di Luigi Mascheroni da “il Giornale” del 4 marzo 2023
Le gradi mostre si misurano su ciò che lasciano una volta chiuse. E quella che si apre oggi a Perugia alla Galleria nazionale dell’Umbria – Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo, a 500 anni dalla morte dell’artista e visibile fino all’11 giugno di cose dietro di sé ne lascerà parecchie.
[…] La mostra, che si concentra sul periodo d’oro della sua produzione, l’ultimo quarto del 400 e i primissimi anni del 500, restituisce al pubblico e agli storici dell’arte tutta la grandezza che Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino (1450 ca – 1523), si merita: destinato già appena dopo la morte, anche per il giudizio di un troppo severo Vasari, alla fama di un pittore grande ma non grandissimo, e per secoli considerato altalenante e soprattutto nella fase finale della sua lunga carriera stanco e ripetitivo, Perugino esce invece dalle nuove sale della Galleria nazionale dell’Umbria come davvero il «divin pittore» del proprio tempo, ruolo che il pubblico e la sua epoca gli avevano assegnato: «il meglio maestro d’Italia», come lo definì in una lettera del 1500 l’eccelso mecenate Agostino Chigi; insomma un pittore assoluto in sé e per sé, padre nobile del classicismo, e non solo l’allievo del Verrocchio e il maestro di Raffaello, due artisti la cui fama e grandezza hanno a lungo schiacciato la sua aurea. Due.
La mostra di Perugia ci lascia una scoperta sorprendente, e non è poco: un nuovo volto di Perugino, che si aggiunge ai suoi due autoritratti certi. Marco Pierini, direttore della Galleria nazionale dell’Umbria e curatore della mostra assieme a Veruska Picchiarelli, con un colpo d’occhio straordinario e usando i più moderni strumenti digitali, ha dimostrato che un Ritratto di uomo conservato da sempre agli Uffizi, e che ora è qui in prestito, attribuito al giovane Raffaello (per alcuni la figura ritratta era Perugino, per altri il Verrocchio) in realtà è un autoritratto del Perugino. «Io ho sempre avuto la convinzione che l’autore fosse lui», ha rivelato Pierini.
Poi sovrapponendo l’immagine al celebre autoritratto affrescato nella Sala dell’Udienza del Collegio del Cambio, nell’altra ala dello stesso Palazzo dei Priori in cui siamo ora, si è accorto che le due figure combaciavano perfettamente, anche se era più giovane di cinque o sei anni: «Poi abbiamo fatto le misurazioni, eseguite nel Collegio del Cambio, e si è scoperto che tra pupilla e pupilla sia nel quadro sia nell’affresco ci sono 56 millimetri. È per forza lo stesso cartone che Perugino utilizzò anche per l’affresco, invecchiandosi un po’». […]
Ed eccoci nelle sale della Galleria, riaperte dopo un lungo intervento di ristrutturazione il luglio scorso. Oggi un museo moderno e modello. Per l’allestimento è ormai la più bella pinacoteca d’Italia. Tre anni di studio e di preparazione, due curatori – Marco Pierini e Veruska Picchiarelli – un costo di 1,5 milioni di euro (metà della cifra arriva dal ministero dei Beni culturali), 36 studiosi che contribuiscono al monumentale catalogo (Dario Cimorelli editore), sette sale, una per ogni sezione del percorso, e in tutto 70 opere che concentrano il meglio del miglior Perugino, il suo periodo d’oro, 35 anni, dal 1470 al 1505, gli anni delle belle madonne, delle pale d’altare fiorite, delle sorprendenti architetture, per le quali aveva un occhio assoluto – prima della stanchezza e la ripetitività di fine carriera e della malattia che forse lo colpì agli occhi – quando poteva rifiutare un’opera a Ludovico il Moro e la sua potenza creativa e la forza innovativa sono davvero straordinarie, ed è da qui che comincia il Rinascimento più fiero. Benvenuti a quella che si prenota come la più bella mostra italiana del 2023.
I capolavori qui sono molti. E se si deve citarne uno, ha senso partire dalla fine: l’ultima opera nell’ultima sala, Lo sposalizio della Vergine, concluso nel 1504, ritornato straordinariamente, per il tempo della mostra, dal Musée des Beaux-Arts di Caen, in Normandia, dove è custodito. Fu portato via dalle truppe napoleoniche dalla cappella del Santo Anello del Duomo della città, a neppure cento metri da qui, nel 1797…
E pensando al confronto con lo Sposalizio del suo allievo Raffaello, forse ha ragione Sgarbi quando, di fronte alla pala di Caen, dice che «Perugino prende da uno che è grande più di tutti, che è Piero della Francesca, e porta verso un artista altrettanto grande, che è Raffaello», e la grandezza di Perugino è fare da ponte tra i due vertici assoluti del Rinascimento.
Per il resto, fra le opere in mostra, le più belle fra quelle movibili sparse per il mondo tra gli Stati Uniti e l’Europa, ci affidiamo alla curatrice, Veruska Picchiarelli, colei che più è stata vicina e ha più studiato il Perugino negli ultimi anni, chiedendole dovendo scegliere – di mostrarci i suoi tre quadri. E non ha dubbi. Il «Trittico Galitzin» con la Crocifissione con San Girolamo e la Maddalena (1482-85), che arriva dalla National Gallery di Washington tornando in Italia dopo più di tre secoli, «i cui dettagli rivelano l’abilità tecnica, impeccabile, del Perugino».
La Pietà (1486-90), oggi agli Uffizi, che fu dipinta per i frati di San Giusto alle Mura di Firenze (convento distrutto nel 1529 durante l’assedio di Carlo V) «per l’equilibrio perfetto fra paesaggio, composizione dei personaggi, prospetti e elementi architettonici». E il Ritratto di Francesco delle Opere (1494), un intagliatore di gemme che Perugino immortalò a Venezia: «Per me il più bel ritratto mai dipinto, il primo della modernità. Guardatelo, con quel tono di luce serale, lo sguardo, le mani che parlano…». […]