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Firth-Godbehere:”La Storia non ragiona. È il grande regno delle emozioni”

Lo storico della Queen Mary University ha ricostruito in un saggio il lato emotivo delle vicende umane: “I sentimenti hanno plasmato gli ultimi tremila anni”

Eleonora Barbieri da Il Giornale del 25 gennaio 2022

«Esiste una storia di come le emozioni hanno influenzato la Storia stessa: è grandiosa, e io volevo raccontarla». Richard Firth-Godbehere («un cognome di origine vichinga»), storico, ricercatore al Centre for the History of the Emotions della Queen Mary University di Londra, dodici anni fa ha deciso di diventare un esperto del «disgusto»; e, da allora, alla storia e alla storia delle idee ha affiancato la storia delle emozioni e di come le persone le hanno interpretate nelle varie epoche, la psicologia, la filosofia e lo studio del linguaggio come terreno di indagine. Così è nata la sua Storia sentimentale del mondo (Piemme, pagg. 368, euro 19,90, traduzione di Fabio Galimberti; in libreria da oggi), in cui vuole mostrare «Come le emozioni hanno plasmato gli ultimi 3000 anni». Si parte dalle antiche civiltà dell’Indo e della Grecia e si arriva al futuro e alle emozioni delle macchine.

Firth-Godbehere, davvero le emozioni influenzano la storia?

«Credo che la parte mancante nel racconto della Storia sia proprio come le emozioni l’hanno influenzata. Il caso del nazismo nel ‘900 è evidente. Non esiste uno schema che faccia accadere le cose… Se uno guarda ai sentimenti esistenti nelle varie epoche e come hanno portato a certi eventi, si vede come questi stessi sentimenti siano sempre diversi. È un campo vastissimo da ricercare».

Una emozione determinante?

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«L’amore. Una cosa molto buona, che può far fare cose pessime. Per esempio, le crociate, ritenute un atto di amore, di caritas nei confronti di Dio, anche se, in effetti, erano qualcosa di poco amorevole. Un sentimento simile al concetto di amore che spinge i terroristi e i fanatici religiosi».

Oppure?

«La rabbia. Racconto la storia di una regina africana alla quale noi britannici, con il nostro meraviglioso Impero, volevamo rubare il trono d’oro, simbolo del popolo ashanti. Siamo nel Ghana dell’Ottocento. E questa regina decide di condurre il suo popolo in rivolta, solo per rabbia nei confronti dell’Impero».

Ha vinto?

«No, ma il suo popolo ha ottenuto più indipendenza rispetto ad altri Paesi».

Nel libro dice che, alla base della nascita dello Stato nazione, c’è il desiderio.

«Per secoli il desiderio di possesso è stato considerato un male: bisognava desiderare Dio, non le cose. Ma a un certo punto, fra ‘600 e ‘700, iniziano ad arrivare sempre più cose lussuose, dall’Oriente, dall’Africa, dall’America, e sono meno costose; e così nasce il concetto di gusto: puoi desiderare qualcosa di lussuoso, se è di buon gusto…»

Un via libera?

«Il buon gusto va di pari passo con la giusta morale e, perciò, l’idea di possedere cose di gusto diventa moralmente giusta. Lo stesso accade nella Rivoluzione americana, alla base della quale c’è l’idea di vivere felicemente: la proprietà e la felicità sono sullo stesso piano».

A spingere la ribellione non c’era la rabbia contro le tasse?

«Ovviamente sì. I britannici sottostimarono quanto fossero forti la rabbia e il desiderio di possedere cose nella popolazione e, quindi, la volontà di non pagare le tasse. Fu un calcolo sbagliato».

D’altra parte, in molti casi gli Stati hanno manipolato le emozioni…

«Assolutamente. La Guerra fredda ne è un esempio: sia l’America sia la Russia cercarono di usare l’amore per manipolare le rispettive popolazioni affinché amassero la patria e odiassero l’altro, il nemico. L’Uomo nuovo sovietico avrebbe amato lo Stato, con un particolare bagaglio di emozioni sovietico: per esempio non avrebbe sorriso come gli americani, avrebbe mostrato le emozioni in modo diverso. Credo che buona parte del fallimento del comunismo sia dovuto al fatto che le persone fingessero troppo…»

E in America?

«L’idea era di amare la patria come la propria madre. Il governo aveva pianificato di controllare le emozioni e investito milioni di dollari nella ricerca psicologica, con l’obiettivo di rendere le persone felici, perché a causa della paura, della povertà e della mancanza di lavoro non lo erano. Di qui il boom psicologico degli anni ’80».

E il disgusto, l’emozione di cui è esperto, che ruolo ha giocato nella storia?

«È un’emozione veramente potente, perché spinge a prendere un gruppo di persone, ritenerlo disgustoso, abominevole e disumanizzarlo: e, a quel punto, possono accadere delle cose davvero brutte. È il meccanismo che ha portato alla caccia alle streghe».

Non c’era anche paura?

«La paura ha un influsso interessante perché è una emozione sia positiva, quando ci permette di fuggire da qualcosa di male, sia negativa. Nell’islam la paura di Dio è una componente molto forte e non è negativa: è l’idea di non deludere Dio e di compiere azioni che lo rendano orgoglioso. Così va inquadrato, nel ‘500, il sacco di Costantinopoli, in seguito al quale venne chiusa la Via della Seta, gli europei cercarono nuove rotte per l’Oriente, scoprirono l’America, circumnavigarono l’Africa e insomma… la paura di Allah ha cambiato il mondo».

Nel suo saggio esplora anche le emozioni in Oriente. Una particolarmente significativa?

«Direi la vergogna, l’haji, in Giappone: ci sono moltissimi studi che considerano quella giapponese una cultura della vergogna, sulla quale, per esempio, si basa l’etica lavorativa. A fine ‘800 il Giappone era separato dal resto del mondo, l’America voleva che si aprisse ai commerci e l’impossibilità di reagire fece capire ai giapponesi di essere lontanissimi, per tecnologia e armi, dai progressi dell’Occidente».

E poi?

«La vergogna crebbe così tanto da spingere le persone a volere il risveglio militare e la rivoluzione, tanto che in breve tempo nacque una nazione molto più forte. Questo è il potere della vergogna in Giappone. Una emozione molto sociale».

Guardando in avanti, davvero l’Intelligenza artificiale potrà arrivare a provare emozioni?

«È un’area di ricerca interessante. Uno dei presupposti, che però si è rivelato sbagliato, è che esistano emozioni universali. Non è così: le emozioni sono sempre legate al contesto e, su questo, l’Intelligenza artificiale non riesce a stare al passo, avrebbe bisogno di una quantità di dati immensa per poter riconoscere l’emozione giusta nel singolo momento».

Due emozioni che influenzeranno il futuro?

«La vergogna, una questione molto sociale, legata alla frustrazione, e la paura, dovuta per esempio ai cambiamenti climatici. E poi l’ossessione della felicità, diventata quasi tossica, perché non possiamo essere felici in qualsiasi momento… Siamo felici e terrorizzati».

O fingiamo di essere felici e siamo terrorizzati perché non lo siamo?

«Questo è più probabile».

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