E’ stata una sorpresa leggere alcune pagine tratte dal quadrimestrale “Panta” dedicate a Marcello Marchesi (Agenda Marchesi, Bompiani, 2015 n. 32), un autore che ha segnato il mondo dello spettacolo italiano nel Novecento. Per chi ha superato all’anagrafe il mezzo secolo, il nome di Marcello Marchesi (1912-1978) evoca ricordi di una tivù in bianco e nero, fatta di pubblicità efficaci e “Caroselli” divertenti, i cui più originali (per esempio: Il signore sì che se ne intende!) erano spesso firmate da questo straordinario autore di cinema, di televisione e di libri. Talent-scout di eccezione, fu lui a scoprire, tra gli altri, Sandra Mondaini, Gianni Morandi, Walter Chiari, Gino Bramieri, Paolo Villaggio, Cochi e Renato, e a firmare programmi televisivi come Canzonissima e L’amico del giaguaro, oltre a tanti programmi radiofonici di successo.
All’interno del bel volume a lui dedicato c’è un affettuoso ricordo di Gustavo Palazio, (1924-2012), sceneggiatore, regista e scrittore che rievoca l’amicizia con Marchesi, nata prima della Seconda guerra mondiale nella redazione del “Bertoldo”, e poi rinsaldata dopo il 1945 grazie a Walter Chiari, che aveva riunito tre “esuli in patria”, incriminati o addirittura incarcerati con l’accusa di collaborazionismo. Palazio si lamenta della censura che grava su coloro che non hanno rinnegato il loro schieramento con la “parte sbagliata”, e che per questo, ancora nel 1948, non riescono a lavorare: “Si sono accaniti con lui, secondo me, anche per il fatto che era partito volontario per la guerra d’Africa, gli era rimasto un buco così nella schiena. Quello era un periodo in cui si andava facilmente volontari in guerra, ci sono andato anch’io, ero giovanissimo. Non sono andato in Africa, perché ero troppo giovane, ma sono stato volontario nella Repubblica Sociale, sono stato al fronte e me la sono fatta fino all’ultimo giorno, la guerra. Sono pieno di buchi, ho perso l’uso di un orecchio, ho gli occhi malandati, ma noi siamo considerati italiani di serie B, mentre dagli stranieri venivamo trattati come dei Padreterni se venivamo fatti prigionieri, perché eravamo quelli che non avevano tradito.”
Il ricordo prosegue con memorie amare che riguardano le atrocità subite dagli Italiani sul confine orientale, ricordi che non possono essere condivisi se non con chi quelle cose le ha vissute e le rievoca con un po’ di disincanto e amarezza, che non tolgono, però lucidità all’analisi impietosa di chi, finita la guerra civile, avrebbe potuto fare qualcosa di costruttivo e non lo fece.
“I puri non esistono. Marchesi non era certo un intellettuale di sinistra. Era un intellettuale e basta perché un intellettuale tu non puoi definirlo di destra o di sinistra, così come non puoi dire è un ingegnare di destra o di sinistra. È un uomo di destra che fa l’ingegnere. Dario Fo, ad esempio, era tutt’altro che di sinistra, era volontario nella Decima Flottiglia Mas, anche se oggi non lo nega ma non lo dice, così come c’era Walter Chiari, solo che Chiari era un uomo coerente e Dario Fo invece, siccome teneva famiglia, ha capito che doveva buttarsi sdalla parte dei vincitori e si è buttato a sinistra. La sinistra, che ha capito benissimo l’importanza dell’opinione che gli italiani potevano acquisire attraverso la comicità, gli ha aperto le porte. Per cui, con la mole di lavoro e di importanza che hanno dato a Dario Fo, anche gli altri artisti lo hanno seguito nella scelta politico-artistica. E piano piano tutti gli artisti si sono allineati a sinistra perché la sinistra ha veramente aiutato gli artisti. (…) La valorizzazione dell’artista portata avanti dalla sinistra è stata la contrapposizione alla lotta contro l’artista fatta dalla Democrazia Cristiana”.
Non c’è più la Democrazia Cristiana, e nemmeno la sinistra, ma il quadro è rimasto immutato.