Il dibattito attorno a Fenestrelle e all’internamento nel forte piemontese dei soldati borbonici lealisti sta raggiungendo nei media il calor bianco. Lo dimostra, fra l’altro, il serratissimo scambio di commenti che i lettori di Storia in Rete di diversa opinione stanno facendo sul nostro sito dimostrando una vis polemica e una preparazione superiore alla media. Per questo Storia in Rete dedicherà a questo tema ampissimo spazio e la copertina del prossimo numero. Invitiamo tutti a contribuire al dibattito e ricordiamo che su quelle pagine del Risorgimento che ancora dividono, come il Brigantaggio e le stragi di Pontelandolfo e Casalduni, Storia in Rete ha dedicato numerosi articoli sul numero 76, disponibile come arretrato o in formato pdf.
C’è da restar basiti! Mentre si susseguono i bollettini «della guerra» economica in corso e mentre il Mezzogiorno più di altre aree soffre e stringe la cinghia, c’è chi propone di incrociare i «ferri», ideologici o storici, sostenendo le ragioni del Sud borbonico negletto e «criminalizzato» dalla saggistica odierna. E sì, il libro di Alessandro Barbero edito da Laterza, I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle, non è passato inosservato. Dopo gli attacchi violenti e anche volgari arrivati via web ad un’ora dalla comparsa del tomo sugli scaffali delle librerie («un cumulo di menzogne», «una mistificazione! E’ come far scrivere la storia di Auschwitz a Goebbels») e dopo il rinfocolarsi delle polemiche in seguito alla recensione di Corrado Stajano per il Corriere della Sera, il colpo di scena: sfidiamoci, dicono i neoborbonici a Barbero.
di Rosanna Lampugnani dal Corriere del Mezzogiorno del 18 ottobre 2012
SI TORNA ALL’ATTACCO – E’ questa anche una replica all’editore Giuseppe Laterza, il quale – attraverso il nostro giornale – non solo ha raccontato la genesi del libro (ai margini delle celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia), ma ha anche chiosato gli attacchi allo storico piemontese definito un razzista, derubricandoli a forme di leghismo rovesciato. Non l’avesse mai fatto! Prese carta e penna (si fa per dire), i neoborbonici sono tornati all’attacco per sfidare a duello – verbale – Barbero e Laterza. E il guanto è stato raccolto: «Il professore è a Parigi per presentare il suo libro Lepanto. La battaglia dei tre imperi ma è pronto al confronto – afferma l’editore – e lo siamo anche noi. Potevamo lasciar perdere tutto e invece non vogliamo affatto sottovalutare chi è portatore di pregiudizi rovesciati, chi è alfiere di quella che può essere definita subcultura: preferiamo discutere apertamente e pubblicamente, coinvolgendo anche storici importanti, perché ci sembra utile. E un po’ anche divertente».
NEOBORBONICI E LEGHISTI – La sfida è stata lanciata con questo messaggio: «Il professor Barbero ha affermato di avere finalmente riportato la verità sui fatti di Fenestrelle e, nello stesso tempo, ha utilizzato una terminologia offensiva e del tutto inappropriata in un contesto da dibattito storiografico definendo i “neoborbonici” artefici di “strumentalizzazioni non si sa quanto in buona fede”, con “invenzioni a uso e consumo delle passioni e degli interessi del presente” mescolando citazioni dal “mare magnum” di internet, fonti archivistiche, passi della Civiltà Cattolica (la rivista dei Gesuiti prima artefice delle “menzogne”) e brani dei (documentati) testi di Del Boca, Izzo, Di Fiore o Aprile (“spudorate reinvenzioni”, “furibonde mistificazioni” con libri “incredibilmente pubblicati da case editrici nazionali” fino addirittura all’affermazione che chiude lo stesso libro con l’invito a non “stravolgere il proprio passato per fini immondi” a p. 316). E se per l’editore Laterza i commenti qui pubblicati rappresentano “la deriva neoborbonica, altra faccia della medaglia leghista” (ma nessuno ha mai visto un “neoborbonico” candidato da circa… 150 anni), questo “stile” di Barbero, a quale deriva si potrebbe collegare e quali reazioni poteva suscitare?».
DIBATTITO DECENNALE – Già, quali? Eccole: «Il Movimento neoborbonico ha inviato al professor Barbero una richiesta di sfida/dibattito (interventi alterni di 3 minuti con clessidra, possibilità di utilizzare “testimoni” e documentazione, luogo e ora da definire) dopo quanto sostenuto nel testo e nei suoi recenti interventi». Tutto questo perché la questione di Fenestrelle – per chi non lo conoscesse: è un piccolo Comune incassato tra i verdissimi monti piemontesi, lungo il fiume Chisone – e dei soldati borbonici che, sconfitti a Capua, furono portati nel forte dopo aver rifiutato l’arruolamento nelle vittoriose truppe savoiarde, è ancora «al centro delle decennali ricerche» dei neoborbonici, i quali custodiscono anche «documenti inediti e ignorati da Barbero».
VINCITORI E VINTI – Sarà, ma basta scorrere le due pagine dedicate alla bibliografia, dove vengono citati 27 testi, per capire che la tesi dello storico ha comunque solide basi, rafforzate anche dallo studio di documenti conservati a Fenestrelle, dove non morirono 8000 giovani, dove non furono sterminati 40mila ragazzi – come sostenuto durante una cerimonia ai piedi del forte – ma certamente si manifestò anche drammaticamente «l’alterigia dei vincitori… espressione spesso di culture allora assai lontane tra loro, aggravata anche dai giornali clericali che soffiavano sul fuoco», scrive Stajano. Insomma, sarà tenzone storica, mentre Beppe Grillo, in un certo senso nel solco dei neoborbonici, suggerisce alla Sicilia di staccarsi dalla Penisola, cioè dal resto dell’Italia.
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Inserito su www.storiainrete.com il 18 ottobre 2012
È innegabile che l’intellettualità dell’Italia meridionale abbia appoggiato accesamente il Risorgimento. Essa si è anzi distinta da quella settentrionale per il suo progetto politico strettamente unitario, diverso dalle soluzioni federaliste tipiche di molti pensatori dell’Italia del nord, poiché gli intellettuali del sud per primi erano convinti dell’opportunità d’uno stato centrale forte per compensare le differenze di ordine economico e sociale che pesavano a svantaggio del Mezzogiorno. Tutti i maggiori intellettuali meridionali operanti fra la caduta della repubblica partenopea e l’arrivo di Garibaldi furono d’idee liberali e patriottiche: i fratelli Alessandro e Carlo Poerio, l’illustre giurista Silvio Spaventa, l’ancor più illustre giurista Pasquale Stanislao Mancini, divenuto uno dei caposcuola del diritto internazionale all’Ateneo di Torino, Luigi Settembrini, Francesco De Sanctis, Luigi La Vista, il poeta allievo prediletto del De Sanctis stesso ecc.
Costoro e molti altri incontrarono la morte, la prigionia o l’esilio. Il carcere di Montefusco, malsana ex fortezza adibita a prigione, fu riservato ai detenuti politici antiborbonici, che erano quasi tutti uomini di cultura. Altri patirono prima la prigionia, poi l’esilio. Il La Vista fu ucciso dai soldati borbonici nel 1848.
Francesco De Sanctis, il grande critico letterario autore d’una fondamentale “Storia della letteratura italiana”, era anch’egli meridionale ed antiborbonico.
È inoltre sintomatico che la storiografia sul Risorgimento inanelli una lunga serie d’autori in marcata prevalenza originari dell’Italia posta a sud di Roma: Pasquale Villari, Giustino Fortunato, Francesco Saverio Nitti, Benedetto Croce, Gaetano Salvemini, Gioacchino Volpe, Walter Maturi, Rosario Romeo, Luciano Cafagna, Alfonso Scirocco, Giuseppe Galasso… Lo studioso che si segnalò scrivendo sul Risorgimento per un alto apprezzamento del liberalismo, della dinastia dei Savoia, del Piemonte cavouriano stesso fu un partenopeo, nipote d’un alto magistrato borbonico, d’idee decisamente liberali e sabaude, Benedetto Croce. Lo storico abruzzese Gioacchino Volpe fu un fervido nazionalista e monarchico sabaudo e diede nel suo bellissimo studio “L’Italia in cammino” un quadro divenuto classico del processo di nation building italiano, molto apprezzato anche all’estero. Colui che molti reputano il maggior storico sul Risorgimento mai esistito, senz’altro il miglior biografo del Gran Conte, su cui scrisse un’opera monumentale, fu un siciliano, Rosario Romeo.
Coloro che parlano di faziosità della storiografia accademica nella ricostruzione del processo unitario e d’antimeridionalismo della stessa non spiegano, o per meglio non dire neppure conoscono, la prevalenza di studiosi meridionali nell’analisi del periodo risorgimentale. Grandi storici sono sorti in ogni parte d’Italia, ma, per l’ambito specifico della storia risorgimentale, esiste una maggioranza di studiosi meridionali. Questo confuta l’ipotesi (mai provata) dei neoborbonici secondo cui la storiografia sull’Unità sarebbe viziata da pregiudizio antimeridionale, mentre induce a supporre che il fascino esercitato dal Risorgimento sulla classe intellettuale meridionale derivi dalla memoria storica dell’importanza positiva ricoperta dall’Unità per l’Italia del sud.
“Quando la rivoluzione francese e Napoleone espulsero da Napoli la tirannica famiglia regnante, i siciliani – incitati e sedotti dalle promesse e dalle garanzie inglesi – accolsero i fuggiaschi, e li sostennero nella lotta contro Napoleone col sangue e col denaro. Tutti conoscono il successivo tradimento dei Borbone, e i sotterfugi o le impudenti smentite con cui l’Inghilterra ha cercato e continua a cercare di nascondere il fatto di avere slealmente abbandonato i siciliani e le loro libertà alle tenere grazie dei Borbone.
Attualmente, l’oppressione politica, amministrativa, e fiscale schiaccia tutte le classi della popolazione; e queste ingiustizie sono sotto gli occhi di tutti. Ma quasi tutte le terre sono ancora nelle mani di un numero relativamente piccolo di latifondisti o baroni. In Sicilia vengono tuttora mantenuti i diritti medievali del possesso della terra, salvo che chi coltiva non è più un servo della gleba; non lo è più circa dall’undicesimo secolo, quando divenne un libero fittavolo. Le condizioni dell’affitto sono, tuttavia, generalmente così oppressive, che la stragrande maggioranza degli agricoltori lavora esclusivamente a vantaggio dell’esattore delle imposte e del barone, producendo a malapena qualcosa in più rispetto alle imposte e all’affitto, e rimanendo essi stessi o disperatamente, o almeno relativamente, poveri. Pur producendo il famoso grano siciliano e frutti eccellenti, costoro vivono miseramente di fagioli tutto l’anno.
Ora la Sicilia è di nuovo insanguinata, e l’Inghilterra è la distaccata spettatrice di queste nuove orge dell’infame Borbone, e dei suoi non meno infami favoriti, laici o clericali, gesuiti o uomini d’arme. I chiassosi declamatori del parlamento britannico riempiono l’aria di vuote chiacchiere sulla Savoia e i pericoli della Svizzera, ma non hanno neppure una parola da dire sui massacri delle città siciliane. Non un grido di indignazione si leva in tutta Europa. Nessun capo di governo e nessun parlamento chiede la messa al bando di quell’idiota assetato di sangue di Napoli.”
Marx-Engels, Opere complete, Editori Riuniti, vol. XVII, pagg. 375-377
Il papa non era di ostacolo alla creazione della massoneria in Italia: per la Chiesa cattolica i massoni non potevano accostarsi ai sacramenti, vero, ma l’art. 1 dello Statuto Albertino garantiva la libertà religiosa e proprio per questo le prime logge in Italia furono (ri)create nel 1859 (un anno prima della spedizione dei Mille. Ricordo che fino alla Restaurazione la massoneria era diffusa in Italia e che l’affiliazione massonica di per sé non implica una comunanza di vedute politiche: nei primi anni ’60 le logge massoniche erano per lo più vicine ai moderati, mentre quelle vicine ai democratici erano poche e concentrate a Napoli e Palermo). Cavour non era massone e non era favorevole alla spedizione dei Mille.
La causa della spedizione dei Mille (1089 per l’esattezza) è ben conosciuta e non ha niente a che vedere con l’Inghilterra. Francesco II rifiutò una proposta d’alleanza fattagli da Cavour, che prevedeva un patto politico e militare fra il neonato regno dell’Alta Italia (dopo la II guerra d’indipendenza) e quello delle Due Sicilie. Cavour gli suggeriva d’unire le proprie forze per cacciare l’Austria dall’Italia e procedere poi alla costituzione di uno stato federale, che avrebbe compreso i territori dell’Alta Italia (dalle Alpi sino alla Romagna ed alla Toscana), delle Due Sicilie (il territorio precedente, ampliato alle Marche ed all’Umbria) e del papa (il Lazio). Francesco II però non solo rifiutò la proposta, ma addirittura siglò un’alleanza segreta con il papa e con Francesco Giuseppe d’Austria per attaccare e distruggere il regno dell’Alta Italia (che comprendeva allora i territori del vecchio regno di Sardegna, più la Lombardia, la Toscana e l’Emilia-Romagna). Fu questa decisione, che configurava uno stato di guerra implicito, a condurre alla spedizione dei Mille. Francesco II quindi tradì a tutti gli effetti la causa nazionale e si strinse all’Austria per annientare l’unico stato costituzionale e filo unitario della Penisola.
Fu l’ennesima dimostrazione della condizione di protettorato, dominato da stranieri, che rispondeva al nome di “regno delle Due Sicilie”, che per tutta la sua storia su in condizione semicoloniale, dominato dalla Spagna, dalla Francia, dall’Inghilterra, dall’Austria, dal papato.
Marco, io l’ho detto che tu, da “novello denigratore” del Regno delle Due Sicilie” vuoi scrivere “la tua storia”.
Scrivi, infatti, che: “Carlo di Borbone dopo l’invasione e la conquista dell’Italia meridionale si dedicò più ai propri piaceri personali anziché al governo ed all’ammi- nistrazione delle terre di cui si era impossessato. Il suo passatempo preferito era la caccia, a cui riservava la maggior parte del proprio tempo…Assai poco egli si tratteneva nella capitale, e quel poco era inframmezzato dalle “campagne” o “giornate” di caccia nei luoghi immediatamente vicini…” (Sono parole tue).
E meno male che “poco egli si tratteneva nella capitale” se no chissà quante altre cose avrebbe fatto oltre a quelle citate sotto (e a quelle non citate).
1)Reggia di Caserta.
2)Real Albergo dei poveri.
3)Real Teatro di S. Carlo(41 anni prima dellla “Scala”)
4)Reggia di Capodimonte.
5)Reggia di Portici.
6)Casina Vanvitelliana del Fusaro.
7)Real sito di S. Leucio
8)Il forte del Granatello.
9) La Casina di Persano.
10) Fabbrica delle porcellane di Capodimonte.
E tante, tente altre cose tra cui:
Il restauro dei porti di Salerno, Taranto e Molfetta, il porto di Girgenti, varie strade. Per l’edilizia militare, ricordiamo,il già citato, Forte del Granatello, i quartieri militari di Aversa, Nola e Nocera, il restauro di tante fortezze e la costruzione di nuove, la creazione dell’esercito nazionale e della flotta, la più importante in Italia e la prima fra quelle di second’ordine in Europa, la costruzione di fabbriche di oggetti militari che emanciparono il Regno dal monopolio straniero.
Per l’edilizia sacra e di carità (sensibilissimo fu sempre il Re per i bisogni dei poveri), occorre ricordare il Ritiro delle Donzelle povere dell’Immacolata Concezione, l’Opera del Vestire gli Ignudi, il Collegio delle Scuole Pie a Palermo, l’Immacolatella, il grande Albergo dei Poveri a Palermo, il Monastero delle Teresiane a Chiaja e a Pontecorvo, i due grandiosi Alberghi per i Poveri del Regno, l’uno a Porto Nolano, l’altro a S. Antonio Abate, il Ritiro di S. Maria Maddalena per le donne ravvedute, a Capua il monastero delle Carmelitane, il restauro dell’incendiata Chiesa dell’Annunziata a Napoli, ecc.
Per l’ediliza culturale, ricordiamo la nuova splendida sede dell’Università, gli scavi di Ercolano e Pompei, l’Accademia Ercolanense, la Fabbrica de’ Musaici, l’istituzione di nuove accademie e cattedre nel Regno, la Biblioteca Reale, divenuta poi la grande Biblioteca Nazionale e il Museo nazionale. Chiamò poi G.B. Vico a corte come storiografo del Regno.
Fra le iniziative commerciali, per salvare la difficilissima condizione economica del Regno, Carlo istituì la Giunta di Commercio, intavolò trattative con turchi, svedesi, francesi e olandesi, istituì una compagnia di assicurazioni e prese provvedimenti per la difesa del patrimonio forestale, cercò di sfruttare le risorse minerarie, anche se poi si dovette interrompere l’iniziativa per mancanza di fondi e anche le altre iniziative non sortirono comunque gli effetti desiderati, almeno non subito.
Inoltre istituì consolati e monti frumentari, fece leggi per l’incremento dell’agricoltura e della pastorizia.
Nel 1741 fece un concordato con Roma con cui iniziò a tassare alcune proprietà del clero, poi aggiornò il sistema tributario; migliorò il caos legislativo varando un nuovo codice nel 1752, anche se non venne pedissequamente applicato, e si interessò anche del sistema giudiziario, ma senza sconvolgere il secolare assetto sociale dello Stato.
Nel 1759 Carlo andò a Madrid per assurgere al Trono di Spagna. Ma lasciò un Regno vero al figlio, un regno nuovo, un regno avviato sulla strada delle riforme, del progresso civile e culturale, un regno amato dai suoi sudditi. E questa è la più grande delle ricchezze che i suoi discendenti erediteranno da lui. ( E questo perchè se ne andava a caccia!!!)
Non parliamo dei primati conseguiti dai figli e nipoti nati in Italia,(quella vera, non quella “mezza francese”),
ne citerò solo alcuni (per enuclearli tutti ci vorrebbe un poema ed io non “voglio riscrivere la storia” come tu stai facendo,da “piemontese” però):
Ferdinando I (poi IV )- 1762 primo cimitero in Italia in Napoli; poi ne costruì uno a Palermo;
– nel 1768 stabilì una scuola gratuita per ogni Comune del Regno e per ambo i sessi.
– nel 1818 salpò da Napoli la prima nave a vapore italiana, che attraversò il Mediterraneo;
E fra centinaia di altre cose non nominate, la Favorita di Palermo,popolò le isole di Ustica e Lampedusa, cacciando i barbareschi e costruendo fortezze; gli albanesi e i greci del Regno furono riuniti in colonie, e fondò seminari e scuole per loro, dando loro anche un luogo per il commercio in Brindisi; inoltre istituì un vescovado di rito greco cattolico;
Questo è il Re che la “vulgata” storiografica nazionale ha sempre presentato come volgare, ignorante, fanatico e reazionario. Un Re “Lazzarone”, “popolano”; ed infatti il popolo vero fu sempre con lui.
Ferdinando II il Re di Napoli più amato dai suoi sudditi, ed è per tal ragione ovviamente che a tutt’oggi risulta essere il sovrano più calunniato. Scrisse su lui Marta Petrusewicz, fornendo un quadro del suo regno, «(…) la popolazione in crescita, la tassazione ed il sistema doganale meglio regolati, ed il governo impegnato in un intervento intelligente di costruzione delle ferrovie e strade, manifatture reali e prigioni moderne».
Nell’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856 fu assegnato il Premio per il terzo Paese al mondo come sviluppo industriale (I in Italia);
Alcuni Primati: Il ponte sul Garigliano, sospeso a catene di ferro, che fu il primo di questa foggia in Italia, e tra i primissimi in Europa.
Prima ferrovia e prima stazione in Italia (tratto Napoli-Portici);
Prima illuminazione a gas di città;
Primo telegrafo elettrico;
Prima rete di fari con sistema lenticolare;
La più grande industria metalmeccanica in Italia, quella di Pietrarsa;
L’arsenale di Napoli aveva il primo bacino di carenaggio in muratura in Italia;
Primo telegrafo sottomarino dell’Europa continentale.
Primo esperimento di Illuminazione Elettrica in Italia a Capodimonte;
il giornalista francese Charles Garnier descrive la situazione del Regno nella sua Memoria sul Regno delle Due Sicilie (Parigi, 1866): «le imposte erano meno gravose di quelle del Piemonte e minori di quelle italiane degli anni postunitari; il credito del governo solido, il debito basso, la coscrizione molto più tollerabile; gran parte delle entrate erano spese nell’agricoltura e nei lavori pubblici, fra cui si ricordano la prima ferrovia e il primo telegrafo elettrico in Italia, e anche il primo ponte sospeso e i primi fari diottrici furono attuati nel Regno; e così il primo battello a vapore. Il commercio era in crescita, fiorenti le manifatture»
Miglior finanza pubblica in Italia; ecco lo schema al 1860 (in milioni di lire-oro) Cfr. F.S. NITTI, La scienza delle finanze, cit. in H. ACTON, Gli ultimi Borbone di Napoli, (1962) Giunti, Firenze 1997, p. 2.:
– Regno delle Due Sicilie: 443, 2
– Lombardia: 8,1
– Veneto: 12,7
– Ducato di Modena: 0,4
– Parma e Piacenza: 1,2
– Stato Pontificio: 90,6
– Regno di Sardegna: 27
– Granducato di Toscana: 84,2
SOCIETÀ, SCIENZA E CULTURA:
Prima assegnazione di “Case Popolari” in Italia (San Leucio presso Caserta);
Primo Cimitero italiano per poveri (il “Cimitero delle 366 fosse”, nei pressi di Poggioreale);
Primo Piano Regolatore in Italia, per la Città di Napoli;
Cattedra di Psichiatria;
Cattedra di Ostetricia e osservazioni chirurgiche;
Gabinetto di Fisica del Re;
Osservatorio sismologico vesuviano (primo nel mondo), con annessa stazione metereologica;
Officina dei Papiri di Ercolano;
La più alta percentuale di medici per abitante in Italia;
Più basso tasso di mortalità infantile in Italia;
Prime agenzie turistiche italiane;
Scavi archeologici di Pompei ed Ercolano;
Prima cattedra di Astronomia;
Accademia di Architettura. una delle prime e più prestigiose in Europa;
Primo intervento in Italia di Profilassi Anti-tubercolare;
Primo istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio);
Prime agenzie turistiche italiane;
Scavi archeologici di Pompei ed Ercolano;
Primo Atlante Marittimo nel mondo (G. Antonio Rizzi Zannoni,
“Atlante Marittimo delle Due Sicilie”);
Primo Museo Mineralogico del mondo;
Primo “Orto Botanico” in Italia a Napoli;
Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte;
Primo Centro Sismologico in Italia presso il Vesuvio;
Primo Periodico Psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglio;
Primo tra gli Stati Italiani per numero di Orfanatrofi, Ospizi, Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza;
Primo istituto italiano per sordomuti;
Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo;
Prima Città d’Italia per numero di Teatri (Napoli);
Prima Città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli);
Prima Città d’Italia per numero di pubblicazioni di Giornali e Riviste (Napoli);
Scuola pittorica di Posillipo (da cui uscì, fra gli altri, G. Gigante);
Teatro S. Carlo (il primo nel mondo), ricostruito dopo un incendio in soli 270 giorni;
Scuola musicale napoletana (Paisiello, Cimarosa, Scarlatti);
Successo mondiale (e tutt’oggi valido) della canzone napoletana;
Questi sono solo i “primati”, non certo tutte le attività avviate nel Regno e i progressi raggiunti in ogni campo.
E questo fù il Monarca del Regno “negazione di Dio”.
Tutto questo ed altro in soli 137 anni di Regno. Certo che per essere monarchi “debosciati” i Borbone. Figuriamoci cosa avrebbero combinato se fossero stati “normali”.
Ora Marco, continua pure a scrivere “la tua storia” distorta(o forse con scopi reconditi?), visto che ti piace essere prolisso (come lo sono stato io in questa narrazione e chiedo scusa a chi legge)senza badare ai fatti e al concreto,, però vorrei che tu trovassi un minuto,un solo minutino per rispondere a:
si può ancora continuare a credere alla “vulgata” risorgimentale che presenta il Regno borbonico come il più regredito e odiato d’Italia?
2) Come si può spiegare il fatto che prima del 1861 non esisteva praticamente il fenomeno dell’emigrazione, e che dopo tale data sono emigrati,a tutt’oggi,quasi 30.000.000 di disperati?
3) Tutto questo costituisce una spiegazione al tragico quanto eroico fenomeno della rivolta filoborbonica del 1860-1865 (quando fummo chiamati…Briganti) ?.
Nupo da Napoli
Oltre ad una repressione continua e feroce, la dinastia borbonica ha lasciato il meridione d’Italia in condizione davvero infelici. Un esempio di questo è il cosiddetto l’indice di sviluppo umano (Hdi, Human Development Index) e l’indice fisico di qualità della vita (Pqli, Physical Quality of Life Index). Si parla talora in proposito di BSC (Benessere Sociale Netto). Il calcolo di tali indici avviene servendosi sia di criteri economici anche differenti dal PIL puro e semplice (quale la distribuzione del reddito) oltre a diversi di tipo sociale.
Le differenze regionali dal 1871 al 2001 per quanto concerne l ’HDI od indicatore sociale sono stati analizzati da Emanuele Felice nel suo articolo “I divari regionali in Italia sulla base degli indicatori sociali (1871-2001)”, comparso sulla “Rivista di politica economica”, Roma, 2007, fasc. IV
La sintesi offerta è la seguente: “Questo saggio presenta e discute alcuni dei principali indicatori sociali per le regioni italiane, per anni benchmark dal 1871 al 2001: l’aspettativa di vita, l’istruzione, l’indice di sviluppo umano e, limitatamente al periodo dall’Unità al fascismo, le misure antropometriche. Dal quadro d’insieme emerge un percorso di convergenza del Sud Italia che, avviatosi con decisione già alla fine dell’Ottocento, si sarebbe arrestato sostanzialmente solo nelle ultime decadi del Novecento. Pur senza mostrare particolare dinamismo, le regioni più arretrate avrebbero beneficiato di una situazione di avanzamento generale sul piano nazionale ed internazionale, per quel che riguarda l’innalzamento dei livelli di istruzione, la riduzione della mortalità e i miglioramenti nell’alimentazione.” (Felice, cit., p. 1)
Il prof. Felice considera dati antropometrici (valutabili con obiettività e derivanti dalle condizioni medie di vita, come la statura), di durata di vita media, d’istruzione. Egli riscontra nel suo saggio, sin dal 1871, un netto divario fra nord e sud, a favore del primo. Ad esempio, nel 1871 il tasso d’istruzione del nord Italia si pone verso quello del sud Italia in un rapporto di 13 a 5, la speranza di vita di 11 a 8 ecc. (cfr. Felice, cit., p. 41). Tuttavia, tale divario, sin dalla fine del secolo XIX, tende a ridursi drasticamente e sempre più, con un processo che sostanzialmente si arresta nelle ultime decadi.
Scrive il Felice:
“Dal quadro d’insieme che forniscono questi parametri — altezze, speranza di vita, istruzione e indice di sviluppo umano —emerge un percorso di convergenza del Sud Italia verso il Centro-Nord di durata quasi secolare: avviatosi con decisione nelle ultime decadi dell’Ottocento, esso prosegue per buona parte del secolo successivo, nonostante l’arretramento subito con la seconda guerra mondiale, per arrestarsi solamente negli anni ottanta e novanta.”
Felice spiega questo miglioramento degli indicatori sociali del Meridione in termini di pura dipendenza da fattori endogeni, ovvero al miglioramento della condizione degli indicatori sociali nazionali ed internazionali: “La categoria interpretativa della “modernizzazione passiva” proposta da Luciano Cafagna appare la più consona per dare conto degli avanzamenti del Mezzogiorno nel campo sociale, forse più di quanto essa non lo sia relativamente al reddito. Il Sud, come già detto, si sarebbe semplicemente avvantaggiato dei miglioramenti del quadro generale, nazionale ed anche internazionale (per quel che riguarda, ad esempio, l’estensione dell’istruzione obbligatoria e di base, oppure la diffusione delle pratiche e delle infrastrutture igieniche e sanitarie); ne avrebbe beneficiato “passivamente”, ovvero senza particolare reattività da parte di autonomi soggetti locali, ed anzi con una certa lentezza, dovuta a condizioni endogene di ordine istituzionale e culturale.”-Lo studio del professor Felice prova quindi il miglioramento delle condizioni di vita degli Italiani meridionali, attestate dalla maggiore istruzione, dalla migliore salute, dalla più lunga durata della vita. E’ inoltre significativo che tali indici si siano accresciuti dopo l’Unità non solo in termini ASSOLUTI, ma anche RELATIVI, ossia in confronto a quelli dell’Italia settentrionale. Prima dell’Unità esisteva infatti un divario consistenti degli “indici di sviluppo umano” fra nord e sud, a vantaggio del primo, mentre invece dopo si sono progressivamente ridotti (sempre per “l’indice di sviluppo umano”).