Niccolò Machiavelli ha scritto che bisogna studiare con attenzione le cose passate per prevedere le future e gestirle cercando di non ripetere gli errori eventualmente commessi. Quindi, in altre parole, bisogna studiare la storia, in particolare quando essa si è rimessa in moto con prepotenza, come sta avvenendo in questi anni, smentendo le stupidaggini circa una sua improbabile fine, circolate in un saggio famoso di Fukuyama all’indomani della caduta dell’URSS. La storia si studia sulle fonti e, tra queste, un posto di rilievo lo occupano i documenti e ovviamente gli archivi che li conservano.
E’ quindi con amarezza che ho letto la tabella dei pesanti tagli che la legge di bilancio appena approvata ha stabilito per il Ministero della Cultura, ma in particolare per gli Archivi (punto 1.4 della tabella). Un taglio che è pari a sette milioni e 463 mila euro nel 2025 e a due milioni e 462 mila euro sia per il 2026 che per il 2027. Totale: in tre anni € 12.387.000 di risorse in meno per una realtà chiamata a custodire la memoria storica della Nazione soprattutto attraverso i 101 archivi di Stato provinciali, le 33 sedi distaccate e l’Archivio Centrale dello Stato di Roma.
Sono tagli lineari anche per altri settori, ma che incidono particolarmente per gli Archivi, che sono sempre stati la Cenerentola del Ministero, così come la Storia è diventata la Cenerentola nel mondo dell’istruzione. Gli archivi sono la più numerosa e ricca struttura capillare del ministero della Cultura. Sono presenti in ogni capoluogo di provincia e conservano la memoria storica della nostra Nazione dal Medioevo ai giorni nostri. Milioni di documenti affidati spesso a quattro-cinque addetti negli archivi più piccoli, in grado di gestire quindi poco più della loro sopravvivenza.
A questa carenza di organico e di mezzi non sfugge neppure il più importante istituto italiano del settore: l’Archivio centrale dello Stato di Roma, che conserva i documenti dello Stato e di molti privati di importanza culturale o politica dall’Unità ai giorni nostri. Un istituto che conosco bene avendolo diretto per anni fino a quindici anni fa. Quindi organico a metà circa e mezzi al lumicino, ma non basta. L’Archivio è privo da mesi di un direttore titolare e il reggente (con altri incarichi di responsabilità) non può fare molto di più che gestire gli atti indispensabili dell’ordinaria amministrazione.
Ma ancora non basta. Metà delle facciate dell’edificio (di proprietà dell’INAIL) sono sottoposte a lavori di restauro. Conclusione: è stato diramato un ordine di servizio che sospende il prelievo della documentazione (archivistica e bibliografica) conservata in quella porzione dell’immobile, circa la metà del patrimonio complessivo. Inoltre dall’Archivio sono stati recentemente prelevati molti dei grandi quadri storici (sovrani d’Italia, scene di battaglie ecc., per la maggior parte di proprietà del Quirinale o di Casa Savoia) che adornavano le pareti dell’Istituto dal momento del suo trasferimento nella sede dell’EUR, all’inizio degli anni Sessanta. Certo non documenti di studio, ma elementi ormai divenuti parte integrante dell’immagine dell’Istituto per generazioni di ricercatori e di archivisti che si sono alternate nella conservazione e nella valorizzazione della memoria storica della Nazione.
Questa la situazione del più importante istituto archivistico italiano, a Roma, nel cuore delle istituzioni e del mondo culturale. Figuriamoci nelle provincie più lontane. Povera Storia!