Sulla home page del sito dell’Università di Monaco di Baviera campeggia un’immagine con la scritta: “Impedire il secondo seppellimento di Pompei”. Quella scritta corrisponde ad un progetto del valore di 10 milioni di euro, elaborato da ricercatori della Technische Universität di Monaco di Baveria, la numero 1 in Germania e dell’istituto Fraunhofer di Stoccarda, il più grande centro di ricerca tecnica d’Europa, finanziata dall’industria tedesca, oltre che dal governo federale e dai land.
di di Danilo Quinto da La Bussola Quotidiana del 02-09-2013
“Conservare Pompei per l’eternità”: è questo lo slogan usato per il “Pompei Sustainable Preservation Project”, che inizierà la sua attività nel 2014 ed avrà come partner italiano il CNR, che partecipa con l’Ibam, l’istituto per i beni archeologici e monumentali di Catania.
Se non riusciamo noi a preservare Pompei, ci penseranno i tedeschi, che hanno le idee chiare: vogliono fare di Pompei un centro di ricerca sulla conservazione dell’architettura antica. Il programma, a cui collaboreranno – (! ) – anche la Soprintendenza per i beni archeologici di Pompei e l’Istituto superiore per la conservazione e il restauro (italiani!), coinvolge anche la School of geography and environment dell’Università di Oxford, il Dipartimento di storia antica dell’Historicum della Ludwig Maximilians Universität Munchen (Lmu Munchen), il Deutsches Archäologisches Institut (Dai) di Roma e l’Università di Pisa.
Conservare l’antico e sviluppare il nuovo, affermano i ricercatori tedeschi. Restauro radicale e costruzione di nuovi sistemi di prevenzione, oltre che aree verdi che si integrino con quelle esistenti. Non basta. Il progetto prevede la nascita di una summer school, che dovrà formare 510 persone all’anno. Uno degli archeologi coinvolti, Albrecht Matthaei, dice a “Repubblica”: «La nostra idea è di mettere insieme attività concrete di restauro con la formazione sul campo degli studenti, facendo incontrare l’accademia e il restauro, cioè la formazione e i lavori, due ambiti che generalmente restano separati. E lo vogliamo fare mettendo insieme studenti e ricercatori di tutto il mondo a Pompei, un luogo esemplare per l’archeologia». I partner del “Pompei Sustainable Preservation Project” sono alla ricerca di una società di raccolta sponsor o di un mecenate che garantisca la prosecuzione negli anni del programma di restauri. Non sanno, forse, che in Italia – com’è accaduto nel caso di Diego Della Valle che ha inteso investire 25 milioni per il restauro del Colosseo – può accadere che l’intervento del mecenate possa essere fermato per due anni da ricorsi e contro-ricorsi, che arrivano fino al Consiglio di Stato, per impedire che il marchio Tod’s campeggi sull’Anfiteatro Flavio.
Non sono solo i tedeschi a interessarsi a Pompei. A fine settembre, terminerà il più grande evento espositivo organizzato al British Museum di Londra: 450 manufatti del sito vesuviano – pezzi pregiati “dimenticati” nei depositi di Napoli – che formano la mostra, allestita nel padiglione centrale del British e sponsorizzata da Goldman Sachs. “Life and Dealth: Pompeii and Hercolanum”, il titolo dell’evento, visitato lungo sei mesi da oltre 400mila persone. La mostra farà il giro del mondo, perché gli inglesi, attorno ad essa, hanno visto “profumo” di affari. Si stima un incasso di 7 milioni di sterline, solo per i biglietti d’ingresso e gli articoli del book-shop.
La passione degli inglesi per l’antichità, ha avuto un esempio clamoroso qualche mese fa, quando, durante i lavori su Queen Victoria Street, gli esperti hanno trovato strutture di legno, datate al 40 d.C, ad una profondità di 12 metri sotto il terreno. Attraverso uno scavo manuale di 3.500 tonnellate di terreno, sono stati trovati 10mila oggetti. Figuriamoci se la stessa cosa fosse avvenuta in Italia. Le proteste si sarebbero scatenate contro chi avesse avuto l’ardire di fermare un cantiere per cercare quattro … cianfrusaglie.
La verità è che mentre gli altri ce lo invidiano e farebbero a gara per occuparsene, noi maltrattiamo il patrimonio immenso della nostra storia e della nostra arte. Mentre la nostra musica muore e i nostri Teatri languano e si mantengono solo con i soldi che ricevono dallo Stato – sfoderando bilanci con “buchi” finanziari paurosi – la stessa musica dei grandi Maestri italiani dell’’800 e primo ‘900, riempie i Teatri di tutto il mondo. Dedichiamo per dieci mesi a Palazzo Venezia una mostra alla Cina arcaica – con tutto il rispetto – e non ci accorgiamo, per deficienza culturale, di avere attorno a noi il più grande patrimonio culturale e paesaggistico esistente al mondo, al quale non viene dedicato uno straccio di progetto serio, per valorizzarlo, per attrarre i visitatori e realizzare, in questa maniera, il rilancio della nostra disastrata economia.
Nessuna “filiera” di marketing territoriale, nessuna ricerca di sponsor privati, nazionali e internazionali, nessuna attività che abbia al centro il richiamo al concetto di bellezza. Ecco perché anche Pompei muore e, se non muore, sarà solo merito di chi, al posto nostro, ha compreso che attraverso quella bellezza, potrà ricavarne anche un business.