di Lorenzo Vita – da “Destra.it” del 29 marzo 2021
Negli anni 50, sulla spiaggia di Cagliari, venne ritrovato un messaggio in una bottiglia. Era scritto su un vecchio pezzo di tela strappato. L’inchiostro si era sbiadito con il tempo e l’umidità, ma le parole si leggevano ancora: “R. Nave Fiume – Prego signori date mie notizie alla mia cara mamma mentre io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, via Eremiti 1, Salerno. Grazie signori – Italia!”. Era l’ultimo grido di dolore di un giovane marinaio italiano che moriva nelle acque a largo di capo Matapan. Uno dei peggiori disastri della storia dell’allora Regia Marina, in cui migliaia di giovani uomini persero la vita sotto i colpi della flotta britannica. Molti caddero sotto il fuoco nemico, altri assiderati nelle fredde acque del Mediterraneo orientale nella notte tra il 28 e il 29 marzo di 80 anni fa. Il “Gradisca”, una lenta nave ospedale italiana, quando arrivò sul luogo della disfatta vide centinaia di cadaveri coperti dai giubbotti di salvataggio. Uno spettacolo orrendo di disperazione e di morte.
La Marina Militare ha deciso di ricordare quel sacrificio di migliaia di anime con un comunicato e un post sui social network. Tre giorni prima fa lo aveva fatto ricordando un episodio molto diverso, l’attacco alla Baia di Suda. In quell’occasione non veniva celebrato il ricordo di migliaia di caduti in mare, ma l’azione di un commando della Regia Marina – in particolare la Decima Flottiglia – che colpì le forze inglesi nella baia di Suda, a Creta. Un’azione che dal punto di vista tattico fu un evento unico nella storia della Marina, tanto che quel colpo inferto alla Royal Navy è ancora studiato come una delle operazioni più brillanti messe a segno da un gruppo di incursori. Per capire il valore di quell’operazione, basti pensare che Israele si servì di uno dei membri di quel commando per addestrare i suoi primi incursori.
In qualunque altro Paese, articoli o post del genere da parte della Marina di qualunque altra Forza armata sarebbero considerati praticamente di routine. Si può opinare sul modo in cui vengono scritti. Certe volte posso infatti apparire troppo euforici o da “spot”. Ma di certo non sarebbero considerati a rischio della berlina politica. Ma in Italia no. Non è possibile. Ed ecco che celebrare vittorie, ricordare sconfitte, onorare i caduti in battaglia della Seconda guerra mondiale è considerato “fascista”.
Ebbene sì, sono bastati due post della Marina Militare su Suda e Matapan per attivare il fuoco incrociato del politicamente corretto e della superficialità. E di punto in bianco, ricordare delle battaglie è diventato “fascista”. Quindi vietato. Vietato ricordare un’operazione tatticamente perfetta della Marina perché era la Decima Mas (quindi della Rsi pure se la Rsi ancora non esisteva). Vietato ricordare la battaglia di Capo Matapan perché l’Italia decise di attaccare la Marina inglese: del resto, pensano gli utenti, era l’Italia fascista, quindi è impossibile pensare che quei morti vadano degnamente commemorati. E visto che erano battaglie “fasciste”, meglio evitare di ricordarle. A prescindere dal loro esito, dalla loro importanza o dagli uomini che sono morti, feriti o che hanno compiuto un’impresa.
Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di una semplice polemica social e che tale dovrebbe rimanere. Ma non è proprio così. Perché questa lotta contro il ricordo è soprattutto una guerra culturale. Una guerra fatta di superficialità e ignoranza, ma anche di grande malafede, che non trova pace finché il nemico non si denigra, annienta, annichilisce fino a sacrificarlo sull’altare del politicamente corretto.Per poi costruirci sopra una società basata non sul nulla (magari fosse nulla, visto chi ne sono gli artefici) ma su un passato completamente ripulito e riscritto. E per questo non bisogna abbassare la guardia. Perché è la stessa “cancel culture” delle statue decapitate o abbattute, di chi parla di Napoleone e gli dà del “razzista”, di chi pensa che Churchill fosse un ubriacone xenofobo o di chi nega genocidi ed esodi solo perché non rientra nei canoni di una nuova narrazione.
Il problema, per questi militanti politicamente corretti, è “ricordare”. Ma la Storia non è celebrare il regime o il sistema che ha reso possibile certe battaglie o creato certi personaggi. È capire e ricordare eventi che hanno costruito una tradizione, una cultura e, infine, un Paese. La storia serve a farci capire chi siamo. E probabilmente anche cosa saremo.