Distopia il genere fantascientifico, o semplicemente fantapolitico, che ci pone di fronte a società oppressive, in cui le libertà individuali o sono azzerate o rigorosamente irregimentate da disposizioni totalitarie. Il genere è reso celebre dal «1984» di George Orwell, 1948, e da «Il mondo nuovo» di Huxley, 1932, e negli ultimi anni ha trovato nuova popolarità nella letteratura young adult statunitense grazie al successo della saga di Hunger Games.
Ma chi può considerarsi l’inventore del genere distopico? A differenza del genere utopico che nasce contemporaneamente come genere letterario e come termine ben preciso per indicare una società/luogo/governo con caratteristiche ideali, grazie all’opera «Utopia» di Tommaso Moro, la genesi della distopia è più complessa. Il termine distopia precede i romanzi di quasi un secolo, e i romanzi che identificano e sanciscono la nascita del genere distopico saranno identificati come distopie solo decenni dopo la loro pubblicazione.
Da Benson, London e Foster a Zamjatin
In generale i precursori del genere sono considerati tre romanzi pubblicati tra il 1907 e il 1909:
- «Il Padrone del Mondo» di Robert Hugh Benson, 1907
- «Il tallone di ferro» di Jack London, 1908
- «La macchina si ferma» di Edward Morgan Foster, 1909
Tre romanzi che presentano elementi distopici e che iniziano a definire il canone che prenderà vita con «Noi» di Evgenij Zamjatin del 1921. Proprio «Noi» sarà l’ispiratore di 1984 di Orwell, e secondo lo stesso Orwell anche di Huxley (affermazione che Huxley negherà decisamente). È con Zamjatin che compaiono quegli elementi che diventeranno gli archetipi della narrazione distopica. La storia d’amore come mezzo per comprendere la visione totalitaria della distopia. Le uniformi imposte come strumento di uguaglianza forzata. Le sigle alfanumeriche al posto dei nomi. La vita quotidiana in cui la riservatezza è solo un vago ricordo. L’assenza di qualunque forma di svago che non sia rigidamente controllato dallo Stato.
Eppure questi elementi che verranno resi noti al grande pubblico dal successo del libro di Zamjatin e poi ripresi da Orwell, potrebbero avere un altro precursore.
La nuova Utopia di Jerome
Un grande scrittore inglese che immaginiamo ben lontano dalla cupezza di un mondo distopico. Uno scrittore che immaginiamo a suo agio tra pub, gite in barca e passeggiate in bicicletta: Jerome K. Jerome, il più noto tra gli umoristi inglesi di fine ‘800 con i suoi successi «Tre uomini in barca (per tacer del cane)», 1889, e «Tre uomini a zonzo», 1900.
È proprio Jerome, reduce dal successo di «Tre uomini in barca» ad immaginare per la prima volta un mondo come quello che descriverà trent’anni dopo Zamjatin. Le uniformi, le capigliature tutte uguali, l’assenza di qualunque forma di svago o passatempo. La cancellazione della bellezza dalle campagne inglesi. Sogno distopico che descrive nel breve racconto «The New Utopia» pubblicato nel 1891 tra i “saggi” che accompagnano il volume «Diario di un pellegrinaggio».
Ovviamente Jerome resta un umorista e il suo «La nuova Utopia» nasce come satira delle utopie socialiste che andavano di moda in quel periodo grazie al successo di «Guardando indietro, 2000-1887» pubblicato da Edward Bellamy nel 1888. Terzo libro più venduto negli Stati Uniti nel periodo dopo «Ben Hur» e «La capanna dello zio Tom», che lancerà una moda di libri in cui il protagonista si risveglia nel futuro per assistere al compimento di una società ideale basata sul socialismo.
Successo che ispirerà partiti politici e innumerevoli scrittori, H.G.Wells e Salgari inclusi, che si divertiranno a mettere i puntini sulle i dell’utopia socialista di Bellamy.
Tra le firme più note a criticare da socialista l’utopia di Bellamy è William Morris, il grande grafico noto per essere stato tra i membri dei preraffaeliti e amico di Eleanor Marx. Nel suo «Notizie da nessun dove» del 1890 critica la visione pre-sovietica del lavoro impostata da Bellamy, in cui il lavoro era visto come male necessario, e gioca la carta di una socialismo utopico tra l’arcadico e il bucolico. Dove il lavoro diventa un percorso di realizzazione personale.
Nel dibattito tra Bellamy e Morris si inserisce «La nuova Utopia» di Jerome. Qui il protagonista, dopo una cena luculliana in un club socialista a base di cacciagione ripiena di tartufo e vini francesi da qualche migliaio di sterline di oggi si risveglia in futuro in cui quegli stessi socialisti hanno realizzato le loro utopie. Portando all’estremo i sogni di Bellamy e di Morris la satira di Jerome non solo diventa presagio delle distopie di Zamjatin, ma anche delle realtà di certe rivoluzione socialiste come quella di Pol Pot in Cambogia.
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In questa puntata de L’Orizzonte degli Eventi – Non solo Orwell: Evgenij Zamjatin e Noi si approfondisce l’influenza di Jerome su Zamjatin