forward per le donne del Wisconsin di fine Ottocento è necessario tornare al mondo artistico che gravitò intorno alla Columbian Exposition del 1893. Jean Pond Miner Coburn non fu l’unica scultrice presente. Anzi la presenza di scultrici all’esposizione del 1893 fu rilevante, guadagnando almeno sul piano numerico una sostanziale parità con la controparte maschile. Parità ottenuta per la necessità di completare in tempo le decorazioni degli edifici Beaux-Arts della White City, nucleo dell’esposizione universale. Ma che per più di un’artista divenne occasione per guadagnare visibilità e riconoscimenti.
Fu lo scultore Lorado Taft di Chicago, che aveva in carico le sculture della White City, a pensare alle sue studentesse del Chicago Art Institute per completare i lavori. Ma la figura della scultrice nel Midwest di fine ‘800 era un concetto ancorà al di là di venire, e Taft chiese all’architetto Daniel Burnham, direttore dei lavori dell’esposizione, se potesse assumere manodopera femminile. Si racconta che Burnham, terrorizzato dal non vedere la sua White City completata in tempo per l’evento, abbia risposto a Taft: “hire anyone, even white rabbits, if they can get the work done“. Ovvero assumi chi vuoi, anche conigli bianchi se sono in grado completare i lavori.
Le studentesse di scultura per cui i corsi alla Chicago Art Institute e i viaggi tra Roma e Parigi rischiavano di rimanere soltanto un curricula da sfoggiare nei circoli dell’alta società del Midwest e del New England ebbero l’occasione di diventare vere artiste con le loro opere esposte su “pubblica piazza”, ancorché nel contesto effimero e temporaneo dell’expo. Le allieve di Taft a Chicago e St.Gaudens a New York divennero così le White Rabbit, un gruppo di artiste che oltre a portare a termine i progetti di Taft e Burnham, riuscirono in qualche caso anche a ottenere singole commissioni per gli edifici dell’esposizione. Ne fecero parte Bessie Potter Vonnoh, Julia Bracken, Carol Brooks, Ellen Rankin Copp, Helen Farnsworth, Margaret Gerow, Mary Lawrence, Bessie Potter, Enid Yandell ed Janet Scudder. La commissione più rilevante fu quella a Mary Lawrence che realizzò la statua di Colombo all’ingresso dell’Administration Building, edificio principale della White City.
Le donne in cerca di emancipazione e riconoscimenti ebbero anche un altro spazio all’esposizione di Chicago del 1893. Tra i padiglioni ci fu il The Woman’s Building interamente progettato e decorato da donne. Qui trovarono posto tra le altre scultrici Enid Yandell, già allieva di Rodin a Parigi, Alice Rideout, Sarah Fisher Ames, Katherine T. Hooper Prescott, e Luella A. Varney Serrao. E ancora negli altri edifici dell’esposizione Theo Alice Ruggles Kitson, tra le poche artiste presenti con più di un’opera, e la scultrice afro-americana Edmonia Lewis, tra i pochi neri ad avere spazio ufficiale all’esposizione.
Tra i capofila dell’arte al femminile alla Columbian Exposition fu proprio il Wisconsin che nominò artiste residenti del proprio padiglione due donne. Ad affiancare Jean Pond Miner Coburn e la sua Forward ci fu Helen Farnsworth Mears che realizzò l’opera Genius of Wisconsin. Scultura poi fisicamente realizzata in marmo dagli onnipresenti fratelli Piccirilli, la famiglia di scultori-scalpellini emigrata dall’Italia che realizzò nel marmo le sculture ideate in gesso e stucco dai grandi artisti statunitensi.
Forward davanti al Campidoglio di Madison
Ma tra tutte le sculture al femminile dell’Esposizione universale del 1893 fu proprio Forward di Miner Coburn quella che incarnava un’ulteriore valenza simbolica per l’emancipazione femminile. Statua allegorica di una donna, scolpita da una donna, e rappresentante un ideale di progresso femminile che in qualche modo era riuscito a incarnarsi in quell’esposizione universale. Per di più Forward era stata ospitata nel padiglione di uno stato, il Wisconsin, che forse ancora per caso, aveva messo le sue artiste in prima fila.
Dopo l’esposizione universale Forward venne acquistata con una sottoscrizione da una delle organizzazioni per il voto femminile per farne dono allo stato del Wisconsin. La statua fu installa davanti al Campidoglio della capitale Madison, sul piedistallo una targa che recita “Forward – Wisconsin Women Memorial of the Columbian Exposition – 1893“. Forward sopravvisse all’incendio del 1904 che distrusse l’edificio, e anche quando fu costruito il nuovo Campidoglio la statua mantenne la sua posizione preminente all’imbocco della scalinata monumentale. Con la nuova costruzione si vide però in parte rubare la scena dalla statua installata sulla cupola: la monumentale Wisconsin realizzata dal solito Daniel Chester French. Anch’essa ispirata al motto Forward, anch’essa con il braccio destro alzato e anch’essa soprannominata Lady Foward o Miss Forward.
Nonostante la convivenza con la nuova Lady Forward, la Forward storica era rimasta nella memoria delle associazioni femminili e femministe del Wisconsin. Nel 1996 la scultura di Miner Coburn fu al centro di una seconda sottoscrizione di associazioni femminili: la raccoltà consentì di realizzare una copia in bronzo che venne esposta davanti al Campidoglio, mentre l’originale restaurato dopo più di un secolo all’aperto venne esposta all’interno degli spazi della Wisconsin Historical Society. Un ideale passaggio di consegne tra le suffragette di fine Ottocento e il femminismo anni ’90.
Questa la storia di Forward fino al giugno 2020. Al di là del valore artistico di Forward per questa scultura il contesto storico e il piano simbolico si sono intessuti fin dall’inizio. Certo qualcuno potrà considerare Forward una “statuaccia ottecentesca” (cit.). E forse tra le tante artiste della Columbian Exposition ve ne furono di più dotate della Miner Coburn. Ma Forward non è una semplice statua allegorica, ma è un’opera che ha realmente vissuto e incarnato la sua allegoria.
Le proteste del giugno 2020
Da questa premessa si arriva al giugno 1920 e a come Forward sia stata buttata giù, e di come attivisti e attiviste abbiano rivendicato sul piano politico quell’abbattimento. A prescindere da qualunque considerazione storica.
Dopo la morte di George Floyd il 25 maggio 2020, Madison è tra le tante città degli Stati Uniti che vedono, oltre alle manifestazioni temporanee, l’organizzazioni di picchetti nel nome di Black Lives Matters. Picchetto permamente che come in molte città viene organizzato di fronte ai simboli del potere locale, come il palazzo del Campidoglio di Madison.
Proteste pacifiche, inizialmente, in cui ci si limita a un po’ di vernice e qualche scritta sul piedistallo di Forward. I giornali locali restituiscono un clima sostanzialmente propositivo e positivo. Tra i portavoce dei manifestanti di cui danno riscontro le cronache Ebony Anderson-Carter, che giocoforza sarà tra quelli che rivendicheranno l’abbattimento di Forward il 23 giugno successivo.
La situazione tranquilla nella piazza antistante il Campidoglio di Madison precipita la notte del 23 giugno, quando le forze di polizia locali arrestano uno dei manifestanti. Arresto che fa da scintilla e causa una notte di violenze in cui vengono abbattute sia Forward che la statua di Hans Christian Heg. Questi, nativo della Norvegia, fu un fervente abolizionista e morì in battaglia con il grado di Colonnello dell’esercito Unionista a Chickamauga nel settembre 1863. Insomma Heg dovrebbe essere considerato un eroe della guerra contro i Confederati schiavisti. A scanso di equivoci la statua di Heg non solo è stata abbatttuta, ma è stata anche decapitata.
il mattino dopo, 24 giugno, il fatto che le proteste pacifiche avessero condotto all’abbatimento di una statua dedicata all’emancipazione femminile, e all’abbattimento con vandalismo di una statua di un eroe abolizionista ha fatto sì che anche i giornali più liberal del Midwest si ponessero delle domande sulle motivazioni dei movimenti. Per usare le parole del Wisconsin State Journali, foglio che ha appoggiato Obama nel 2008, Clinton nel 2016 e Biden nel 2020, le statue cadute: “lasciano molte persone a chiedersi con quale scopo gli abbattimenti siano serviti a far avanzare il movimento Black Lives Matter.”
I portavoce dei manifestanti, anziché azzardare un passo indietro, hanno trovato il modo di rivendicare l’abbattimento delle due statue come atto politico. Ebony Anderson-Carter ha dichiarato che, nonostante le statue simbolizzassero buone cause, creavano una “falsa rappresentazione di ciò che è questa città“. Concludendo “Spero solo che alcune persone si rendano conto che a volte è necessario parlare alle persone in una lingua che solo loro capiscono. Smettete di cercare di farci parlare con voi nella vostra lingua.”
Si abbattono anche gli abolizionisti
Un altro attivista, Micah Le, ha commentato come “La caduta delle statue è un guadagno enorme per il movimento, anche se penso che i media liberali e conservatori cercheranno di rappresentare la scorsa notte come una violenza senza senso piuttosto, che la mossa politica strategica che è stata davvero.“ Dichiarazione che è stata poi anche ripresa da Wikipedia nella pagina di Forward per commentare, e in qualche modo giustificare1 la narrazione intorno all’abbattimento della statua.
A margine, un attivista da tastiera, tal Brian Ward, su Facebook ha commentato che Heg aveva partecipato alla corsa all’oro del 1849, e con quello che hanno significato le corse all’oro per i nativi della costa del Pacifico, forse la causa abolizionista può passare in secondo piano. E che Forward rappresenta solo l’emancipazione delle donne bianche, quindi un caso lampante di white privilege.
Guerra alle statue come scelta politica
Insomma la vicenda di Madison, ancorché minore nel panorama della nuova iconoclastia riguardando figure locali, è quanto mai istruttiva. Le statue cadono indipentemente da quello che significano o hanno significato.
Cadono anche le statue che furono simbolo di progresso perché contribuiscono a creare “false rappresentazioni”. Anzi come dichiara Ebony Anderson-Carter al Wisconsin State Journal, quello di abbattere statue è un linguaggio e rappresenta una chiara strategia politica. Sottolineiamo nuovamente, indipendentemente dal soggetto e dal messaggio della statua.
E il messaggio di Forward era un messaggio alla portata di qualunque manifestante che ha bivaccato sotto quella statua per almeno tre settimane. La voce di Wikipedia su Forward è disponibile dal 2013. Così come la biografia di Heg è nell’enciclopedia libera dal 2005.
Evidente quindi come ormai anche un’immagine allegorica sia a rischio dei nuovi iconoclasti. A rischio perché viene da “epoche buie”. A rischio perché “crea false rappresentazioni”. A rischio perché è una “fine” strategia politica. Tutto a questo punto diventa contestabile e a rischio abbattimenti.
Poco importa che almeno a Madison le due statue verranno ricollocate dopo i restauri. Come simboli sono già caduti e torneranno a cadere.
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1 – Chi scrive è coautore de Wikipedia – L’enciclopedia libera e l’emancipazione dell’informazione, Bietti, 2013, unico saggio in italiano sull’impatto e le dinamiche di Wikipedia nei media. Il termine giustificare è usato quindi con cognizione di causa.