A San Gimignano va in scena l’ultimo schiaffo ai nostri Beni culturali. Teloni di plastica ed erbacce coprono i mosaici. Per un fallimento il terreno degli scavi va all’asta e presto le ruspe potrebbero seppellirli per sempre.
di Maurizio Crosetti da Repubblica del 24 settembre 2014
Il tesoro giace sotto questi teli neri dell’immondizia, tra un fiore giallo solitario al centro del campo e un cespuglio là in fondo. Dietro la rete di recinzione mezza divelta, oltre il cartello (“Pericolo!”) che penzola nel vuoto, sotto la plastica trattenuta dai sassi e sfidata dal vento, c’è una villa romana del terzo secolo dopo Cristo, una meraviglia di mosaici, sale, padiglioni, marmi. C’è, ma tra poco potrebbe venire di nuovo coperta di terra per ordine della Sovrintendenza ai beni architettonici. Sepolta, laggiù dov’è stata per milleseicento anni. Incombe un possibile funerale dal valore altamente simbolico: officiante il rito, la triste burocrazia italiana.
Il luogo è circondato dalla bellezza quasi insostenibile delle colline senesi, poco oltre San Gimignano, frazione di Aiano-Torraccia di Chiusi. Qui, dal 2005 al 2012 è stato riportato alla luce un sito archeologico di enorme valore, sette anni di lavoro per ridare vita alla dimora di un nobile romano, probabilmente un proconsole dell’Impero. Una scoperta monumentale e inattesa, intuita già negli anni Venti dal grande archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli e svelata in parte all’inizio degli anni Settanta, qui, lungo la via Francigena. Centinaia di persone hanno scavato a forza di pale, ripulito, restaurato, inventariato un capolavoro accostabile alla Villa del Casale di Piazza Armerina, facendo però i conti senza l’oste. Cioè senza il signor Leonardo Berti, pensionato e proprietario del terreno. Vittima di qualche guaio finanziario, costui sta per essere dichiarato fallito dal tribunale di Siena, e i suoi beni andranno all’asta. Tutti, compreso il campo dei miracoli: 10mila metri quadrati, di cui 2.500 scavati forse invano. Siccome non si può pagare l’indennizzo di occupazione (una miseria, 500 euro l’anno) a chi è invischiato in un fallimento, e non si può identificare legalmente il soggetto al quale versare la somma, da quasi tre anni gli scavi sono fermi. E potrebbero non riprendere mai più.
Si mangiano il fegato non solo ricercatori e studiosi, ma anche gli sponsor: l’Università cattolica di Lovanio, in Belgio (che ha la concessione dello scavo), la Fondazione Monte dei Paschi, l’Università di Firenze e il Comune di San Gimignano. Finora hanno speso (o sprecato) 220mila euro, e potrebbe finire anche peggio. “Per proteggere il sito dalle intemperie, la Sovrintendenza può ordinare di ricoprirlo e a quel punto non ci sarebbero più certezze sul destino della villa”. Il professor Marco Cavalieri, direttore scientifico della missione e docente di archeologia romana proprio a Lovanio, rivela come in Belgio definiscono tutta questa storia: “I miei colleghi la chiamano “la vicenda della repubblica delle banane”, e c’è davvero da vergognarsi. Questa è l’immagine che dà l’Italia di se stessa, di come non sappia o non voglia tutelare i tesori culturali”.
Dietro le vetrate del suo piccolo ufficio, guardando dall’alto i giapponesi che fotografano ogni millimetro di San Gimignano, il sindaco Giacomo Bassi si sbraccia come un vigile urbano. “Ma io dico, come possiamo fermare questa umiliazione? La Sovrintendenza non è cattiva, ci mancherebbe, anzi potrebbe dare quell’ordine solo per salvare la villa: però sarebbe una sconfitta per tutti. Abbiamo stanziato 40mila euro per l’acquisto del terreno ma il giudice non risponde, è tutto fermo. Siccome siamo in presenza di un fallimento, anche la procedura di esproprio per pubblica utilità non è applicabile. Insomma, siamo bloccati”. In barba a vincoli e tutele.
Il paradosso, uno dei molti in questa assurda storia, è che un eventuale acquirente che non fosse un ente pubblico non potrebbe farsene proprio nulla, dell’area del signor Leonardo. Perché mica puoi costruire una casa, un centro commerciale o un parcheggio sopra un sito archeologico. Il Comune ha proposto al tribunale di Siena il frazionamento della proprietà, per poter acquisire solo il terreno e non mandare tutto a monte. Come risposta, per ora, un profondo silenzio. “Qui si rischia non solo una monumentale figuraccia in mondovisione, ma un danno culturale incalcolabile”. Il dottor Giacomo Baldini, ragazzone allampanato con gli occhi consumati dai libri ma ancora accesi dall’entusiasmo, è il direttore dello scavo di Aiano. L’uomo che ha tolto il tesoro dalla terra non vorrebbe davvero vederla precipitare di nuovo, rovesciata dalle ruspe. Sarebbe, anche, la dolorosissima tumulazione di un sogno. “Questa villa racconta almeno quattro secoli di storia, può dirci se fosse solo una nobile residenza per l’otium, oppure un caposaldo del potere romano in Val d’Elsa. Ma dopo tre anni di cantiere bloccato, la pioggia e le erbacce ucciderebbero tutto questo: ecco perché potrebbe esserci ordinato di interrare. Ci vorrebbero altri 20mila euro e una settimana di tempo, mentre è più difficile quantificare il danno per la comunità. Secondo me, incalcolabile”.
Il funerale della villa coprirebbe la stanza trilobata a pianta esagonale, le esedre dell’ambulatio che la racchiudeva, gli 80 metri quadrati dello splendido mosaico bianco e nero, le losanghe e i cerchi, la treccia decorativa e il cratere fiorito. Fa male al cuore immaginare la nuda terra che si abbatte su tutta questa meraviglia e la soffoca, forse per altri duemila anni o per sempre. Dopo il passaggio delle ruspe, le malepiante e il maggese diventerebbero gli unici padroni della conca, ora che il vento e le api la ingentiliscono nel silenzio del pomeriggio. Nessuno potrebbe più ricostruire la storia ancora misteriosa di un luogo e di un tempo, forse svelata dallo scavo, se solo potesse proseguire. Invece il finale, quello sì rimarrebbe chiarissimo: dopo i Romani vennero i barbari, e sono ancora qui.