HomeXX secoloMiti infranti. I Kennedy, il "glamour burino" di una dinastia

Miti infranti. I Kennedy, il “glamour burino” di una dinastia

Dopo tanti anni, e dopo tanti libri, alla morte di Ted, l’ultimo di loro si può finalmente scrivere che i Kennedy erano dei «burini»? Che burini erano proprio la loro bellezza, le loro foto, la loro estetica, cioè tutto ciò che è stato a lungo chiamato il glamour dei Kennedy?

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Lucia Annunziata su “La Stampa”

Accettare di sminuire questa famiglia non sarebbe una cattiveria – ma solo, e finalmente, una molto necessaria opera di revisione critica di una rilevante parte della cultura del dopoguerra americano ed europeo.

È molto difficile, oggi, giorno delle commemorazioni, scrivere seriamente della famiglia Kennedy. Si può prendere la strada della gloria – e troveremo un percorso lastricato di vittorie, dagli eroismi durante la seconda guerra mondiale, alla lotta contro la discriminazione razziale.

Oppure si può percorrere la strada degli errori – e cosa è mancato al lato oscuro dei Kennedy, dalla simpatia del patriarca per Hitler, al fallimento della Baia dei Porci e alla stupidità del coinvolgimento in Vietnam? Si può prendere infine la molto battuta strada della «famiglia reale» americana. Camelot, Jackie, le vacanze e la bellezza. E andrebbe bene ugualmente.

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Ma quale sia la verità terrena, inalterabile di questa famiglia, rimane sfuggente, se per verità intendiamo ciò che riguarda le persone separate dal loro mito. Il Mito è infatti il vero problema con i Kennedy. Una famiglia che è ormai una produzione della nostra mente più che della loro vita.

Noi occidentali, che li abbiamo usati per rappresentare quello che volevamo essere alla fine della devastante seconda guerra mondiale: una nouvelle vague della politica, degli stili di vita, e dei valori democratici. È così interessante riportare i Kennedy alle loro origini, valutarli attraverso gli occhi di chi li vide muovere i primi passi sulla scena politica del paese. E li valutò come dei semplici «nuovi ricchi», e «cattolici», in aggiunta.

Quello sguardo, non molto ricordato nelle agiografie, è stato ben re-illuminato da un articolo del 12 agosto del Washington Post, dunque prima della morte di Ted, in cui il quotidiano ricorda come i Kennedy fecero irruzione nella vita pubblica americana, nel segno di una certa volgarità di modi e di intenti.

«Tre giorni prima che John F. Kennedy vincesse la sua prima campagna politica, le primarie democratiche per l’ottavo distretto di Boston, la famiglia Kennedy convocò una grandissima festa all’Hotel Commodore di Cambridge. Inviti su carta pesante, affitto del salone da ballo, abito da sera obbligatorio. L’idea della grande festa venne subito irrisa dai vecchi politici e le vecchie famiglie di Boston, ma anche da molti consiglieri dello stesso John che pensavano che questo pretenzioso ballo esponesse al ridicolo l’intera famiglia».

La cronaca successiva ci racconta che il ballo invece fu un successo, che almeno 1500 signore in abito lungo «anche se affittato» si presentarono e che altre centinaia rimasero fuori sul marciapiedi tanto per farsi vedere. Il ballo, spiega l’autore dell’articolo, segna il momento in cui si rese chiaro che i Kennedy «non solo offrivano alla politica un candidato, ma una sorta di aristocrazia alla cultura pop, di cui anche il cittadino medio poteva sentirsi parte. In una sola serata di glamour la famiglia aveva raccolto intorno a sé le aspirazioni e la immaginazione di una città di immigranti».

Quello che oggi a noi appare come una nouvelle vague della politica e dell’estetica, ha le sue radici in una mimetica riproposizione, una elaborata riappropriazione, in questo senso un po’ volgare, dei riti e valori delle vecchie élite. Questa élite bianca, protestante, richiusa nei propri riti bancari e commerciali cui i Kennedy apparivano straordinariamente esibizionisti e straordinariamente arrampicatori – intenti a sfoggiare una ricchezza di nuovo conio – ma anche straordinariamente sovversivi nella loro vita e idee comunitarie e liberali, ispirate dalle esperienze della recente immigrazione e dai valori cattolici.

I Kennedy, dunque, come classe media che ha avuto successo? Ben lontano dall’essere una diminuizione, una tale definizione ci offre una spiegazione molto più seria di altre della loro ininterrotta popolarità. La loro affermazione è infatti l’affermazione della nuova società contro la vecchia aristocrazia dei Bramini di Boston, il club del Mayflower, il peso dei grandi proprietari terrieri quali i Roosvelt. Una funzione di legittimazione che è stata, questa si, storica.

E che ha guadagnato ai Kennedy l’unico vero privilegio che ancora detengono: quello di esser l’unica dinastia politica cui tutto viene perdonato. In questo senso, il miglior complimento che il senatore Ted merita, oggi che muore, è quello di aver meglio rappresentato nel molto bene e nei molti errori fatti, la essenza pura, la più eccellente, la più volgare e la più tragica, della sua famiglia.

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Inserito su www.storiainrete.com il 29 agosto 2009

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