La Spagna e la Reconquista che (forse) non c’è mai stata

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La Reconquista è un periodo lungo otto secoli, dalla Battaglia di Covadonga (718) alla caduta di Granada (1492), servito per unificare la Spagna e cacciare gli arabi. Ma si può davvero parlare di Reconquista?

dalla newsletter “cosedispagna” di Laura Cardia del 5 agosto 2024

Questa è cosedispagna, una newsletter che non so quanto riuscirò a mantenere a cadenza settimanale in queste giornate caldissime (ma ci provo!) e in cui racconto la Spagna che mi colpisce. Oggi parliamo della Reconquista e di come il suo uso a volte ideologico crei problemi alla conoscenza della storia spagnola. Otto secoli di presenza araba nella Penisola: fu davvero Reconquista? E quanto è importante il contributo arabo nella costruzione dell’identità spagnola?


Si può davvero parlare di Reconquista?

Nei giorni scorsi, El País ha pubblicato un lungo e bell’articolo sulla Reconquista, per sottolineare come il mito e il nazionalismo possano “contaminare la storia“. Sono usciti recentemente diversi libri e saggi, che mettono in dubbio non solo il senso della Reconquista, ma anche alcune delle sue battaglie fondanti. Come Covadonga, per esempio, che forse fu poco più di una schermaglia tra l’esercito del leggendario re asturiano don Pelayo e quello del governatore berbero Munuza e poi successivamente acquistò il valore epico che le assegna ancora oggi la storia spagnola.

La resa di Granada di Francisco Pradilla y Ortiz. L’ultimo sovrano musulmano consegna la città ai Re Cattolici Fernando e Isabella. È la fine della Reconquista

Ci vuole una premessa: la Spagna della democracia non è mai stata particolarmente nazionalista. Il settore progressista non ha mai esaltato i simboli nazionali come la bandiera perché troppo l’aveva fatto il regime franchista da cui voleva ovviamente smarcarsi. Mentre il settore conservatore, di cui la dittatura è stato espressione, li lasciava in disparte per far dimenticare le proprie responsabilità. A riportare in auge il nazionalismo sono stati il procés catalano e la presenza degli immigrati stranieri, in particolare dal Maghreb e dai Paesi islamici. Le esigenze e l’attivismo degli indipendentisti catalani hanno spinto Madrid e dintorni alla riscoperta del nazionalismo spagnolo. E l’arrivo dei nuovi Mori, in un Paese che continua a celebrare numerose feste per ricordare la loro cacciata, ha causato la ripresa di un’idiosincrasia vecchia di secoli, la contrapposizione tra la Spagna cristiana e quella islamica, che abitò la penisola per circa otto secoli.

E da qui parte El País. Dall’identità spagnola, che si fonda sulla Reconquista, ovvero il periodo storico necessario a cacciare gli Arabi dalla penisola iberica e restituirle la sua identità cristiana. Tradizionalmente inizia con la mitica Battaglia di Covadonga, avvenuta nelle Asturie intorno al 718-22, e termina il 2 gennaio 1492 con la caduta di Granada nelle mani dei Re Cattolici, Fernando d’Aragona e Isabella di Castiglia, i genitori della Spagna moderna e della sua identità. Si può parlare di Reconquista? si chiede innanzitutto il quotidiano madrileno. “Come può chiamarsi Reconquista un qualcosa che è durato otto secoli” ironizzava già José Ortega y Gasset negli anni Venti. Oppure ci si può chiedere come puoi chiamare Reconquista qualcosa che non è mai stato tuo? Granada, per dire, non è mai stata una città cristiana: è stata fondata dagli Arabi e alla sua caduta, nel 1492, finì per la prima volta nelle mani di una monarchia cattolica.

Negli ultimi mesi sono stati pubblicati diversi saggi che mettono in guardia dalla contaminazione ideologica che ha permeato la storiografia spagnola, libri che puntano direttamente contro alcune pietre miliari del nazionalismo” scrive El País. “‘Quando gli storici diventano difensori dello spirito nazionale, il loro ruolo si limita a quello di indottrinatori di patrioti al servizio del potere politico‘ avverte il medievalista ed esperto di al-Andalus Eduardo Manzano Moreno nel suo libro España diversa. Claves de una historia plural, un volume in cui denuncia come la storia della Spagna abbia sepolto sotto una montagna di luoghi comuni un passato straordinario caratterizzato da ‘un variegato e affascinante mosaico di diversità’. E il problema di questo resoconto standard della storia è il suo carattere settario e non integrativo, la cui lunga ombra è proiettata su ‘musulmani, ebrei, zingari, popolazioni precolombiane, eretici, dissidenti politici e persone e idee nazionaliste rivali‘”. Questi concetti mi sono molto vicini.

Tempo fa ho assistito su twitter a una discussione tra un esperto spagnolo di storia romana e diversi suoi followers a proposito delle radici romane della Spagna. Sono radici innegabili: la struttura e buona parte del vocabolario spagnolo derivano dal latino; città come Mérida, Segovia e Itálica conservano un patrimonio archeologico di grande valore; i Musei Archeologici della stessa Mérida e di Siviglia testimoniano ancora oggi la potenza della propaganda romana nelle province attraverso la scultura e l’arte; il Diritto spagnolo molto deve a quello romano, come in buona parte dei Paesi latini dell’Europa. Insomma, il legato romano è indiscutibile. Ma all’esperto su twitter e ai suoi interlocutori serviva per negare il contributo arabo-musulmano all’identità spagnola. Nonostante centinaia di parole siano di origine araba, dall’almohada (cuscino) alla zanahoria (carota), da Gibilterra al Guadalquivir. Nonostante non esisterebbero l’Andalusia, il cui stesso nome è di origine araba, e buona parte della Spagna mediterranea senza il contributo della cultura araba: architettura, cucina, agricoltura, letteratura, tutte devono parte della loro attuale identità alla presenza medievale dei Mori. E immaginate anche l’Europa senza la cultura e le scienze della Córdoba califfale. Eppure dicevano “noi siamo Roma, non al-Andalus. Non c’entriamo niente con gli arabi, li abbiamo cacciati e abbiamo ripopolato le terre che ci siamo ripresi“.

La Reconquista è “un concetto che conferma l’idea controversa secondo cui la Spagna è stata forgiata contro l’Islam. Vale a dire, mentre altri popoli invasori come i Fenici, i Romani o i Visigoti siamo ‘noi’, gli abitanti di al-Andalus, indipendentemente dalle loro secolari radici nella Penisola, saranno sempre ‘loro’” scrive El País. E questo è un concetto molto interessante, che l’articolo riprende nelle righe successive citando il professore della madrilena Università Complutense David Hernández de la Fuente, secondo il quale “al-Andalus è combattuta tra due archetipi: da un lato, quello dell’utopia di un tempo di convivenza tra le religioni e di una cultura arabo-islamica ereditata dalla scienza e dalla filosofia greca (in contrapposizione al ‘barbaro Occidente’), e dall’altro, quello della negazione di quell’intero periodo come parte della storia nazionale, considerato piuttosto come una ‘eccezione’, come ‘una parentesi tra l’epoca romana e visigota e la restaurazione neogotica di Castiglia nel XIX secolo’. Per tutte queste ragioni Hernández de la Fuente raccomanda di proseguire la ricerca sul patrimonio islamico per consolidare studi imparziali che trasmettano una visione ponderata e lontana dalle ideologie“.

L’ideologia, insomma, non fa giustizia né alla storia né all’identità spagnolaReconquista è una parola entrata nell’uso comune nel XIX secolo, quando la Spagna lottava per la propria indipendenza contro le truppe napoleoniche: l’invasore francese da cacciare, così come era già successo secoli prima con gli Arabi. La Reconquista del proprio Paese, insomma. Ma il concetto di “ripresa legittima” del territorio nacque in realtà durante il regno del sovrano asturiano Alfonso III, sostenuto “come supposto erede del regno visigoto, per invadere al-Andalus con la religione come chiara bandiera“. Da lì il professor Carlos de Ayala Martínez dell’Universidad Autónoma de Madrid vede l’inizio della nozione della riconquista dei territori della penisola. “Una storia che si sarebbe ripetuta con approcci diversi nei secoli successivi. Anche se, come assicura, cristiani e musulmani non hanno trascorso 800 anni in una lotta permanente. Ci sono stati secoli e secoli con periodi di relativa tranquillità interrotti da innumerevoli scontri tra forze di entrambe le religioni, ma anche di cristiani contro cristiani, musulmani contro musulmani o entrambi uniti contro alleanze che includevano i propri correligionari‘” scrive ancora El País.

La storia spagnola è ricca, intensa e appassionante. Tante idiosincrasie del presente nascono da quei secoli convulsi, dalle battaglie e dalle contrapposizioni che portarono. Ma è chiaro che non si potrebbe parlare di Spagna senza il contributo degli otto secoli arabi e che non esisterebbe un’intera regione, l’Andalusia, senza la presenza araba (immaginatevi Siviglia senza la GiraldaCórdoba senza la MezquitaGranada senza l’AlhambraMálaga senza l’Alcazaba, immaginatevi le decine di cittadine senza de la Frontera, che indicava i confini di allora). Negare l’importanza e il contributo di quel periodo non rende giustizia all’odierna identità spagnola.

L’articolo di El País è a questo link.

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