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La Cina d’Europa: la Germania guglielmina e la guerra economica

di Filippo Del Monte da DifesaOnline del 17/12/21 
(Articolo ispirato a “L’Impero tedesco e la guerra economica” pubblicato su Pandora Rivista) 

Nel mondo globalizzato, nei mercati interconnessi, con l’abbattimento d’ogni barriera sia politico-geografica che doganale, gli Stati – ed in particolare quelli che hanno o ambiscono ad avere una “proiezione imperiale” – individuano nella guerra economica uno strumento fondamentale per perseguire i propri obiettivi strategici. Un caso eclatante di potenza votata alla guerra economica è la Repubblica Popolare Cinese che nell’arco dell’ultimo ventennio ha di fatto egemonizzato i mercati mondiali immettendovi massicciamente prodotti che vanno dall’acciaio all’hi-tech fino all’oggettistica per la casa e gli indumenti. Senza parlare del controllo dei giacimenti estrattivi di pietre rare, essenziali per la costruzione della componentistica degli smartphone e degli altri strumenti elettronici (v.articolo).

Nella storia recente un’altra potenza a vocazione imperiale, ambiziosa e con gli apparati economico e militare adeguati a reggere l’urto dei concorrenti ha utilizzato la guerra economica per rafforzare la sua posizione nel mondo: l’Impero Tedesco di Guglielmo II tra il 1896 ed il 1914. Il contesto storico-politico ed economico entro il quale il Kaiserreich guglielmino tentò l’assalto al potere mondiale è stato quello dell’età dell’imperialismo (1870-1914), coincidente con la “seconda globalizzazione”, e quindi con un’apertura senza precedenti dei mercati e delle possibilità da essa offerte.

Se la Realpolitik del cancelliere Otto von Bismarck (1871-1890) aveva gettato le basi per fare della Germania la potenza egemone in Europa, baricentro della diplomazia continentale, nazione capace di “dare le carte” agli altri giocatori del tavolo geopolitico, specialmente dopo il tracollo della Francia nella guerra del 1870-1871 contro la Prussia e gli altri principati tedeschi, era stata la sterzata espansionista voluta dal giovane imperatore Guglielmo II a fare di Berlino una potenza economica mondiale.

In occasione del 25° anniversario della proclamazione dell’impero tedesco, il 18 gennaio 1896, Guglielmo II tenne un discorso nel quale, tracciando il bilancio di un venticinquennio di politica estera ed economica del Reich, nonché sviluppando i temi di quella che sarebbe poi diventata la Weltpolitik, dichiarò: “L’Impero tedesco è diventato un impero mondiale. Ovunque nelle regioni più lontane del globo abitano milioni di nostri compatrioti. I prodotti tedeschi, la scienza tedesca, lo spirito d’impresa tedesco attraversano gli oceani. A miliardi si contano i beni che la Germania trasporta sui mari […]”1.

Dunque la Germania si preparava negli ultimi anni dell’800 ad adottare quel “nazionalismo reattivo” che sarebbe stato il perno strategico-ideologico della sua azione internazionale fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Il postulato principale del “nazionalismo reattivo” – definizione coniata dall’ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Lyndon Johnson Walt Whitman Rostow – è lo stretto legame che si crea tra la politica di potenza di uno Stato ed il suo processo d’industrializzazione con i due fattori che si alimentano vicendevolmente2.

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Il revisionismo geopolitico – sostenuto da un formidabile apparato militare – si accompagnò in Germania ad una aggressiva politica commerciale sui mercati esteri, non solo in quelli “nuovi” in Asia, Africa e Sud America, ma anche in quelli già consolidati (e con determinati equilibri) europei. Esempio eclatante di questo fu la politica di attivo sostegno del governo di Berlino alle iniziative degli imprenditori tedeschi – ed in questo la partnership pubblico-privata divenne la base degli investimenti tedeschi all’estero – in Europa attraverso i trattati commerciali stipulati tra il 1891 ed il 1894 con l’Austria-Ungheria, l’Italia3, il Belgio, la Spagna, la Serbia, la Svizzera e la Russia che consentirono alla Germania di diventare molte volte la prima potenza esportatrice di prodotti in quei Paesi.

L’aggressività commerciale, collegata all’obbligo di massicce esportazioni, era stata determinata dalla crisi di sovrapproduzione interna scatenatasi in Germania a partire dal 1888 a causa di un decollo industriale non sostenuto da alta domanda di consumo interna. Le criticità della situazione commerciale dell’Impero Tedesco erano rappresentate dal fatto che il 45% delle importazioni era composto da materie prime e prodotti semi-lavorati e che in queste materie prime erano comprese importazioni alimentari che passarono dal 28% nel 1888 al 34% nel 1896, poiché la produzione nazionale non era sufficiente a coprire il fabbisogno della popolazione tedesca. Al contrario i prodotti finiti erano troppi da poter smaltire sul mercato interno ed il governo si trovò costretto a sponsorizzare una politica espansiva sul mercato internazionale. Il passivo della bilancia commerciale nazionale del 1896 andava ripianato urgentemente e fu per questo che i Tedeschi iniziarono a “rosicchiare” quote di mercato appannaggio di potenze rivali, in particolare Gran Bretagna e Francia, grazie alla propria sovrapproduzione che da deficit economico-commerciale divenne strumento d’assertività4.

Il cambio di passo della Germania nella politica commerciale internazionale è ben rappresentato dal “sorpasso” effettuato da Amburgo nei confronti di Liverpool quale primo porto mondiale per quantità di merci in entrata ed uscita che impensierì notevolmente l’Impero Britannico. Come ha sottolineato lo studioso francese della guerra economica Ali Laïdi5, l’episodio determinò la percezione che il mercato inglese fosse stato letteralmente invaso da prodotti Made in Germany importati e poi venduti a prezzi notevolmente più competitivi di quelli britannici.

Anche i tentativi degli Stati concorrenti di limitare la presenza tedesca sui propri mercati interni, ad esempio attraverso l’aumento delle tariffe doganali, non sortirono gli effetti sperati, anzi fornirono una ulteriore occasione agli imprenditori del Kaiserreich di sfruttare le debolezze intrinseche di quei sistemi. Quando nel 1892 la Francia aumentò a dismisura le tariffe doganali per i prodotti d’importazione tedeschi, gli industriali d’oltre Reno acquisirono società francesi o fondarono filiali direttamente sul territorio del vicino. Negli anni successivi vaste fette del mercato francese vennero conquistate, basti pensare che le vendite di beni tedeschi crebbero da 161 milioni di franchi nel 1898 (cioè agli inizi della penetrazione commerciale in Francia) a 571 nel 1913 e che circa 17.000 ettari di giacimenti minerari, pari ad 1/5 del totale sul territorio francese, erano posseduti da investitori tedeschi o direttamente o per il tramite di compagnie francesi acquistate. Non solo la Germania divenne il terzo fornitore in assoluto per la Francia, ma riuscì anche a scalzarla dal secondo posto tra le potenze industriali europee minacciando il primato britannico.

Nel giro di pochi anni la bilancia commerciale tra Francia e Germania pendette dalla parte di quest’ultima; e Parigi non riuscì nonostante l’inasprimento dei provvedimenti amministrativi e dei dazi doganali del 1892, a ripianare la situazione fino alla prima guerra mondiale.

L’aggressività dell’imprenditoria privata sui mercati esteri era direttamente sponsorizzata dal Governo tedesco il quale aveva istituito una serie di enti, dipartimenti e fondato società pubblico-private votati alla propaganda economica ed allo spionaggio industriale sull’esempio di quanto realizzato fin dai primi anni ’80 del XIX secolo dall’Associazione degli Industriali Tessili, della Metallurgia e della Chimica della Sassonia-Turingia, un sindacato regionale d’industriali a vocazione internazionale e che raggruppava le imprese attive nei principali settori del mercato sui quali il governo di Berlino aveva interessi diretti. Scopo dell’esecutivo berlinese e dell’industria tedesca – in uno degli esempi storicamente meglio riusciti di concordanza d’interessi tra Stato e privati – era quello di conoscere tecnologie, metodi di produzione e sistema finanziario degli Stati rivali, nonché di fornire agli imprenditori che si preparavano ad aprire nuovi mercati per la Germania fuori dai suoi confini le più accurate informazioni economiche.

Il sistema di spionistico-propagandistico tedesco venne “copiato” anche dai Francesi con la fondazione dell’Office national du commerce extérieur (ONCE) nel 18986. In più da Parigi si scelse di portare avanti politiche anti-dumping nei confronti delle merci tedesche, sia quelle provenienti direttamente dalla Germania che quelle prodotte da aziende francesi con capitale germanico.

È ancora Ali Laïdi a spiegare che il sistema tedesco si basava sul coordinamento tra apparato commerciale, industriale e finanziario che potevano ricevere con facilità credito a lungo termine. Il punto di forza tedesco stava nella capacità degli attori economici di agire collettivamente con spirito di solidarietà, consentendo così un continuo travaso di conoscenze e informazioni ottenute grazie a una rete di spionaggio ben organizzata.

Uno dei più importanti e moderni pensatori militari della Germania guglielmina, il generale prussiano Friedrich von Bernhardi, fu tra i primi a pensare alla “guerra economica” come ad uno strumento atto a danneggiare in profondità uno Stato nemico anche in tempo di pace, sancendo, in una sorta di ribaltamento del postulato clausewitziano, che la politica fosse la continuazione della guerra con altri mezzi.

Nel 1911 il generale prussiano pubblicò la sua opera principale: “Deutschland und der Nächste Krieg7 (La Germania nella prossima guerra), quella che lo fece conoscere come uno dei precursori dello “Spirito del 1914” e dei convinti assertori della inevitabilità della guerra contro Francia e Gran Bretagna. Egli scrisse: “Sopra un territorio a un dipresso uguale a quello della Francia, la Germania alberga 65 milioni di abitanti, mentre 40 milioni vivono in Francia. Questa enorme popolazione germanica aumenta di un milione all’anno. Fra breve sarà impossibile all’agricoltura e all’industria della madre patria di assicurare occupazioni rimunerative a questa massa di uomini sempre crescente. Noi abbiamo perciò la necessità di estendere il nostro dominio coloniale, non potendosi ammettere che l’emigrazione tedesca vada ad accrescere la popolazione dei nostri rivali. Ora, data la ripartizione politica attuale della terra, non possiamo acquistar territori che a spese di altri stati, mediante la guerra o mediante accordi”.

Bernhardi, F. von (1911) Germany and the Next War – The Riddle of The Sands
“La Germania vuole dominare il mondo”
“Se vabbè, gombloddoh”

Insomma, Friedrich von Bernhardi era soprattutto preoccupato delle difficoltà che la Germania aveva ad assorbire entro i suoi confini il crescente peso demografico e la sovrapproduzione industriale. Per von Bernhardi l’apertura di nuovi mercati era una priorità e l’emergenza demografica era un problema impellente da risolvere non per forza manu militari ma comunque con la politica muscolare poiché, come egli stesso aveva scritto, la guerra europea era sostanzialmente inevitabile e quasi necessaria.

Su Geopolitica.info e stato pubblicato un articolo intitolato emblematicamente “La Cina e la sua strategia navale: una nuova Germania guglielmina?” (v.articolo) che compara le scelte strategiche politico-militari della Marina Cinese e le Flottengesetze (le leggi navali tedesche del 1898, 1900, 1906, 1908 e 1912). Se si esce dal campo militare “convenzionale” per entrare in quello delle guerre totali contemporanee e si comparano le politiche commerciali dell’Impero Tedesco e della Repubblica Popolare Cinese ancora una volta si rilevano delle notevoli affinità. Il dragone cinese e l’aquila prussiana sono animali che si somigliano.

La storia insegna che le potenze che adottano politiche commerciali riconducibili alla “guerra economica” – per giunta palese come nel caso dei Cinesi – hanno tentazioni revisionistiche di natura fortemente assertiva e dunque legate ad ambizioni egemoniche.

C’è un confine che una volta passato trasforma uno Stato commercialmente concorrente in un nemico politico-militare. Resta da capire se la Cina abbia già, come fatto dalla Germania alla fine dell’800, passato questo confine o sia pronta a farlo a breve termine.

1 R. Poidevin, L’Allemagne et le monde au XXe siècle, Masson, Paris, 1983, p. 13

2 W.W. Rostow, The World Economy: History and prospect, Austin & London Texas University Press, Austin, 1978

3 Sulla presenza di capitali tedeschi nell’economia italiana tra fine ‘800 ed inizio ‘900 vedi R.A. Webster, L’imperialismo industriale italiano. Studio sul prefascismo (1907-1915), Einaudi, Roma, 1975

4 M. Kitchen, The political economy of Germany 1815-1914, Taylor & Francis Ltd, New York, 2019 (ed.or. 1978)

5 A. Laïdi, Histoire mondiale de la guerre économique, Perrin, Paris, 2016

6 F. Segner, La création de l’Office national du commerce extérieur (1883-1898) : maîtrise de l’information compétitive internationale et stratégie française de puissance, Lille Thèses, Lille, 2015

7 F. Von Bernhardi, Deutschland und der Nächste Krieg, J.G. Cotta, Berlin, 1911

Foto: web/ Ministry of National Defense of the People’s Republic of China / Xinhua

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