di Paola Laviola per www.storiainrete.com
La recente scomparsa di Alain Delon è stata l’occasione per rivedere spezzoni di uno dei suoi film più celebri: “Il Gattopardo”. Qui, indimenticabile, interpreta il carismatico e ambizioso Tancredi, in una rappresentazione dettagliata e coerente di una società, quella della Sicilia risorgimentale, sempre più conscia che gli stravolgimenti che sta subendo sono senza via di ritorno.
È la storia che bussa alla porta, il passaggio dal Regno delle Due Sicilie al nuovo Regno d’Italia, dove “Il Gattopardo” Don Fabrizio, principe di Salina, e il suo entourage sono un mondo che si allontana, come in via d’estinzione, per cedere il passo alle nuove forze della società che sta nascendo.
Comprendendo la sua incapacità di resistere, l’antica aristocrazia si unisce all’arricchita borghesia con il matrimonio di Tancredi e Angelica, mentre, in un affresco maestoso e struggente, e in un conflitto tra vecchio e nuovo, il principe assiste al tramontare della Sicilia dei Borbone e alla fine di un’era.
A pochi anni dalla pubblicazione del romanzo di Tomasi di Lampedusa, avvenuta nel 1958, il regista Luchino Visconti, già orientato ai temi dal carattere storico, dirige la magistrale realizzazione del film. Nel 1963 usciva nelle sale Il Gattopardo che registrò un colossale successo classificandosi campione d’incassi.
Visconti, come Tomasi di Lampedusa, ci guida in una dimensione di bellezza, tra umorismo e malinconia tutta siciliana, in una storia che, nella sua versione cinematografica, si snoda attraverso diverse ambientazioni in Sicilia, le cui principali sono il Palazzo Valguarnera-Gangi e la residenza estiva Villa Boscogrande.
Villa Boscogrande
Come sappiamo il personaggio “il Gattopardo” è ispirato a un principe realmente esistito, il bisnonno dello scrittore del romanzo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Giulio Fabrizio Tomasi.
Luchino Visconti, noto per il suo realismo puntiglioso avrebbe, perciò, fatto ricadere la scelta dell’ambientazione sulla dimora di famiglia villa Lampedusa, fonte d’ispirazione del palazzo Salina in cui si svolgono le scene iniziali del romanzo.
Tuttavia, già all’inizio degli anni ‘60, molto poco rimaneva di quella magnifica testimonianza del passato, e perciò si dovette ricorrere ad un’altra villa: la settecentesca Villa Boscogrande.
Si tratta di una residenza nobiliare realizzata nel 1768 su preesistente baglio del ‘500 dai duchi di Montalbo, assumendo il nome di Villa Boscogrande in seguito all’unione con la ricca famiglia Boscogrande.
In dimore di “villeggiatura” come queste gli aristocratici si recavano per fuggire dal caldo dell’estate, o per allontanarsi durante le epidemie e i tumulti, che sul finire dell’Ottocento erano frequenti.
Situata nella verde Piana dei Colli, distesa lussureggiante prediletta della nobiltà palermitana, la villa si erge maestosa con l’imponente doppia scalinata, il superbo stemma della casata e la balconata superiore.
L’ampia terrazza con il pavimento di maioliche bianche e blu sormonta il rigoglioso giardino secolare, e, negli spazi interni, la villa racchiude straordinari affreschi, ampi saloni, antichi pavimenti di argilla smaltata con disegni geometrici, lampadari di cristallo, decorazioni e infiniti particolari, tutti a testimoniare l’opulenza della settecentesca Palermo tra barocco e neoclassicismo.
Alcuni dettagli della villa furono parzialmente modificati per le riprese; ad esempio, le maioliche del grande terrazzo che Visconti volle fossero rifatte a Caltagirone con le originali tecniche antiche, e gli affreschi del soffitto a cui furono inseriti gli dèi dell’Olimpo attorno allo stemma del “Gattopardo”, come descritto nel romanzo.
Ma la bellezza di questa villa è anche nel paesaggio che la circonda: così profondamente siciliana, la sua natura incantevole resiste al di là del tempo.
È il maggio del 1860, Garibaldi è appena sbarcato in Sicilia deciso ad annetterla al nuovo Regno d’Italia ed è proprio in questa villa, dove si trova con la sua famiglia, che il principe viene a conoscenza dello sbarco di Garibaldi.
Palazzo Valguarnera-Gangi
Palermo è una scenografia, una città che potrebbe fornire l’ambientazione di un capolavoro al giorno con i suoi palazzi nobiliari preziosissimi. Tuttavia, uno si distingue tra tutti per il suo prestigio e Visconti lo sceglie per una scenografia che passerà alla storia: il Palazzo Valguarnera-Gangi.
Situato nel quartiere Kalsa, questo edificio settecentesco in stile rococò fu realizzato dalla nobile famiglia dei Valguarnera, principi di Gangi e discendenti dei conquistatori aragonesi.
Non possiamo non andare con la memoria al grande ballo de Il Gattopardo, che ha fatto sognare generazioni di spettatori.
Tutti avremmo voluto essere invitati a questo ballo e, se fosse successo, avremmo salito quella scalinata a due rampe simmetriche mentre, ad ogni scalino, le nostre orecchie avrebbero distinto sempre più chiare le note di un valzer.
Uno splendore si sarebbe aperto davanti ai nostri occhi: 8000mq per un numero imprecisato di stanze, anticamere e saloni. Dalla sala della scherma alla sala della musica, dalla sala delle conversazioni alla sala dei suicidi, magnifici arredi, affreschi, marmi policromi, e specchi, fino ad arrivare a quell’ambiente che è stato immortalato nella storia del cinema: il salone da ballo.
Questo spazio esprime da solo la magnificenza del grande casato dei Valguarnera, un radioso tripudio di gialli e ori, con i suoi preziosi lampadari di Baccarat, il pavimento di ceramiche di Vietri dove campeggia la battaglia contro gli ottomani (omaggio a un antenato che vi aveva partecipato), intarsi, velluti e infinite decorazioni.
C’è anche un altro luogo indelebile nella memoria del film: la galleria degli specchi. Un vero capolavoro di creatività dell’architetto Andrea Gigante che ideò questa orchestra di minuziosi dettagli rococò. Un soffitto a calotte che danno un effetto di ineguagliabile leggerezza, un pavimento rappresentante le fatiche di Ercole e altri temi, le pareti con intarsi di legno, i numerosi grandi specchi e, protagonista tra tutti, un maestoso lampadario a 102 bracci realizzato a Venezia dal maestro vetraio Giuseppe Briati, tra i tre più grandi lampadari veneziani del ‘700 al mondo.
Angelica chiede un ballo allo zio del suo promesso sposo e il principe, conquistato dalla freschezza di Angelica, si concede. Assieme ballano un waltzer e, davanti allo sguardo degli invitati, questo austero principe si trasforma e quasi dimentica le sue malinconie.
Tutt’attorno c’è un eco di un mondo che si allontana, un passato che rischia di scomparire. E mentre lo guardiamo anche a noi sembra di condividere le ansie dei protagonisti. Ansie per le sorti di un mondo fatto di sapienza e bellezza, patrimonio di un passato che così concepiva il bello e che ora, minacciato dall’indifferenza del tempo, dobbiamo conservare e tutelare per le prossime generazioni.