HomeIn libreriaNel nuovo libro di Valle otto secoli di italiani fantastici, esploratori dimenticati.

Nel nuovo libro di Valle otto secoli di italiani fantastici, esploratori dimenticati.

di Antonio Musarra, da Avvenire.it del 26 settembre 2025

C’è un’Italia che non conosciamo, ma ch’è sempre stata lì, davanti ai nostri occhi. Non la penisola rassegnata al proprio provincialismo terragno, ma quella che per secoli ha dominato mari e oceani, aprendo rotte, fondando comunità, tessendo commerci e racconti. Nel suo ultimo libro, Andavano per mare, Marco Valle, storico e giornalista, ci costringe a guardare la mappa da un’altra prospettiva: non più centrata sulla terraferma, ma attraversata da una rete di relazioni capace di legare Amalfi, Genova, Venezia e Pisa – e con esse Ancona, Napoli, Bari, Palermo, Messina, e così via – al Mediterraneo intero, e oltre, attraverso gli oceani. Da Benedetto Zaccaria a Cristoforo Colombo, da Alessandro Malaspina a Luigi Rizzo, un filo blu attraversa i secoli, mostrando come gli abitanti dello stivale abbiano saputo reinventarsi di volta in volta senza mai recidere del tutto il legame con l’orizzonte marittimo. Non siamo di fronte a un manuale, né a una sequenza ordinata di biografie.

Valle costruisce un mosaico vivace e cangiante, in cui episodi celebri e storie minori si alternano componendo un’epopea dimenticata. Un racconto che unisce l’epica e la cronaca, la storiografia e l’affresco narrativo, ricordandoci che, senza il mare, l’Italia non sarebbe quella che conosciamo. È così, dunque, che è possibile imbattersi in marinai che diventano mercanti, mercanti che si trasformano in crociati, crociati che si fanno principi, principi che finanziano spedizioni… A Gerusalemme, nel 1099, l’eroico Guglielmo Embriaco, detto Testadimaglio, mette il suo genovesissimo ingegno navale al servizio della crociata, fornendo scale e torri d’assedio ricavate dalle navi smontate: un gesto che
cambia il destino della Città Santa. Nel Quattrocento, il veneziano Pietro Querini naufraga a nord della Norvegia, viene salvato da alcuni pescatori (che lo venerano come un dio) e torna a Venezia (forse) con un cibo sconosciuto che diverrà simbolo gastronomico: il baccalà. Nel Cinquecento, un giovane calabrese, Giovan Dionigi Galeni, catturato dai corsari turchi, diventa Ulu Alì, ammiraglio ottomano, temuto e rispettato in tutto il Mediterraneo. E poi ci sono i grandi “globalizzatori” italiani: Giovanni e Sebastiano Caboto, al servizio dell’Inghilterra; Amerigo Vespucci, che regala il nome a un continente; Antonio Pigafetta, che con il suo diario ci consegna il resoconto più stupefacente del mondo sferico; Leon Pancaldo, che, tornato dalla spedizione di Magellano, non esita a riprendere il mare cadendo prigioniero nelle lontane Molucche, emblema di un destino che legava le riviere italiche ai confini del mondo.

Su tutti, spicca Colombo, figura simbolica; al centro, oggi, di attacchi virulenti della “cancel culture”. Valle ne sottolinea la complessità: non un santo né un criminale, ma l’esito d’una lunga tradizione, che affonda le radici nei cantieri di Genova, nel sapere astronomico e cartografico, nella fede, nella sete di gloria e nel rischio calcolato. Egli – ricorda l’autore – non inventa nulla dal nulla: porta a compimento secoli di esperimenti, di tentativi, di viaggi verso l’impossibile. È l’incarnazione d’una tensione collettiva, maturata per generazioni sulle banchine dei porti e nelle botteghe dei cartografi, che dalla Liguria e dalla penisola intera si è proiettata verso l’ignoto, facendo d’un singolo uomo il simbolo d’un intero mondo in trasformazione. In lui s’intrecciano il retaggio medievale e l’ansia moderna d’oltrepassare i confini: il suo nome resta, pertanto, nel bene e nel male, una soglia che segna un prima e un dopo nella storia globale. Il libro, però, non si ferma alle glorie del passato. Con ritmo incalzante, Valle arriva fino all’età contemporanea: dal Rex che nel 1933 strappa agli inglesi il Nastro Azzurro, il trofeo per la più veloce traversata dell’Atlantico settentrionale, alla saga di Azzurra, che negli anni Ottanta fa innamorare gli italiani della vela, da Enzo Maiorca, signore degli abissi, a Giovanni Soldini che sfida oceani e solitudini, fino ai marinai sportivi che portano l’Italia in cima al mondo. La galleria è sterminata e non pretende d’essere esaustiva: ciò che conta è il filo narrativo, quel “lungo filo blu” che attraversa i secoli dimostrando che il mare non è un accessorio, ma la sostanza stessa della storia italiana.

Andavano per mare, insomma, è molto di più di un’antologia di storie di capitani coraggiosi. È un libro che restituisce al lettore un patrimonio dimenticato, lo invita a emozionarsi di fronte a viaggi, naufragi, sogni e scoperte, e, nello stesso tempo, lo costringe a interrogarsi sul presente. Un libro scritto con passione, senza indulgere a tecnicismi, ma con la precisione di chi sa maneggiare fonti e storie. Ne esce un affresco che non si limita a celebrare: provoca, scuote, a tratti commuove. E chiude con una verità semplice e implacabile: il mare è il nostro passato e può ancora essere il nostro domani. Basta avere il coraggio di armare la prora e salpare.

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