di Marie-Hélène Verdier da L’Incorrect del 4 ottobre 2021
La storia dei nomi e dei cognomi, ereditati da Roma, rivela la storia della Francia: una terra cristianizzata di cultura greco-romana, che nel giro di tre decenni è diventata una terra scristianizzata, diseredata, “defrancata”. Il nome della famiglia indica l’origine. Il primo nome, scelto dai genitori, colloca il bambino nella storia di un paese. Testimonia un desiderio di assimilazione.
Che il nome sia sempre stato un marcatore civile e sociale, e che rifletta le mode è ovvio. Tutto è ben riassunto da La Bruyère in “Les Caractères” nel capitolo intitolato “Il Grande”: «È già troppo avere la stessa religione e lo stesso Dio con il popolo: che altro modo c’è di chiamarsi Pietro, Giovanni, Giacomo come il mercante o l’aratore? Per noi, i grandi, ricorriamo a nomi profani: facciamoci battezzare sotto quelli di Annibale, Cesare e Pompeo: erano grandi uomini; sotto quello di Lucrezia: era un’illustre romana; sotto quelli di Achille, di Ercole, tutti semidei. E chi ci impedirà di chiamarci Giove o Mercurio, o Venere, o Adone?». Lo snobismo – sine nobilitate significa “senza nobiltà” – fece allontanare la gente dal “popolo”, ma Dio non fu allontanato dalla città.
Negli anni ’70, i baby boomers non si sono sposati. I loro figli non furono più battezzati. Sono nati gli Alessandro, Annibale, Venere, Tarquinio. Poi è arrivata la moda dei nomi all’americana. Se in certe famiglie ritornano nomi giudeo-cristiani, come Timoteo e Pietro, si sente che l’eredità del cristianesimo pesa sugli “eredi”. Che peso, infatti, ha sulle loro spalle il nome Emmanuel! Negli anni 1990, fiorirono nomi di frutta (Mirabelle e Cerise) e poi nomi di cose (Terebinth), così come nomi esotici presi da serie televisive. Tutto è buono per mettere un timbro unico, soprattutto pagano, sulla fronte di vostro figlio. Con l’aumento dell’ecologia, arriva l’ondata di nomi verdi, in omaggio alla Terra, al Cielo e al Mare. Maïa è diventata comune con Océane, Ambre, Rubis. I preti hanno problemi a battezzare i bambini con un nome cristiano. Al contrario, chiamano il loro cane Léon o Gaston.
Che ogni epoca abbia le sue mode è normale. Ma la decristianizzazione non è una moda. La rimozione delle festività cristiane dalle agende è un buon esempio. Certo, il tentativo americano di datare la storia dall’ “era attuale”, e non da Gesù Cristo, non ha avuto successo perché era impossibile, come il calendario rivoluzionario, ma tutto questo è indicativo del desiderio di cancellare un’eredità cristiana e una tradizione classica. Mentre in Francia, “gli eredi” negano la loro eredità, il nome Mohamed sta diventando il nome più dato. Una “madre velata” non ha deplorato, davanti al presidente della Repubblica, che suo figlio non avesse un “Pierre” nella sua classe? Che non c’è un mix sociale!
Di fronte a questa constatazione, Eric Zemmour propone – e potremmo non essere d’accordo – di tornare alla legge del 1803 promulgata da Bonaparte, applicata ininterrottamente fino al 1993, alla quale tutti gli immigrati erano soggetti fino agli anni ’70, che imponeva che tutti i bambini in Francia portassero nomi “francesi”, presi dal calendario dei santi e dei grandi personaggi antichi. Nel suo libro scrive: «Mi dispiace che questa legge sia stata abolita dai socialisti nel 1993 perché, a differenza del nome di famiglia, che simboleggia l’identità personale, le origini e la genealogia, il nome di battesimo indica che i genitori hanno deciso che i loro figli saranno d’ora in poi in una comunità di destino con il paese in cui hanno scelto di vivere».
I giornalisti che accusano Zemmour di attaccare i patronimici non ascoltano, o non ascoltano bene, o non leggono o non leggono bene, quello che Zemmour dice e scrive. Questa legge riguarda il primo nome da scrivere sulla lista dello stato civile. Come sappiamo, c’è una legge che regola la registrazione di un nome nel registro civile. La registrazione di Drapeau o Lucifero, Tchao o Coccodrillo sarà rifiutata. Secondo Zemmour, questa legge del 1803 sui nomi, che è stata ripresa, permetterebbe l’assimilazione di coloro che sono venuti in Francia per la libertà che vi regna. Questa legge li libererebbe dalla pressione di un patrimonio di nomi coranici.
Questa controversia sui nomi è un discorso ideologico. Per evitare di considerare la realtà, non c’è niente di meglio che sventolare uno straccio rosso. Una risposta concreta, discutibile forse, ma che ha dimostrato il suo valore, viene spazzata via dall’accusa di “islamofobia”. Come Toinette in «Le Malade Imaginaire», non c’è giornalista che non abbia detto negli ultimi giorni, parlando della svolta di Zemmour: «Il primo nome! Il primo nome, vi dico!». La verità è che “il polemista” sta scuotendo il comodo treno dei Re Magi di destra, che sono venuti a portare oro, mirra e incenso a Macron, mettendo qualcosa di concreto davanti ai loro occhi.
Il signor Véran, molto ispirato, ha denunciato Zemmour come un «avventuriero del ritiro, del razzismo, del rancore e della grettezza». Il presidente della Repubblica ha aggiunto: «La Francia non è mai stata costruita sul restringimento, sulla tenuta. La Francia ha sempre fatto viaggiare la sua lingua […] L’epicentro della nostra lingua non è sulle rive della Senna ma nel bacino del fiume Congo». Nel frattempo, pensiamo di arginare Zemmour? Facciamo luce su di lui, sì! Con buona ragione, perché dovremmo essergli grati per aver sollevato questioni scottanti che sono state spazzate sotto il tappeto per anni.
Marie-Hélène Verdier