E alla fine anche per le due più importanti statue rimaste del generale Lee è arrivato il momento della rimozione. Si tratta del monumento equestre a Richmond, capitale della Virginia (nonché capitale degli Stati Confederati durante la guerra di secessione), la cui rimozione è prevista a gennaio 2021, e della statua parte della National Statuary Hall Collection, la collezione di statue del Campidoglio americano, rimossa nei giorni scorsi. Due statue che rappresentano, tra quelle dedicate al generale Robert E.Lee, le ultime in contesto pubblico ad avere rilevanza nazionale all’interno degli Stati Uniti.
Il monumento equestre di Richmond fu eretto nel 1890, ed è, ancora per poco, il più antico tra quelli rimasti in piedi. Il più antico monumento dedicato al generale Lee fu quello eretto nel 1884 a New Orleans: la statua del generale posto sulla sommità di una colonna alta 18 metri, e rimosso nel maggio 2017. Dopo la rimozione della statua, la piazza di New Orleans è stata frettolosamente ribatezzata da “Lee circle” a “Tivoli circle“, ma la colonna e la base del monumento sono rimasti al suo posto, e non sono state toccate dalle proteste del 2020.
Per il Lee di Richmond, dopo una battaglia legale durata alcuni mesi, è arrivato il momento della rimozione, data da pianificare entro il gennaio 2021. Nonostante il monumento fosse inserito in tutti i registri dei monumenti storici statunitensi (come molti degli altri monumenti confederati rimossi) quali U.S. National Register of Historic Places, U.S. National Historic Landmark District, Contributing Property e Virginia Landmarks Register. Nonostante fosse opera di uno scultore francese di rilevanza internazionale come Antonin Mercié (1845-1916). E nonostante non fosse uno di quei monumenti concepiti durante il cosiddetto periodo delle leggi di Jim Crow, ma fosse antecedente. Il monumento di Richmond, così come quello di New Orleans, nacquero come monumenti in memoria del generale poco dopo la morte di Lee, voluti dall’associazione fondata allo scopo di preservarne il ricordo. Ovviamente la memoria di Robert Edward Lee è legata a doppio filo con il mito confederato della Lost cause.
La rimozione della statua equestre di Lee arriva dopo una lunga battaglia legale e dopo che il monumento era rimasto lungamente vandalizzato dalle proteste per la morte di George Floyd per mano della polizia. Un vandalismo che negli ultimi mesi era stato definito dal magazine del New York Times, il “più influente pezzo di arte di protesta americana” del dopoguerra“: T: The New York Times Style Magazine – The 25 Most Influential Works of American Protest Art Since World War II. Il vandalismo come forma d’arte insomma.
E il visitatore che si recasse a Richmond potrebbe apprezzare il vandalismo su larga scala. Il monumento di Lee è, o dovremmo dire era, l’elemento cardine di quel viale alberato monumentale denominato “Monument Avenue“. Percorso monumentale completato nel corso degli anni da altri “illustri confederati”: il generale Stuart, 1907, il presidente della confederazione Jefferson Davis, 1907, il generale “Stonewall” Jackson, 1919, e Matthew Fontaine Maury, 1929. Quest’ultimo fu sì ufficiale della marina confederata, ma è ricordato soprattutto per i suoi lavori scientifici in ambito metereologico e oceanografico. I bronzi di Davis, Stuart, Jackson e Maury sono stati rimossi tutti tra il giugno e il luglio 2020, con i basamenti e le istallazioni monumentali che restano mute testimonianze delle proteste e del vandalismo.
Curiosamente negli anni ’90, un’altra era, la città di Richmond aveva fatto un tentativo di “risignificare” Monument Avenue per renderla più “inclusiva”. E aveva dedicato una statua a un altro illustre cittiadino di Richmond, il tennista nero Arthur Ashe, che trionfò a Wimbledon nel 1975. La statua eretta nel 1996, a tre anni dalla dalla scomparsa di Ashe, non ha mai convinto nessuno. Non tanto per essere un tennista nero in mezzo agli “eroi della confederazione”, ma soprattutto per la posa non felicissima scelta per la statua. Il tennista è in piedi agitando in una mano una racchetta e nell’altra dei libri, in mezzo a quattro bambini ritratti solo per la parte superiore del busto. La parte inferiore del corpo dei bambini è come “inghiottita” dal basamento. Per questi motivi si era già guadagnata negli anni più di una frecciatina.
La rivista Mental Floss aveva inserito nel 2007 la statua del tennista al terzo posto tra le statue “inintenzionalmente orribili di persone famose“: Mental Floss – 10 Unintentionally Horrifying Statues of Famous People. Anche il basamento della statua di Ashe era stato vandalizzato durante le proteste di giugno 2020, con frasi che inneggiavano “White Lives Matter“. Azioni identificate come suprematiste bianche che avevano fatto ipotizzare che anche il tennista dovesse essere rimosso. Ma al momento la statua è l’unica ad essere stata ripulita, e dovrebbe rimanere anche nelle prossime sistemazioni del viale monumentale.
La rimozione della statua equestre di Lee dovrebbe essere seguita da un ambizioso progetto di recupero del viale, con la quasi certa rimozione di tutte le tracce del passato confederato. Il governatore della Virginia Ralph Northam, democratico, ha promesso un piano di ben 11 milioni di dollari per ridisegnare il viale! Artnet News – Virginia’s Governor Wants to Spend $11 Million to Reimagine a Confederate Monument-Lined Promenade in Richmond.
Su come verrà “risistemata” la piazza al momento concorrono varie ipotesi, ma non c’è nulla di definito. Il governatore ha anche chiesto la collaborazione del Virginia Museum of Fine Arts, che da un anno ospita davanti all’ingresso Rumors of War, statua equestre dell’artista Kehinde Wile, volta a “rielaborare” i canoni dell’arte occidentale: è la classica statua equestre, ma a cavallo un giovane nero con un look inequivocabile (dreadlock nei capelli, felpa, jeans e scarpe Nike). Di fatto Rumors of War è la semplice rielaborazione del monumento equestre al generale confederato Stuart fino al giugno scorso esposto a Monument Avenue.
Wile, come scriviamo in Iconoclastia – La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia, prima di Rumors of War era noto più per le polemiche seguite al suo ritratto di Obama, quando erano arrivati all’eco della stampa generalista i suoi dipinti a tema Giuditta e Oloferne, dove Wile rappresentava moderne «Giuditte Black» impegnate a decapitare donne bianche. (Vedi «Obama portrait artist’s past work depicted black women decapitating white women» in «The Telegraph» del 13 febbraio 2018). Pure la statua di Wile, essendo una rielaborazione di una statua ottocentesca è troppo classica, troppo debitrice dell'”arte occidentale”, troppo canonica. E sicuramente la frangia più oltranzista dei vari movimenti contro le statue ottocentesche, difficilmente accetterà una sua “parodia/risemantizazzione” moderna. Esempi recenti di questo fenomeno, in cui una statua apparentemente di rottura, viene comunque contestata dalle frange più estremiste è il recento caso della Medusa con testa di Perseo dell’argentino Luciano Garbati. Una semplicistica rielaborazione del mito di Medusa con la gorgone che si prende la rivincita di Perseo risale al 2008, ma ha guadagnato nuova fama quando nell’ottobre 2020 è stata esposta in un parco di New York antistante al tribunale dov’era in corso il processo contro Harvey Weinstein, il caso che aveva dato origine al #metoo. Iniziativa, statua e scultore presto sommersi dalle polemiche: non è piacuta perché troppo europea (vedi il tweet dell’attivista Wagatwe Wanjuki) oppure risulta troppo “stile Playboy”, e per di più è scolpita da un “maschio bianco” (a dirlo il critico d’arte, e “maschio bianco” a sua volta, Jerry Saltz).
Vedremo come verranno spesi gli 11 milioni di dollari per la risistemazione di Monument Avenue. Ma quello che più colpisce della fine della statua di Lee di Richmond, un destino segnato visto che ormai il problema sono le statue “occidentali” di per sé, come dimostrano l’Augusto e il Marco Aurelio della Brown University, è la scelta di mettere la statua vandalizzata di Lee come immagine simbolo del 2020 da parte del National Geographic. L’anno indimenticabile, l’anno del Covid-19 e dei lockdown, è rappresentato dalla nuova furia iconoclasta. Nulla di nuovo in fondo. Ricordiamo la bambina trans di 9 anni in copertina della prestigiosa rivista nel gennaio 2017: Why We Put a Transgender Girl on the Cover of National Geographic.
Altra statua di Lee ad essere rimossa è quella della collezione del Campidoglio americano, la National Statuary Hall Collection che raccoglie due statue per ogni stato dell’Unione. In Iconoclastia – La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia abbiamo parlato della National Statuary Hall Collection in merito ad altre tre statue, quella dei santi Junipero Sierra, California, e Damien Molokai, Hawaii, che per ora dovrebbero rimanere al loro posto. E della statua di Thomas H.Benton, politico del Missouri, abolizionista, ma possessore di due schiavi, che dovrebbe essere rimpiazzata da quella del presidente Truman.
La statua di Lee era stata realizzata da Edward Virginius Valentine, scultore americano che aveva studiato in Europa, e che fu autore anche del monumento funebre a Lee nella Lee Chapel. La statua al Campidoglio è stata rimossa il 22 dicembre 2020 e verrà rimpiazzata da una dedicata all’attivista dei diritti civili Barbara Rose Johns. Nella National Statuary Hall, a differenza della Monument Avenue di Richmond, le statue confederate tentano comunque una silenziosa resistenza. Ancora resistono due pezzi da novanta come Jefferson Davis e Alexander Hamilton Stephens, presidente e vicepresidente degli Stati Confederati d’America, Mississippi e Georgia rispettivamente. E al momento per i due politici confederati non è ancora pianificato un rimpiazzo.
La Contemporaneità, invece di integrare e procedere per stratificazione della Storia, tenta l’opzione iconoclasta e “distruttiva”. Distruttiva perché anche se queste statue sono solo rimosse e non fisicamente distrutte, il loro destino è quello di finire in qualche deposito lontane dalla vista. La musealizzazione, sebbene accarezzata com ipotesi, rimane una semplice “buona intenzione” pubblicitaria. Per quelli che ne chiedono a gran voce la rimozione dalla pubblica piazza, sapere che quelle statue se ne stanno al “riparo dai vandalismi” in un museo, fosse anche una “mostra permanente dell’infamia confederata” rappresenterebbe comunque una glorificazione del passato confederato. Alla fine, anche se in maniera apparentemente non distruttiva (non si lavora di piccone e di pressa), il risultato è comunque quello di cancellare il passato nella prospettiva definita dai grandi scrittori distopici come Orwell, Zemjatin, Burdekin e Bradbury, che nel suo Fahrenheit 451 è quello che meglio identifica la deriva paranoica dell’iconoclastia contemporanea.
Concludiamo con una curiosità sullo scultore della statua equestre di Lee, il francese Mercié. Una curiosità che è anche un’allegoria. L’altra opera più nota del francese è la Gloria Victis, la “Gloria degli sconfitti” che realizzò all’indomani della sconfitta francese nella guerra franco-prussiana, realizzò la Gloria Victis, la “Gloria degli sconfitti“. Una statua che Mercié aveva inizialmente concepito per onorare i caduti di quella che doveva essere una guerra gloriosa. E che si trasformò, dopo la sconfitta, in una Vittoria alata che con una simbologia da valchiria reca un caduto con la spada spezzata. Forse non è un caso che le due opere più famose di Mercié siano la statua equestre di Lee, e “Vittoria alata degli sconfitti“, e forse questa deliberata e paranoica rimozione della memoria confederata non finirà con l’aumentare il mito della Lost cause, piuttosto che condurlo all’oblio1.
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1 – Più in generale la simbologia della Gloria Victis è impiegata anche in monumenti confederati come le due statue di Frederick Ruckstull (1852 – 1943). Quella di Salisbury, North Carolina, eretta nel 1891 e rimossa nel 2020 per essere spostata nel cimitero locale nella zona delle tombe dei soldati confederati. E quella di Baltimora, eretta nel 1903 e rimossa nel 2017.
Ci sono due modi per intendere la Storia: può essere memoria, per imparare dagli errori di chi ci ha preceduto o ammirarne le opere, se hanno prodotto progresso umano. Oppure la storia può degradare a squallida propaganda o meschina vendetta dei vincitori del momento.
Nel caso in specie, gli Stati Uniti confermano ancora una volta di essere, in maggioranza, un popolo privo di sensibilità storica e culturale. Diversamente, in presenza di vaneggiamenti “politically correct” di cavernicoli ahimè posti in posizioni di potere (che il governatore Northam rappresenta mirabilmente) , ogni cittadino avrebbe trovato normale semmai difendere le istanze per una migliore integrazione razziale mediante il pubblico dibattito, l’approfondimento dei fatti storici, lo studio di antefatti e conseguenze, la proposizione di nuovi percorsi culturali. Non è successo. D’altronde risulta molto più confacente alla barbarie culturale d’oltreoceano la semplice ed efficace brutalità della cancellazione di un pezzo di storia piuttosto che la fatica ed il dispendio di risorse per un approfondimento culturale. Da compatire, nient’altro.