di Federica Argento da Il Secolo d’Italia del 27 ottobre 2022
La Marcia su Roma portò Mussolini al potere cento anni or sono: non fu una ‘rivoluzione’ come avrebbero sostenuto, poi, i fascisti alla ricerca di un ‘mito fondante’ per accreditare l’idea dell’inizio di una era nuova. Non fu neppure un ‘colpo di Stato’ dei fascisti. Come quelli di cui Malaparte aveva descritto la fenomenologia nella sua ‘Tecnica del colpo di Stato’. E neppure, anzi tanto meno, fu un colpo di Stato della Monarchia. Come avrebbe detto Mario Missiroli in un celebre volumetto intitolato proprio: ‘Il colpo di Stato e pubblicato da Gobetti’. Essa però, fu paradossalmente un mix di tutto: fu un tentativo di sovversione rivoluzionaria incanalato dalle istituzioni, sui binari di una legalità formale”. Lo afferma lo storico Francesco Perfetti, direttore della rivista “Nuova Storia Contemporanea”.
Alla vigilia del centenario della Marcia su Roma che cadrà venerdì 28 ottobre, tanti gli storici consultati dall’Adnkonos per formulare la loro analisi dei fatti di cento anni fa. L’analisi di Francesco Perfetti è impeccabile e rigorosamente derivante dai fatti analizzati; nel più perfetto stile defeliciano che caratterizza i suoi saggi e le sue analisi offerte su Rai Storia. Tiene a specificare: “Piuttosto che la ‘marcia su Roma’ – in realtà poco più di una grande manifestazione di piazza- “, furono determinanti altri fattori per l’avvento del fascismo. E sono “sia la ‘tela di ragno’ tessuta da Mussolini e dai suoi luogotenenti a livello politico-parlamentare; con i notabili della vecchia Italia liberale. Sia le manovre politico-diplomatiche e le trattative poste in essere dalla Corona e dagli ambienti ad essa vicini – spiega Perfetti -: per garantire la stabilità del quadro istituzionale. E ancora, per riportare una crisi estraparlamentare sul terreno della consolidata prassi parlamentare”.
Così fu possibile per Mussolini, continua Francesco Perfetti, “giungere al potere in maniera formalmente legale. E varare un governo di coalizione. Sul modello di quelli dell’Italia liberale, composto da esponenti politici di più partiti e da tecnici: un governo, peraltro, che nella sostanza era diverso da quelli che lo avevano preceduto: sia perché una delle fonti della sua legittimazione era stata la pressione psicologica della piazza; sia perché esso spostava comunque il baricentro del sistema politico dal momento che in mano ai fascisti erano finiti i ministeri chiave”.
Parlare della Marcia su Roma significa riflettere sulle “insufficienze e le difficoltà che la democrazia ha conosciuto in Italia nel corso della sua intera storia”. A intervenire è il politologo e storico Marco Tarchi. Professore ordinario di scienza della politica presso la Facoltà di Scienze Politiche ‘Cesare Alfieri’ dell’Università di Firenze. La Marcia su Roma, dice, “restituisce un’immagine della difficoltà che essa ha sempre dimostrato nel riuscire a superare con successo gli ostacoli che l’eterogeneità delle culture politiche che vi si sono affermate le ha posto di fronte”.
“Cento anni fa – spiega lo studioso all’Adnkronos- l’ostlità e la diffidenza tra liberali, radicali, socialisti (e poi comunisti), cattolici – tra i partiti che esprimevano quelle sensibilità ideologiche e tra i settori di popolazione che le sostenevano – spianò la strada al successo del fascismo. Che tentò, con un successo apparente che alla fine mostrò tutti i suoi limiti, di ricompattare il mosaico nazionale irreggimentandolo in un sistema autoritario”.
“Dopo la caduta di Mussolini, le divisioni e le incompatibilità tornarono immediatamente alla luce. E, malgrado i compromessi sottoscritti fra le forze antifasciste, hanno caratterizzato l’intera storia della Repubblica – osserva Marco Tarchi -. Segnale che “la lezione del 28 ottobre 1922 è stata, insomma, dimenticata. E, sebbene oggi, per lo scenario internazionale completamente mutato, non vi sia il benché minimo ritorno di un fascismo all’orizzonte – né tal quale né sotto mentite o riviste spoglie, specifica Tarchi -, la società italiana e la sua classe politica continuano ad essere percorse da fratture e diffidenze. Che rendono faticoso il lavoro delle istituzioni e favoriscono clientelismo, corruzione, sottogoverno, logiche di esclusione”