In “Terre di sangue” Timothy Snyder parla di come nazismo e stalinismo furono di fatto complici nel tentativo di annientare il pluralismo etnico, sociale e culturale dell’Europa orientale. Provocando 14 milioni di morti
Andrea Muratore da Il Giornale del il 15 giugno 21
Quella tra russi e tedeschi è ben più della relazione tra due popoli. Si tratta di un rapporto che ha plasmato la storia d’Europa. Riorientandone l’asse verso il centro e l’Est, aggiungendo al mondo mediterraneo e allo spazio “carolingio” anche le distese oltre l’Oder e il Neisse, verso gli sconfinati spazi della Russia europea. Potenza catapultata tra il XVI e il XVII come protagonista dei consessi europei. Divisa dalla Prussia prima e dalla Germania poi da una relazione complessa. Un Giano bifronte, potremmo dire.
Per dirla con il professor Salvatore Santangelo, attento studioso delle relazioni tra Mosca e Berlino, il rapporto russo-tedesco può essere letto in diversi “tra i Paesi europei, la Russia non ha avuto rapporti altrettanto intensi quanto quello costruito con la Germania. Un rapporto fatto anche di tragedie e orrori, che hanno avuto il proprio culmine nella Seconda guerra mondiale”, in cui lo scontro ideologico tra il nazionalsocialismo e il comunismo stalinista aggiunse combustibile a una rivalità geopolitica giunta al punto di rottura, di non ritorno. Per il dilagare delle ambizioni del Terzo Reich e dell’Unione Sovietica sull’area che divideva, e divide tuttora, Germania e Russia. Al vasto spazio tra i russi e i tedeschi che i due popoli, a lungo imperiali, hanno più volte messo nel mirino e si sono contese. Fino a trasformarle, per usare l’espressione che dà il nome a un omonimo libro di Timothy Snyder, nelle “terre di sangue”.
Terre di sangue. L’Europa nella morsa di Hitler e Stalin analizza nel profondo la storia di aree d’Europa come la Polonia, l’Ucraina, i Paesi baltici nel periodo che dalla fase interbellica arriva fino al pieno del secondo conflitto mondiale. Caricato di una tremenda connotazione di guerra d’annientamento il 22 giugno 1941, giorno del tradimento tedesco del Patto Molotov-Ribbentrop di non aggressione siglato nel 1939 che sancì l’inizio dell’invasione dell’Unione Sovietica. E trascinò, per mezzo delle battaglie combattute sul campo, delle persecuzioni e dell’orrore dell’Olocausto, in una spirale di violenze senza fine le aree contese tra le due potenze totalitarie. Ma dal 1933 al 1945 la lista delle persecuzioni che investirono le “terre di sangue” fu in continuo aggiornamento: la carestia deliberatamente provocata da Stalin nei primi anni Trenta in Ucraina. Il Grande Terrore tra il ’37 e il ’38. La mortale aggressione tedesco-sovietica alle classi colte polacche tra ’39 e ’41. I tre milioni di prigionieri sovietici lasciati morire di fame dai tedeschi. Le centinaia di migliaia di civili uccisi nelle rappresaglie naziste. Infine il dramma più grande, l’Olocausto e, sul finire della guerra, la persecuzione contro i tedeschi dell’Est.
Snyder costruisce un racconto storiografico ben ordinato partendo da dei presupposti fondamentali: accerta che sia l’Unione Sovietica staliniana che la Germania nazista furono responsabili dell’annientamento di milioni di vite umane in territori che si contesero militarmente e che nell’ambizione dei due dittatori, Adolf Hitler e Josif Stalin, dovevano risultare strategici nella competizione bilaterale. Hitler sognava il trionfo della Germania ariana, l’annientamento degli ebrei dell’Est Europa, la trasformazione della Polonia, dell’Ucraina, della Russia europee in dipendenze dominate dai soldati-agricoltori mandati a colonizzarle, la sottomissione degli slavi. Aggiungendo connotati ideologici e razzisti alla chiara dottrina geopolitica interpretata da studiosi come Karl Hausofer,che immaginava per la Germania un ruolo centrale come impero continentale. L’Unione Sovietica staliniana intendeva invece assimilare al regime socialista le terre che più di tutte avevano mostrato riottosità all’omologazione sotto il nuovo ordine bolscevico.
L’autore evidenzia come sia il Reich che l’Urss siano stati di fatto complici in un progetto che, per fini diversi, mirava però a annullare ogni identità culturale, politica e sociale dei Paesi delle “terre di sangue”, non a caso spartiti brutalmente da Molotov e Ribbentrop nel patto del 1939 rotto da Hitler due anni dopo. Ed è impressionante constatare come i morti complessivi dell’Olocausto, 6 milioni, non corrispondano che a meno della metà delle persone uccise dai due regimi nei territori in questione tra il 1933 e il 1945: 14 milioni. Deportazioni di massa, carestie indotte (come il tragico Holodomor ucraino indotto dal regime staliniano), esecuzioni sommarie, repressioni, stupri, incendi, pogrom: le metodologie di massacro conobbero una crudele ed eterogenea variabilità, ed è spesso trascurata dalla storiografia l’attestazione del fatto che il numero di morti civili per queste cause diverse tra loro fu sopravanzato per un breve periodo soltanto (1944-1945) da quelli nei campi di sterminio nazisti. In larga parte posizionati nel cuore delle “terre di sangue”: Auschwitz, Treblinka, Belzec e altri luoghi dell’orrore.
“Non uno solo di quei quattordici milioni di morti era un soldato in servizio effettivo”, nota Snyder. “La maggior parte era costituita da donne, bambini e anziani. Principalmente ebrei, bielorussi, ucraini, polacchi, russi e baltici”. Molti di loro deceduti dopo aver subito persecuzioni da entrambi i regimi. Per l’autore “in quelle terre ebbe luogo la più grande calamità nella storia d’Europa” e fu sul lungo periodo inevitabile il fatto che “le vittime non poterono fare a meno di paragonare i due regimi. Penso a Vasilij Grossman, scrittore sovietico nato in Ucraina da famiglia ebrea. Egli assistette alla carestia lucidamente indotta da Stalin in Ucraina, e più tardi perse sua madre nell’Olocausto nazista, sempre in Ucraina. Gli venne naturale paragonare i due terribili eventi. Così fu per moltissimi ebrei, e così per moltissimi ucraini”. Vittime di una persecuzione continua, stritolate nel redde rationem di un dualismo secolare, nel pieno del lungo suicidio dell’Europa rappresentato dalle due guerre mondiali. Un’ondata di dolore che ha rimesso in moto con profondo dinamismo la storia di queste terre dopo la fine della guerra e i lunghi anni di dominazione comunista.
La memoria del dolore plasma oggigiorno la visione di nazioni come l’odierna Polonia, diffidente tanto di Mosca quanto di Berlino, identitaria e intenta a riscoprire nelle sue radici cristiane la forza vivificatrice per la ricostruzione del suo futuro. Una via già indicata in passato da Giovanni Paolo II, tra i tanti uomini sopravvissuti nonostante il faccia a faccia con entrambi i totalitarismi. Che, in fin dei conti, piuttosto che annientare i popoli delle “terre di sangue” li hanno, in ultima istanza, resi più coesi e resistenti. La disfatta del totalitarismo sta proprio nel fatto che nell’Europa di oggi continui a esistere il prezioso pluralismo etnico, religioso, politico, culturale che Hitler e Stalin volevano cinicamente negare.