di Aldo Giovanni Ricci dal blog “Storia, non storie”
Perez-Reverte è un maestro nella narrazione della guerra in tutti i suoi aspetti: feroci, umani, fraterni, militari. Non a caso prima di dedicarsi ai romanzi ha fatto il corrispondente di guerra su molti fronti: dal Libano all’Eritrea, dalla Bosnia al Nicaragua. (…) Al conflitto fratricida che insanguinò la Spagna dal luglio del 1936 all’aprile del 1939, causando circa 400 mila morti, e che ovviamente da spagnolo sente sulla sua pelle, ha già dedicato tre romanzi che hanno come protagonista il personaggio di Lorenzo Falcò, agente segreto dietro le linee nemiche per conto delle forze nazionaliste (…) Tutt’altro il caso di questo nuovo romanzo, Linea di fuoco. (Rizzoli, pp.600, euro 22). Qui non c’è un protagonista come Falcò, ma gli attori sono tanti, divisi tra i due schieramenti in lotta. Lo scenario è quello del fronte dell’Ebro, il fiume che nel 1938 divideva le forze nazionaliste da quelle repubblicane e che proteggeva la Catalogna e quindi Barcellona. Lungo quel fiume, in circa 60 Km, tra luglio e novembre di quell’anno, si svolse una battaglia decisiva, dove i miliziani repubblicani, ormai egemonizzati dal partito comunista e sostenuti dall’URSS, si scontrarono con i nazionalisti, sostenuti a loro volta dalla Germania e dall’Italia, che inviò anche molti volontari. Il bilancio di quei mesi di guerra fu di oltre 20 mila morti. L’iniziativa venne presa dai repubblicani, che tra il 24 e il 25 luglio, per distogliere i nazionalisti dall’offensiva verso Valencia, crearono a sorpresa una testa di ponte per attraversare il fiume, dovendo poi ripiegare sotto il contrattacco franchista al termine dell’offensiva.
Su questa realtà storica Perez innesta il suo romanzo, con fatti e personaggi fittizi, ma ispirati a quelli avvenuti e ai loro protagonisti. Secondo il racconto, nella notte tra il 24 e il 25 luglio, circa 2890 uomini e 19 donne dell’XI Brigata mista dell’esercito della Repubblica attraversarono l’Ebro per stabilire una testa di ponte a Castellets del Segre. I combattimenti durarono dieci giorni, fino alla ritirata dei repubblicani, e il romanzo è la cronaca di quei dieci giorni, alternando l’occhio del reporter di guerra tra l’uno e l’altro fronte, dove si scontrano falangisti, carlisti, mori e legionari da una parte, e miliziani repubblicani e volontari delle Brigate internazionali dall’altra. Gli uni con armi, carri armati e aerei tedeschi e italiani, gli altri con le stesse armi, ma di provenienza sovietica.
L’occhio del reporter è imparziale. Non parteggia per nessuno dei due fronti e non risparmia egualmente nessuno. Eroi e vigliacchi sono egualmente distribuiti. Molti moriranno da entrambe le parti e il sangue che rende viscidi i pochi chilometri tra il fiume e la collina da conquistare o da riprendere è sempre dello stesso colore. Nella descrizione dello scrittore, lo stato d’animo di molti dei protagonisti nel compiere il proprio dovere assume dei contorni che si possono definire religiosi. Sentono insomma di compiere un dovere che non ammette esitazioni, una missione sacra da portare a termine: combattere per creare un mondo nuovo e giusto per i comunisti, convinti che il partito ha sempre ragione; ripulire la Spagna eterna dai senza Dio e riportare l’ordine nel paese per i nazionalisti. (…) E’ un romanzo che si legge tutto d’un fiato, come si suol dire, e che si raccomanda a chiunque voglia capire cosa sia in realtà una guerra civile, anche perché l’argomento, se non abbiamo perduto del tutto la memoria, ci riguarda direttamente.
(Dalla recensione scritta per “Storia In Rete” da Aldo G.Ricci nel suo blog “Storia, non storie”)
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