L’espressione di Lollobrigida sulla “sostituzione etnica” ha maldestramente oscurato il suo discorso contro la narrazione della sinistra che i vuoti demografici non sono un problema perché saranno colmati dagli immigrati. Per l’ideologia dominante progressista il solo parlare di natalità equivale a “fascismo”. Ma è chiaro il crescente squilibrio – non etnico, ma culturale – tra popolazione autoctona e immigrati che non hanno assorbito cultura e principi del paese che li ospita, e che è destinato a sfociare in uno “scontro di civiltà” violento.
di Eugenio Capozzi da La Nuova Bussola Quotidiana del 20 aprile 2023
Lo spauracchio della “sostituzione etnica” è una colossale sciocchezza. Una sciocchezza che affonda le sue radici nell’ideologia della Rivoluzione francese, nella sua idea di nazione come unità di “sangue”, e, attraverso le degenerazioni razzistiche del nazionalismo, è stata evocata recentemente dal complottismo paranoico nato dalle paure connesse alla globalizzazione. Tutte le società sono sempre multietniche, e non è certo il corredo cromosomico dei suoi membri a costituire in sé un problema politico.
Quindi il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida ha commesso un grave errore a usare quella espressione, nel discorso tenuto al congresso della Cisal, per esprimere il timore delle conseguenze che la persistente tendenza al crollo delle nascite e all’”inverno demografico” potrebbe avere per il futuro del nostro paese. Il maldestro riferimento alla “sostituzione etnica” ha avuto come disastroso risultato l’oscuramento totale dell’oggetto effettivo del discorso, fornendo alle opposizioni e ai media ostili all’esecutivo un pretesto per alimentare, con toni scandalizzati, un eterno pregiudizio ideologico: quello secondo cui qualsiasi proposta proveniente da destra per regolamentare l’immigrazione e per combattere il calo della popolazione sia ispirata da una visione razzista e “suprematista”.
Come si evince facilmente ascoltando per intero l’intervento di Lollobrigida, di razzista la sua argomentazione non aveva nulla. Egli affermava, infatti, che l’immigrazione può essere una risorsa per il paese se ben gestita, ma contestava la tesi – che viene continuamente tirata fuori da sinistra quando qualcuno evoca i rischi della depopolazione – secondo cui i vuoti demografici non sono un problema perché saranno colmati dagli immigrati.
Si tratta – sostiene giustamente il ministro – di un’illusione, o di malafede, perché, ammesso pure che la popolazione calante venga quantitativamente sostituita da crescenti arrivi di stranieri, questa compensazione sarebbe aleatoria, instabile, e creerebbe più problemi sociali di quelli che potrebbe risolvere. Al contrario, una società solida sostiene la natalità offrendo alle famiglie incentivi fiscali e di welfare, e contemporaneamente favorendo l’autentica integrazione di quel numero di immigrati che effettivamente può, e vuole, integrarsi, divenendo italiano a tutti gli effetti. Ragionamenti, come si vede, moderati e di buon senso. Ma è stata sufficiente quell’espressione infelice perché una fitta nebbia gettata ad arte abbia nuovamente oscurato il punto cruciale della questione.
E il punto cruciale è che da tempo per l’ideologia dominante nelle élites politiche e intellettuali “progressiste” italiane il solo parlare di incrementare la natalità equivale a “fascismo”, in quanto viene additato come tentativo di azzerare libertà e opportunità femminili, riportando di nuovo le donne a “angeli del focolare”. E che per la stessa ideologia i flussi migratori in entrata dovrebbero essere considerati un bene in sé, senza alcuna necessità di integrazione né tanto meno di assimilazione dei nuovi venuti: obiettivi condannati tout court come “imperialistici”, in omaggio a un relativismo culturale assoluto.
Si tratta di posizioni che nell’ultimo decennio sono state brandite più volte, con inaudita aggressività, contro esponenti di governo non graditi alla sinistra: dalla lapidazione mediatica tributata all’iniziativa del Fertility Day ideata a suo tempo dal ministro Lorenzin alla demonizzazione dei tentativi di Matteo Salvini, da ministro dell’interno, di contrastare l’attività di favoreggiamento alla tratta di immigrati illegali, fino alle recenti, feroci polemiche contro il ministro Roccella sempre in tema di natalità e di famiglia.
Posizioni assolutamente irresponsabili, scollegate dalla realtà effettiva del nostro tempo e che replicano, in forme anche più aspre, un atteggiamento suicida delle classi dirigenti occidentali imbevute di stereotipi woke.
Per chiunque rifletta ispirandosi a criteri di ragionevolezza, infatti, è evidente come una società in cui per fattori economici e malinteso senso della libertà individuale si generano sempre meno figli sia destinata a contrarsi al punto da non poter invertire la tendenza, a collassare economicamente per mancanza di domanda di beni e offerta di lavoro, a crollare sotto il peso di sistemi previdenziali insostenibili, a perdere capacità di innovazione, idee nuove, volontà di rischiare: fino ad avvicinarsi, nel giro di poche generazioni, all’estinizione.
E, parallelamente, solo un cieco o qualcuno accecato dall’ideologia può non vedere come un crescente squilibrio non etnico, ma culturale tra popolazione autoctona e immigrati che non hanno assorbito principi condivisi e costumi del paese che li ospita sia destinato irrimediabilmente a sfociare in uno “scontro di civiltà” violento all’interno di una società ridotta a coesistenza solo fisica tra comunità non comunicanti tra loro. L’immigrazione può essere una risorsa solo se viene governata in modo da permettere una continuità di civiltà.
E la natalità non è solo una questione di numeri, ma anche di famiglie come cellule fondamentali della società che trasmettono di generazione in generazione tradizioni, simboli, concezioni del mondo e della convivenza civile.
Davanti a queste evidenze, l’ideologia progressista si mostra assolutamente inadeguata, incapace di uscire dall’utopia di una coesistenza tra individui e popoli fondata unicamente sulle percezioni soggettive, e incapace di scorgere la necessità di affrontare i problemi demografici e dell’immigrazione in un’ottica complessiva di civiltà se si vuole sperare di difendere il patrimonio di libertà e di democrazia dell’Occidente.
Sarebbe facile, per una destra di governo dotata di una chiara interpretazione del mondo, inchiodarla alle proprie contraddizioni. Viceversa equivoci nati da disattenzione e strumentalizzati spregiudicatamente continuano a consentire alla sinistra di fare, su questi temi, esercizio di spudorata demagogia senza pagare pegno.