Il 7 luglio 1949, l’Unità, organo del Partito comunista italiano, pubblicò, in prima pagina, in posizione di testata e su quattro colonne, un ampio articolo intitolato: «Due inglesi si sono impadroniti di una parte del tesoro di Dongo?».
di Roberto Festorazzi da del 29/03/2017
Si trattava di un servizio, denso di dettagli di prima mano, nel quale veniva rilanciata e accreditata la notizia del disseppellimento di carteggi mussoliniani in Friuli. L’autore dell’articolo era una penna che, di lì a poco, avrebbe acquisito celebrità: il giornalista e scrittore, nonché ex partigiano, Gianni Rodari. Il giornale del Pci, per il rilievo conferito all’articolo, e per il tono generale del servizio, mostrava, non soltanto di essere al riguardo molto bene informato, ma soprattutto di poter contare su fonti di sicuro affidamento.
Riferiva infatti l’Unità che, nella località friulana di Marzovalis di Verzegnis, «due persone sono scese giorni or sono da una lussuosa automobile britannica e dopo aver consultato una carta si ponevano a scavare il terreno nelle vicinanze della casa di un tale Filetti. L’operazione era di breve durata: poco dopo i due risalivano in macchina con una cassetta, frutto delle loro ricerche e si allontanavano rapidamente. Che cosa conteneva la cassetta? Testimoni oculari riferiscono di avervi intravisto dei documenti e dei preziosi». Il rinvenimento della preda cartacea, da parte di agenti segreti stranieri, era avvenuto tra le frazioni di Chiaicis e di Intissans, del comune di Verzegnis, in Carnia, non lontano da Tolmezzo. Il Messaggero Veneto era stato il primo quotidiano a pubblicare una notizia di cronaca al riguardo, ripresa, e alquanto sviluppata, come abbiamo visto, dal giornale del Pci.
Rodari, per non lasciare nulla all’immaginazione del lettore, aveva poi aggiunto: «Riteniamo di poter affermare che un filo rosso unisce Dongo al villaggio friulano, ed è la targa inglese della macchina a fornirci la traccia». L’Unità aveva anche identificato uno dei due misteriosi personaggi che erano discesi dall’automobile straniera: si trattava dell’enigmatico uomo di intelligence Angelo Zanessi, alias capitano Zehnder, che gli Alleati, nell’ultima fase del conflitto, erano riusciti a infiltrare nell’entourage di Mussolini, sul lago di Garda, per carpire al dittatore segreti e carteggi esplosivi. Zanessi-Zehnder si era mimetizzato abilmente nella colonna italo-tedesca, fermata a Dongo dai partigiani, ed era stato autore di una delle più vaste operazioni di recupero dei fascicoli duceschi spariti sul lago di Como, nelle giornate di fine aprile del 1945. Parte dei materiali, era stata da lui occultata in Friuli, già alcuni mesi dopo la caccia grossa di Dongo.
Ora, poniamoci la domanda più interessante: perché l’Unità scelse di sparare una notizia che aveva le sembianze di una indiscrezione? Perché, evidentemente, al Pci constava, con assoluta certezza, che, tra le carte trafugate a Dongo, vi fosse anche il famoso epistolario intercorso tra il Duce e Winston Churchill.
Scrive infatti il cronista d’eccezione Gianni Rodari: «Tornano in scena gli inglesi e con essi torna in scena Churchill. Il vecchio leone conservatore ha soggiornato a lungo, come si sa, dopo la Liberazione, sul lago di Como. Anch’egli inseguiva qualcosa che Mussolini portava con sé al momento della fuga. Nei giorni scorsi si è appreso che Churchill ha prenotato una villa di dodici locali sul lago di Garda per trascorrervi un periodo di riposo. Alla luce degli ultimi avvenimenti il nuovo viaggio di Churchill acquista lo stesso sapore del primo».
Bum. Con quasi venti di giorni di anticipo, sul suo arrivo in Italia, l’Unità era riuscita a pubblicare la notizia della nuova, strana vacanza dello statista britannico, nel cosiddetto Lake District della Lombardia ove si erano svolti gli eventi dell’epilogo del capo del fascismo.
Villeggiature alquanto sospette, che consentivano al leader politico d’Oltremanica di coordinare, sul campo, la ricerca di spezzoni della sua corrispondenza con il Duce, i quali, per un dispetto della storia, parevano essersi talmente dispersi, segmentati, da rendere problematico, se non impossibile, il loro integrale recupero. Ecco perché, all’affacciarsi di ogni nuova minaccia, riguardante l’esistenza di sue lettere segrete a Mussolini intercettate in Italia, Churchill, puntualmente, si precipitò nella Penisola, in zona di operazioni.
Nel pomeriggio di lunedì 25 luglio di quel 1949, l’ex premier inglese, sbarcato da un bimotore da trasporto C-47 Dakota atterrato all’aeroporto di Orio al Serio, si installò così in un’intera ala del Grand Hôtel di Gardone Riviera, insieme alla sua corte di fedelissimi, tra i quali due detectives di Scotland Yard.
Che fosse venuto esclusivamente a dilettarsi di pittura, come sostengono, da sempre, non soltanto gli storici inglesi, negazionisti in materia, ma anche taluni loro colleghi italiani, come i malinformati Mimmo Franzinelli e Gianni Oliva? Difficile crederlo.
Frederick William Deakin, stretto collaboratore di Churchill, il quale viaggiò al seguito dello statista conservatore in questa seconda vacanza nella Penisola, nel 1986 ebbe a confessare il genere di pressione, al limite del ricatto, che venne esercitato sull’illustre ospite britannico. Questo il suo racconto: «Una sera, il portiere del Grand Hôtel dove alloggiavamo, mi portò una busta indirizzata a Churchill e che era appena stata consegnata al suo banco. Il plico conteneva copie microfilmate di certi documenti, apparentemente autografi, di Mussolini. Tra essi ve ne era uno del 2 ottobre 1935 relativo alla dichiarazione di guerra all’Etiopia, e un altro del 10 giugno 1940 relativo alla dichiarazione di guerra all’Inghilterra e alla Francia. Il latore del plico aveva chiesto di potersi incontrare con Churchill, ma quando mi recai nella hall non c’era più nessuno. L’episodio, perciò, non ebbe seguito. Io mi limitai ad annotare: Sembra che in questa regione fotocopie di documenti provenienti dagli archivi di Mussolini siano capitate, alquanto misteriosamente, in mano di privati». Occorre aggiungere altro?